A portata di orecchio

Come la Chiesa cerca di ascoltare il grido dei piccoli e rispondere al problema degli abusi

 di Alfredo Rava
frate cappuccino, rappresentante legale dell’Ordine

 Il triste fenomeno dell’abuso sessuale sui minori e gli adulti vulnerabili, come è noto, non ha risparmiato la realtà ecclesiale, per i diversi episodi che hanno visto come protagonisti sia ministri ordinati (Vescovi e presbiteri) che persone consacrate (religiosi/e).

La Chiesa come affronta tale fenomeno a livello canonico? Vediamo brevemente le procedure e le misure canoniche stabilite per tali abusi, premettendo che riguardano solo i casi in cui l’abusante sia un ministro sacro o un religioso e non un fedele laico.
La Santa sede ha prodotto diversi documenti ufficiali per affrontare la problematica. Tra i più importanti il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, di Giovanni Paolo II (2001) e le Norme per i delicta graviora (tra cui gli abusi sessuali su minori) della Congregazione per la Dottrina della fede (2010, papa Benedetto XVI).
La CEI ha emanato le “Linee guida per il trattamento degli abusi sessuali sui minori” nel 2014. Papa Francesco nel 2014 istituisce la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, come nuovo, valido ed efficace strumento per aiutarlo ad animare e a promuovere l’impegno delle varie istituzioni ecclesiali, a mettere in atto le azioni necessarie per garantire la protezione dei minori.
Papa Francesco nella lettera Come una madre amorevole (2016) stabilisce che i responsabili di Chiese particolari e Istituti religiosi possano essere legittimamente rimossi dal proprio incarico, se abbiano, per negligenza, posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri, contemplando anche l’abuso su minori (art. 1§3) in quanto ai vescovi e ai superiori religiosi spetta il compito di garantire la sicurezza di minori e adulti vulnerabili e l’affrontare con coraggio e chiarezza gli eventuali casi di abuso sessuale.

 L’indagine preliminare

La responsabilità quindi di trattare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori o adulti vulnerabili ricade sui vescovi, così come il compito della formazione e della prevenzione. Quanto detto per i vescovi vale anche per i superiori maggiori degli istituti religiosi.
La notizia di un abuso sessuale su minore può giungere all’autorità ecclesiastica in vario modo: dalla vittima dell’abuso, da un parente o conoscente della medesima, da un presbitero o religioso a cui tale accusa viene fatta conoscere o confidata, dall’autorità giudiziaria o da organi di Polizia, oppure in forma anonima. Una volta ricevuta la notizia dell’accusa di un eventuale abuso sessuale sul minore, il vescovo deve verificare la verosimiglianza della stessa (vedi can 1717§1), verificare cioè che sia una “accusa credibile” o almeno probabile, e quindi non sia manifestamente falsa.
Se l’accusa appare verosimile, il vescovo deve effettuare una indagine detta “previa o preliminare”, con la quale egli o una persona da lui delegata, deve indagare, con prudenza, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità del soggetto, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua, come nel caso in cui l’abuso sia ormai noto, perché colui che ha abusato è stato arrestato o vi sia a suo carico l’autorizzazione a procedere in giudizio.
In tali circostanze il vescovo invierà il caso dell’abuso da parte di un chierico direttamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, mentre se l’abusante è un religioso non sacerdote il caso va alla Congregazione per la vita consacrata. Se invece l’indagine preliminare in ambito canonico non è superflua, questa serve a verificare i fatti relativi all’eventuale abuso. È una procedura amministrativa che prepara un eventuale processo. Deve essere il più riservata possibile, per il rispetto della buona fama delle persone implicate, sia dell’accusato che dell’indagato.
Il Vescovo in questa fase ha il diritto, se necessario e se il caso lo consigli, di adottare dei provvedimenti (come la sospensione dal ministero) nei confronti del sacerdote o del religioso accusato, per evitare il rischio di ripetizione dell’abuso, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria. A tal fine, il semplice trasferimento di luogo del chierico non è adeguato, se non comporta anche una sostanziale modifica dell’incarico.
L’indagine preliminare dovrà ricostruire tutte le circostanze dell’abuso (numero e tempo degli atti delittuosi, generalità e età delle vittime), il danno arrecato ed eventuali altri delitti canonici.

 Prove e processi

Le «prove» relative all’abuso sono essenziali per verificare che l’accusa sia fondata: colui che accusa deve provare quello che afferma in modo certo. Dovranno essere raccolti tutti i documenti (anche civili), testimonianze e informazioni relative al caso, salva sempre la buona fama di tutti.
La persona che ha abusato deve essere «imputabile» in modo grave, cioè considerato capace di commettere l’abuso: questo è il presupposto della responsabilità personale e quindi di ogni condanna. A meno che gravi ragioni lo sconsiglino, l’accusa e le prove devono essere rese note al sacerdote (o religioso), dandogli la possibilità di difendersi.
Il Vescovo, se gli elementi raccolti sono sufficienti ad escludere ogni ragionevole dubbio circa la verità dei fatti, dichiara conclusa l’indagine previa.
Se l’accusa di abuso non viene accertata perché “falsa”, si devono prendere tutti i provvedimenti possibili per ristabilire il buon nome della persona accusata e risarcire gli eventuali danni da lui subiti. Se l’accusa di abuso risulta “vera”, il Vescovo diocesano o il Superiore Generale dell’istituto religioso inviano alla Congregazione per la Dottrina della Fede (o quella per la Vita consacrata per un religioso non chierico) l’indagine e le relative conclusioni così che la stessa Congregazione decida come procedere.
Di norma i casi di abuso da parte di un chierico devono essere perseguiti con un vero e proprio processo (art. 21§1, Normae de delictis reservatis): al Vescovo o Superiore religioso è affidato il processo di 1° grado e alle Congregazioni romane quello di 2° grado. Le Congregazioni romane possono avocare a sé la causa o anche disporre che il Vescovo emetta un decreto extragiudiziale, sempre garantendo all’accusato la piena possibilità di difendersi.

 Un Dio tradito

Le pene canoniche applicate nei confronti di un chierico colpevole dell’abuso sessuale di un minorenne sono generalmente: 1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori; 2) altre pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissione dallo stato clericale. I casi più gravi la Congregazione per la Dottrina della fede li può portare direttamente davanti al Santo Padre per la dimissione dallo stato clericale ex officio.
Il chierico (o il religioso) riconosciuto colpevole potrà attuare un percorso impegnativo di responsabilizzazione e di serio rinnovamento della sua vita, anche attraverso adeguati percorsi terapeutico-riabilitativi e la disponibilità a condotte riparative (Linee guida della CEI, n. 3).
Nel discorso finale dell’incontro su "La protezione dei minori nella Chiesa" (Vaticano 21-24 febbraio 2019), papa Francesco conclude: «Vorrei qui ribadire chiaramente: se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – tale caso sarà affrontato con la massima serietà. Fratelli e sorelle: nella rabbia, giustificata, della gente, la Chiesa vede il riflesso dell’ira di Dio, tradito e schiaffeggiato da questi disonesti consacrati. L’eco del grido silenzioso dei piccoli, che invece di trovare in loro paternità e guide spirituali hanno trovato dei carnefici, farà tremare i cuori anestetizzati dall’ipocrisia e dal potere. Noi abbiamo il dovere di ascoltare attentamente questo soffocato grido silenzioso. La Chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia chiunque abbia commesso tali delitti. La Chiesa non cercherà mai di insabbiare o sottovalutare nessun caso».