Urgenza, deciso cambiamento degli stili di vita, fare rete, promuovere modelli di sviluppo sostenibile locale e globale: sono alcuni dei temi chiave emersi nel convegno “Il tuo cuore custodisca i miei precetti (Proverbi 3,1). Un Creato da custodire da cristiani responsabili, in risposta alla Parola di Dio”, tenutosi a Milano dal 19 al 21 novembre scorsi, promosso dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI) della Conferenza episcopale italiana.

di Barbara Bonfiglioli

 Tutti per la terra

Insieme le Chiese terra 

Una visione e una vocazione

Un programma denso, con interventi di rappresentanti delle diverse chiese sui temi dell’ecumenismo e dell’ecologia, con una partecipazione di circa 250 partecipanti, la metà donne.


Bello lo spirito di collaborazione colto tra le varie chiese, a partire dall’elaborazione del programma a cui hanno partecipato, oltre all’UNEDI, i rappresentanti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), dell’Arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, della Chiesa apostolica armena, della Diocesi copto ortodossa di San Giorgio - Roma, della Chiesa d’Inghilterra e della Diocesi ortodossa romena d’Italia.
Tutti i relatori, da angolazioni diverse, hanno sottolineato con toni perentori il bisogno di una società di uomini e donne che pensi con una visione ampia e che porti avanti un nuovo approccio integrale. È emerso come sia indispensabile un dialogo tra le diverse scienze, che analizzino i diversi aspetti della crisi e le resistenze che si oppongono a un’autentica cura della casa comune, di cui il degrado ambientale è solo una delle conseguenze. L’interdisciplinarietà, peraltro, non può limitarsi alle scienze esatte, ma deve includere le religioni: i credenti non possono pensare di delegare alla tecnologia ed alla finanza la soluzione dei problemi; sono chiamati ad agire in prima persona.
La riflessione di apertura di Piero Stefani, presidente del SAE, associazione interconfessionale di laici attiva nel dialogo a partire dal mondo ebraico, è andata in questa direzione: la custodia attiva per un credente diviene il metro di giudizio con cui valutare la qualità del suo operato. Se il suo lavoro si trasforma da custodia in rapina o sfruttamento, allora stravolge la propria vocazione e non è scusabile.

 Interdipendenza vicendevole

La sensibilità ebraica ha avuto voce tramite Gadi Luzzato Voghera e Miriam Camerini: il primo ha rilevato come la Bibbia, nei molti episodi che descrivono cambiamenti climatici importanti (carestie, diluvio), vuole evidenziare una sorta di spartiacque. Il mondo fino all’arcobaleno è una realtà singolare, creata per clemenza divina, che non si ripeterà più; quello dopo, risponde a regole precise. È compito dell’uomo riuscire a mantenere un equilibrio tra la giusta risposta ai suoi bisogni e l’ingorda voracità di consumo dei beni. Intrigante il pensiero illustrato dalla seconda: siamo noi che ci serviamo della terra o siamo noi che dobbiamo servire la terra? La risposta si trova nel verbo “custodire”. Noi siamo definiti, prendendo alla lettera il termine biblico, “i guardiani dei confini”, significato che suggerisce la necessità di un nostro autolimitarci per evitare lo sfruttamento e la nostra stessa distruzione.
Nel suo “sguardo di apertura”, Simone Morandini, docente all’Istituto di studi ecumenici “San Bernardino” di Venezia, ha evidenziato la parola “casa”, quale radice comune tra ecumenismo ed ecologia: la Terra è una casa comune da abitare, ascoltare ed amare nelle sue differenze, dall’amore per le biodiversità alla passione per le diverse fedi. Le Chiese cristiane fino ad ora si sono vicendevolmente stimolate sulla custodia della creazione, senza tuttavia riuscire a rendere veramente consapevoli i propri fedeli dell’urgenza di attuare buone prassi per evitare una “auto-distruzione” che appare sempre più vicina.
L’intervento di Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, ha scelto “francescanamente” di sottolineare il legame fraterno tra uomo e creato, insistendo sull’impegno e sulla responsabilità che le comunità cristiane hanno sul tema della cura del creato. Occorre rilanciare la fede nella sua capacità di intervenire nelle questioni vitali della società contemporanea, perché i credenti possono e devono dare un contributo decisivo alla vita buona di tutti, a cominciare dalla cura della “casa comune”.
Il contributo del pastore Peter Pavlovič della Chiesa luterana slovacca, segretario della Rete cristiana europea per l’ambiente (Ecen), è partito con toni preoccupati: il mondo non ha più tempo, al massimo venti o trent’anni, per evitare la catastrofe ambientale. Ma è terminato con la speranza che il dialogo tra fede e scienza, alleate tra di loro, richiami a una radicale conversione personale e collettiva degli stili di vita.
Affascinante il punto di vista della teologia al femminile portato dalla pastora valdese Letizia Tomassone: esiste una stretta connessione tra lo sfruttamento e le violenze inferte al corpo della terra e al corpo delle donne. Sarebbe bene evitare termini come “custodia e cura”, che spesso accompagnano la condizione di subalternità delle donne nella società rispetto agli uomini, per preferire “interdipendenza”, che meglio esplicita la complessità delle relazioni e dell’intreccio tra giustizia ecologica, economica e di genere. L’urgenza di un’azione per interrompere la corsa verso una catastrofe ambientale è stata ribadita da Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS): le persone oggi sono spaventate dalla globalizzazione, dall’automazione, dalla crisi, dalle migrazioni, ma si stima che nei prossimi decenni questi fenomeni si accentueranno proprio a causa dei cambiamenti climatici. Occorre avere uno sguardo a 360° ed un impegno da parte di tutti, istituzioni civili e religiose e singoli individui.

 Conclusione corale

Di pregio la scelta a fine convegno di dare la parola ai partecipanti: dai lavori nei gruppi è emersa la necessità che anche le chiese si costituiscano nel loro quotidiano in eco-comunità, preferendo scelte rispettose dell’ambiente nelle loro pratiche quotidiane, e investendo nella formazione verso bambini, ragazzi e adulti su temi concreti: lo spreco del cibo, la raccolta dei rifiuti, l’uso della plastica.
Le considerazioni finale sono state “corali”, affidate al pastore Luca Maria Negro, presidente della FCEI, a padre Ionut Coman, incaricato per l’ecumenismo della Diocesi ortodossa romena d’Italia ed a mons. Ambrogio Spreafico, presidente UNEDI: come credenti non basta ascoltare insieme il “grido della terra”, occorre urgentemente farsi carico delle grandi sfide del pianeta, promuovendo cambiamenti consapevoli dei sistemi di produzione e di vita. In passato abbiamo tradito la vocazione di custodia del Creato, penalizzando così le future generazioni e i più vulnerabili. Non si può più rimandare, occorre ora farsi carico - ognuno, in prima persona, ed insieme, come comunità - di questa chiamata.

 Per approfondire le tematiche consigliamo questi siti:
Agenda 2030: www.unric.org/it/agenda-2030
UNEDI: ecumenismo.chiesacattolica.it
ECEN: www.ecen.org