Vassallo e valvassore ha gettato nel mare

La fraternità francescana non è una piramide feudale, ma una rete di relazioni

 di Mauro Jöhri
frate cappuccino svizzero, già ministro generale

 La scelta fondamentale che orientò tutta la vita di san Francesco fu quella di “vivere secondo la forma del santo vangelo”.

Questa scelta si ripercuote anche nel modo di impostare le relazioni tra i frati e nel modo di esercitare l’autorità all’interno della fraternità. Allora vediamo come Francesco si rifà direttamente a quanto Gesù ha proposto ai suoi discepoli e si permette di applicarlo ai suoi frati: «Come dice infatti il Signore nel vangelo: «I principi delle nazioni le signoreggiano, e i grandi esercitano il potere su di esse; non cosi sarà tra i frati; e chi tra loro vorrà essere maggiore, sia il loro ministro e servo; e chi tra di essi è maggiore, si faccia come il minore» (FF 19).

 Dal feudo al comune

Francesco vive nel momento in cui avviene il passaggio dal mondo feudale a quello dei comuni. Gli uomini che sino allora erano tenuti sotto tutela facendo parte di un’umanità inferiore, si uniscono e si organizzano in vista di un bene comune. Non più rapporti di dipendenza e di subordinazione, dove l’uomo è sempre vassallo di qualcun altro, dove la massa del popolo, essenzialmente rurale, trovava la propria sussistenza e sicurezza nella subordinazione a un signore di cui coltivava le terre e a cui assicurava, attraverso un giuramento, la propria fedeltà. Alle relazioni verticali di dipendenza, i comuni vogliono sostituire legami di associazione.
Francesco di Bernardone ha respirato quest’aria di novità e l’ha anche condivisa. Con l’avvento dei comuni e dello spirito democratico che la caratterizza, l’idea di fraternità è già nell’aria. Perciò Francesco abbandona la logica piramidale del mondo feudale per vivere una nuova logica di relazioni: «Uscì dal criterio piramidale del potere del solo su tutti, per entrare nel criterio della circolarità del servizio reciproco del fratello per i fratelli», scrive Pietro Maranesi.
Un primo risvolto di questo modo di concepire il servizio dell’autorità lo riscontriamo nella scelta dei termini usati per designare le varie funzioni: non più i titoli altisonanti quali abate, priore o prelato, ma ministri, custodi, guardiani.

 Alla base la relazione

Da qui nasce la domanda in che modo questi frati investiti di un servizio particolare nei confronti degli altri frati sono tenuti ad esercitare l’autorità. A tale proposito può essere emblematico l’inizio del capitolo 10 della Regola: «I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino ed ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente che sia contro alla loro anima e alla nostra Regola» (FF 100).
Francesco indica sia ciò che sono tenuti a fare, ma anche quanto debbono evitare. Visitare, ammonire e correggere sono i verbi ai quali ricorre per indicare come debba comportarsi chi è investito di autorità. Si inizia dicendo che i frati vanno visitati, il che significa conoscerli, trascorrere del tempo con loro, farsi un’opinione delle situazioni e solo dopo, se necessario, si passa all’ammonizione. Non meno importante è l’indicazione circa la modalità dell’intervento: va fatto con umiltà e carità. Inoltre l’esercizio dell’autorità conosce un preciso limite: il ministro nel suo intervento deve tener conto di due dati imprescindibili, l’anima (coscienza) del frate e la Regola.
C’è in Francesco una consapevolezza straordinaria della libertà di ogni singolo frate e questa va sempre rispettata. Vediamo di fare un esempio: «Perciò tutti quei frati che per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati» (FF 42).
Alla base esiste sempre un rapporto di relazione. Il frate che vuole andare in missione è tenuto a manifestare al suo ministro il suo desiderio. Questa particolare attenzione al singolo è dovuta in san Francesco ad una sua profonda convinzione, cioè alla presenza dello Spirito del Signore che opera nei singoli frati, alla divina ispirazione. Il rispetto richiesto a chi è alla guida della fraternità di fronte ad ogni singolo frate è dovuto quindi ad una ragione di ordine teologico pratico. Per Francesco Dio non è un’entità lontana e astratta, bensì colui che agisce mediante il suo Spirito ed è presenza viva in mezzo alla comunità umana.

 Superiori e sudditi

Stando così le cose, difficilmente uno ambisce a diventare superiore. Eppure sembra che potesse esserci anche chi per qualche verso ci teneva a questo compito e al potere che ne derivava. A questo proposito Francesco in una delle sue ammonizioni si è espresso con estrema chiarezza: «Dice il Signore: “Non sono venuto per essere servito ma per servire”. Coloro che sono costituiti in autorità sopra gli altri, tanto devono gloriarsi di quell’ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all’ufficio di lavare i piedi ai fratelli. E quanto più si turbano se viene loro tolta la carica che se fosse loro tolto il servizio di lavare i piedi, tanto più mettono insieme per sé un tesoro fraudolento a pericolo della loro anima» (FF 152).
Non vi può essere equivoco di alcun genere in questo: l’esercizio dell’autorità è un servizio ed è un servizio umile, paragonabile a quello di chi è chiamato a lavare i piedi ai fratelli. In questo senso vi è una messa in guardia senza precedenti nei confronti di chi ambisse tali cariche e vi rimanesse attaccato morbosamente: pone in pericolo la salvezza della sua anima.
«I frati, poi, che sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la propria volontà. Perciò comando loro fermamente di obbedire ai loro ministri in tutte quelle cose che promisero al Signore di osservare e non sono contrarie all’anima e alla nostra Regola» (FF 101).
I frati sudditi dovranno obbedire ai loro ministri. Se poi venisse loro ordinato qualcosa contro la loro coscienza, o la Regola o il vangelo, pur non potendo obbedire, tuttavia mai abbandonino il loro ministro. Francesco chiedeva ai suoi frati di agire con grande maturità, avendo a cuore di salvaguardare sempre la comunione fraterna. All’interno del progetto di vita francescano l’autorità va esercitata con delicatezza e discrezione. In fondo si tratta di un rapporto a tre, perché nel rapporto tra superiore e suddito va pure tenuto conto della presenza ispiratrice dello Spirito di Dio. Il principio della vita fraterna viene così declinato in tutte le sue sfaccettature, creando un equilibrio tra la libertà del singolo frate e la sua appartenenza alla fraternità. Fra questi due poli ci può essere tensione, ma non va mai risolta in modo unilaterale. Il singolo è libero di rifiutare di eseguire un ordine, qualora questo andasse contro la sua anima, ma ciò non lo autorizza in alcun modo a rompere la relazione con il suo ministro e di conseguenza con la fraternità a cui appartiene.