Corazzati della nostra debolezza

L’atteggiamento di Chiara davanti al pericolo ci insegna la non-violenza cristiana

 di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 Nudo sulla terra nuda. Perché la terra, sorella e madre, è un altare capace di accogliere un corpo per restituire a Dio e ai fratelli l’offerta di una vita intera.


Così ha voluto morire l’uomo che nel Cantico di frate sole aveva scritto che da “sora morte” «nullo homo vivente po’ skappare». “Vivente” che smette di essere un’aggiunta inutile quando viene letto come un invito a morire attivamente la propria morte. La morte rimane un evento drammaticamente lacerante, ma chi si lascia introdurre da Cristo nella logica pasquale, “skappa” dal suo abisso nientificante. Essa ora è trasformata in momento parziale e allo stesso tempo cruciale dell’imporsi della vita.
Questo ricordiamo e di questo ci nutriamo, spezzando quel pane e versando quel vino che sono il memoriale attualizzante al nostro oggi il dono di una vita liberamente e incondizionatamente consegnata nelle mani degli uomini, una volta per sempre, quasi duemila anni fa. Questo era anche l’orizzonte vitale di santa Chiara. Controprova: 1240, le truppe saracene di Federico II, imperatore e re di Sicilia, in continuo conflitto con il papa, hanno risalito la penisola spargendo allegramente danni durante il loro passaggio. Ora sono ad Assisi. Hanno già scavalcato il muro di cinta del chiostro di San Damiano. Sanno che il monastero non ha ricchezze di alcun tipo, ma sanno anche che donne, quelle sì, il monastero ne ha. Il pericolo è evidente. Che fare?

 Come uno scudo umano

Per nostra fortuna, diversamente da Francesco, Chiara fu canonizzata solo dopo un processo e i verbali ci sono stati tramandati in un volgare umbro che, nell’essenziale ripetitività di un testo giuridico, conserva vere e proprie scintille di bellezza. Cosa disse e fece Chiara ce lo raccontano le sorelle allora presenti. Tra le altre sr. Filippa e sr. Amata riportano, con poche varianti, queste parole di Chiara: «Sorelle et figliole mie, non voliate temere, perché il Signore ve defenderà. Et io voglio essere vostra recolta: et se occurrerà che li innimici venghano giù al monasterio, ponete me denanti a lloro». La madre incoraggia le sorelle richiamandosi al tesoro della comunitaria pratica quotidiana di preghiera, cioè all’intercessione. Inter-cedere (dal latino cedo, cedis: avanzare, passare) è fare un passo per mettersi in mezzo tra Dio e chi è nel pericolo, facendosi carico dell’altro nella sua debolezza. In questo caso l’intercessione ha raggiunto la sua pienezza espressiva ed esistenziale. Chiara, infatti, si interpone non solo tra Dio e chi patisce il pericolo, ma anche di fronte alla causa del pericolo stesso.
Sr. Francesca offre in merito la testimonianza più articolata: «epsa madonna se fece menare per fine ad lo uscio del refectorio, et fecese portare innanti una cassetta dove era el sancto Sacramento del Corpo del nostro Signore Iesu Christo. Et gittandosi prostrata in oratione in terra, con lacrime orò, dicendo queste parole intra le altre: "Signore, guarda tu queste tue serve, però che io non le posso guardare"». Debilitata dalla malattia ancor prima della morte di Francesco (1226) Chiara non si interpone tra le sorelle e il nemico, piuttosto si fa inter-porre. Già le testimoni precedenti avevano riportato l’imperativo “ponete me”. Sr. Francesca conferma riferendo che la madre si fece portare (“menare) alla porta del refettorio, cioè nel luogo interno al monastero più vicino possibile ai saraceni, facendosi precedere da una cassetta che conteneva il Corpo di Cristo. La pianticella di san Francesco sta ripercorrendo i passi del padre ispiratore. Non fugge e non subisce la propria fragilità, la vive con spirito oblativo. Accoglie la possibilità, o addirittura la probabilità, della sua stessa morte. Affida sé stessa e le sorelle alla protezione del pane spezzato. Siamo di fronte a una sequela di consegne di sé che va da Cristo a Francesco e da Francesco a Chiara.
Chiara e le sorelle che la sorreggono odono la risposta di Cristo: «"Io te defenderò sempre mai". Allora la predicta madonna orò anche per la cità dicendo: "Signore, piacciate defendere ancho questa cità”». Inaspettatamente i saraceni abbandonano il loro progetto di violenza e non fanno alcun male, né alle sorelle di San Damiano, né alla città di Assisi.

