Nel recente sinodo dei vescovi dedicato al tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», di grande importanza è stato l’aspetto missionario, come spiega fr. Matteo, il segretario provinciale delle missioni, e come ribadisce il racconto della preparazione all’esperienza missionaria in Etiopia, che coinvolgerà nei prossimi mesi “ForAfrica”, un gruppo di giovani di Faenza.

a cura di Saverio Orselli 

 I doni di chi va

Giovani e missione

 di Matteo Ghisini
segretario Animazione Missionaria Cappuccini dell’Emilia-Romagna

 Una pastorale della preposizione nuova

Al Sinodo dei vescovi sui giovani svoltosi l’ottobre scorso, è apparso con forza il desiderio delle nuove generazioni di essere coinvolte, valorizzate, rese corresponsabili in quello che la chiesa sta facendo.

Per molte conferenze episcopali e per il sinodo stesso il vero punto qualificante della pastorale giovanile è rendere più protagonisti i giovani: passare con coraggio dal fare pastorale “per i giovani” a fare pastorale “con i giovani”. Le nuove generazioni sognano inoltre una chiesa autentica, meno istituzionale e più relazionale, impegnata sul fronte della giustizia.
Negli ultimi anni l’impegno in missione pare abbia riscosso in molti giovani particolare attrattiva, fornendo loro risposte concrete all’altezza dei loro desideri. Nello strumento di lavoro utilizzato dal Sinodo si dice che «per molti giovani infatti il “volontariato internazionale” risulta capace di tenere insieme la sensibilità alla solidarietà con l’aspirazione al viaggio e alla scoperta di altre culture e mondi sconosciuti: si tratta anche di un luogo di incontro e di collaborazione con giovani lontani dalla Chiesa e non credenti. Il “volontariato missionario”, curato e sviluppato in molti paesi e da parecchi istituti di vita consacrata maschili e femminili, è un dono particolare che la Chiesa può offrire a tutti i giovani: la preparazione, l’accompagnamento e la ripresa in ottica vocazionale di un’esperienza missionaria è un campo privilegiato per il discernimento vocazionale dei giovani».

 I dati di un’indagine

Le riviste missionarie riunite nella Fesmi, Missio Giovani e il Segretariato Unitario di Animazione Missionaria (Suam) hanno promosso una prima indagine nazionale su questo tipo di esperienze in missione, i cui risultati sono stati diffusi in occasione del sinodo. Si tratta di una ricerca fatta attraverso questionari distribuiti in 39 realtà - tra centri missionari diocesani, istituti religiosi e associazioni - e interviste fatte a 106 giovani protagonisti di queste iniziative. Siamo stati coinvolti anche noi dei centri missionari di Imola e San Martino. 
Presentiamo qui alcuni dati che ci paiono più interessanti. Nelle realtà censite, il numero complessivo di ragazzi e ragazze coinvolti nelle esperienze estive promosse in missione nell’estate 2018 si aggira intorno ai 1000 giovani: per molte realtà si tratta di una proposta consolidata, che si porta avanti da almeno dieci anni. L’età media è molto giovane: il 39 % dei ragazzi coinvolti ha meno di 25 anni, solo il 26 % ha superato i 30 anni. Le destinazioni abbracciano tutti i continenti con una prevalenza significativa dell’Africa (38 %). La durata varia a seconda delle proposte: per molti l’esperienza dura solo tre o quattro settimane, ma c’è anche chi vive in missione periodi di alcuni mesi.
Pochi partono da soli: a seconda della proposta si arriva in missione in gruppo (58 %) oppure insieme a una o altre due persone (34 %); la dimensione comunitaria, dunque, è un fattore importante. L’esperienza in missione non arriva all’improvviso, ma è solitamente preparata con cura. L’82 % dei giovani parte dopo aver frequentato un cammino di preparazione; e almeno la metà dei giovani che partono lo fa al termine di un cammino che è andato avanti durante tutto l’anno precedente all’esperienza in missione. Nel 40 % dei casi, poi, anche al ritorno è previsto un nuovo percorso che continua durante tutto l’anno successivo; per far sì che l’esperienza vissuta in missione non sia qualcosa di estemporaneo, ma un tempo forte della propria vita.
A molti lascia in eredità un forte senso di responsabilità: il 69% dei giovani racconta - una volta tornato a casa - di aver scelto di assumersi un impegno in parrocchia o nella propria diocesi o in un’associazione di volontariato. Molti di questi impegni sono legati all’ambito dell’animazione missionaria in Italia. Un altro sbocco interessante per alcuni è l’impegno nel campo dell’assistenza ai migranti in Italia, nel segno della continuità nell’apertura al mondo. Più in generale c’è chi racconta di aver cambiato almeno un po’ il proprio stile di vita in Italia, di essere più attento a questioni come il consumo dell’acqua, di aver cambiato il modo di vedere tante cose.

 Le sfide dell’andata e del ritorno

Nei racconti dei giovani, le difficoltà di ambientamento in missione non mancano: il clima, le condizioni di vita, a volte anche lo stesso dover accettare di non essere lì per fare qualcosa ma semplicemente per condividere. Ma anche questa fatica alla fine viene riconosciuta come un dono dell’esperienza vissuta in missione. Emerge però chiara un’altra fatica che ha a che fare con il ritorno a casa: una volta tornati in parrocchia, si fa fatica a trovare un ambiente aperto ad accogliere davvero la ricchezza vissuta da questi ragazzi in missione. L’impressione che emerge è quella che abbiano vissuto un’esperienza che riconoscono essere stata molto ricca da un punto di vista personale, ma che fatica a far crescere intorno a sé la consapevolezza e l’apertura al mondo anche in chi è rimasto a casa. Il che - evidentemente - pone a tutti i livelli una sfida pastorale su come valorizzare meglio queste esperienze ormai così diffuse.
In un momento storico in cui viviamo l’esperienza della paura dell’altro e la tentazione della chiusura, questi ragazzi ritornano dalla missione con uno sguardo nuovo sul mondo. E sono pronti a spenderlo anche nella forma di un impegno concreto qui in Italia. Anche al mondo missionario questi dati chiedono però un passo in più: questa indagine, pur con i suoi limiti, rappresenta il primo tentativo di mettere in rete questo tipo di esperienze nate e portate avanti autonomamente da ciascuna realtà. Proprio l’importanza che i giovani stanno dando a questo tipo di esperienze dovrebbe spingere a forme di maggiore collaborazione tra le realtà che propongono questo tipo di esperienze. Pur senza perdere nulla della specificità di ciascuno, questo permetterebbe di elaborare percorsi e strumenti condivisi, utili per strutturare meglio i cammini di preparazione e i momenti di ripresa proposti, una volta rientrati in Italia. E forse potrebbe aiutare anche le parrocchie a valorizzare meglio questi giovani una volta ritornati nelle proprie comunità con questo bagaglio importante di esperienze.