 Quella violenta legittima difesa

Un anno dopo sono le truppe di Vitale di Aversa a minacciare la città, ma questo esercito partì «essendo rocto et conquassato». Stavolta la difesa passa attraverso un conflitto armato. Resta tuttavia interessante considerare la reazione di Chiara, come ci viene testimoniata, più brevemente, da sr. Filippa.
«Epsa madonna, confidandose della potentia de Dio, fece chiamare tucte le Sore, et fecese portare de la cenere, et con epsa coperse tucto lo capo suo, lo quale se haveva fatto tondire. Et poi epsa medesima puse la cenere sopra li capi de tucte le Sore, et comandò loro che tucte andassero alla oratione, ad ciò che lo Signore Dio liberasse la ciptà predicta. Et così fu facto». L’atteggiamento di Chiara e delle sorelle rimane fedele allo stile dell’intercessione. Ma quale relazione sta tra il conflitto armato e l’atteggiamento penitente assunto da Chiara? Oltre a pregare per la salvezza di tutta Assisi, con quella cenere sul capo nuovamente rasato, avrà voluto chiedere anche perdono per la violenza degli assedianti e degli assediati?
Sia come sia, il contributo orante di Chiara non si limita alle mura del convento: ha una dimensione comunitaria larga, popolare, abbraccia tutta la città. Ma soprattutto non si lascia schiacciare dall’orrore della propria fragilità. Quando questo orrore prende il sopravvento si tenta di esorcizzarlo massimizzando la forza distruttiva della propria reazione difensiva, forse sproporzionata, forse preventiva o addirittura vendicativa, ma certo, inevitabilmente, luminosamente, legittima. Si dimentica così che la risposta violenta aiuta il violento a rimanere prigioniero della propria violenza. 

Vertù contra furore

Agli occhi di Chiara, invece, la debolezza è lo spazio aperto in cui lei e le sorelle possono affidare sé stesse, e tutta la città, all’inerme corpo di Cristo perché sia lui a difendere tutti e ciascuno con l’onnidebolezza del suo amore crocifisso e risorto. È la Resurrezione di Cristo, infatti, che ha liberato Chiara dall’assedio della debolezza e della morte. È la sua fragilità orante che ha restituito i saraceni alla loro umanità? Sì, anche se questo non esclude, anzi include, l’azione salvifica di Dio! Ad ogni modo non ci stupiamo più di tanto se la proposta evangelica di Chiara, ben prima di Gandhi e di Martin Luther King, della bomba atomica e delle torri gemelle, assume i connotati della difesa popolare nonviolenta. San Francesco (decima ammonizione) sosteneva che «ognuno ha in suo potere il nemico, cioè il corpo, per mezzo del quale pecca. Perciò è beato quel servo che terrà sempre prigioniero un tale nemico affidato in suo potere e sapientemente si custodirà dal medesimo; poiché, finché si comporterà cosi, nessun altro nemico visibile o invisibile gli potrà nuocere». Per mettersi in cerca di umanità e di pratiche buone e possibili di convivenza è indispensabile accogliere la follia di questo ribaltamento. Questa è la sfida e l’alternativa è solo la nostra rovinosa paura di morire.
«Il nemico non ti ascolta,/ non sa neanche che ci sei./ Ma se crede, ti fa fare tutto quel che vuole lui/ il nemico è dappertutto, il nemico siamo noi» (Max Manfredi, Il morale delle truppe, Luna persa).