Image 031Detto con parole nostre

La parola di Dio in parola umana assume, condiscendente, anche i suoi limiti

di Giuseppe De Carlo
della Redazione di MC

Il linguaggio scelto

Un mio vecchio confratello, che ora ascolta la parola di Dio a faccia a faccia con Dio Padre, era solito dirmi: «Io leggo la Bibbia così, semplicemente, e la capisco tutta.

Ma se poi leggo le spiegazioni dei biblisti, mi si confonde tutto e non ci capisco più nulla!». Aveva ragione! Infattila Bibbia contiene la testimonianza dell’iniziativa presa da Dio di parlare agli uomini. Voleva perciò che gli uomini comprendessero le sue parole e ha dunque scelto di usare un linguaggio comprensibile agli uomini, cioè il linguaggio umano. Ma il problema sta proprio qui: contenendo la parola di Dio in un linguaggio umano,la Bibbia è allo stesso tempo semplice ed enigmatica. La si può comprendere facilmente e allo stesso tempo si è esposti al forte rischio di fraintenderla.

La costituzione dogmatica del concilio Vaticano II Dei Verbum sulla divina rivelazione parlando di come Dio ha scelto di parlare agli uomini dice: «Restando sempre intatta la verità e santità di Dio, nella Sacra Scrittura si manifesta la sua ammirabile “condiscendenza”». Per illustrare questa strana parola, «condiscendenza», la Dei Verbum cita poi Giovanni Crisostomo e con le sue parole dice: «… affinché possiamo apprendere l’ineffabile benignità di Dio e quanto egli, sollecito nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare». Il documento poi chiude quel paragrafo (il n. 13) mettendo in parallelo la parola di Dio con l’incarnazione del Verbo: «Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’Eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile all’uomo».

Il termine «condiscendenza» mi ha incuriosito e, trovando che viene dai Padri greci (dove suona synkatàbasis), ne ho cercato le ricorrenze greche nei database che l’informatica ci ha ormai messo a disposizione. Dal sec. VIII a.C. al sec. XV d.C. (in pratica da Omero alla caduta di Costantinopoli) il termine compare 607 volte e, sorprendentemente, solo 7 volte è stato usato dagli autori non cristiani. In un dizionario bizantino (chiamato Suda, sec. X) di quella parola c’è la seguente definizione descrittiva: «Dio si manifesta non come è, ma mostra se stesso così come è colui che lo deve conoscere: e cioè Dio commisura la sua manifestazione alla vista debole di chi lo osserva». È per questo allora che al n. 2 la Dei Verbum aveva potuto scrivere: «Con la Rivelazione il Dio invisibile, nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici». Quell’adattarsi all’interlocutore umano è dunque un segno del grande amore e dell’amicizia di Dio per noi.

Image 035Soggetti, verbi, predicati

Perché ciò che aveva da rivelarci fosse da noi compreso, Dio ha dunque fatto ricorso ai codici del nostro linguaggio, alla nostra grammatica e alla nostra sintassi, alle proposizioni principali e a quelle dipendenti, ai pronomi relativi o riflessivi, alle declinazioni e alle coniugazioni... Basti fare un esempio a proposito dei tempi verbali: nel prologo del vangelo di Giovanni il nostro imperfetto parla dell’ineffabile eternità del Verbo presso Dio: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il verbo era Dio» (Gv 1,1). Uno dei massimi esperti dello scritto giovanneo, Raymond Brown, commenta: «È al di là delle potenze umane parlare come parla Giovanni nel prologo!».

La «condiscendenza» di Dio è perciò a favore dell’uomo, perché fosse facilitato nella comprensione di quello che Dio gli voleva comunicare. Tuttavia, facendo suo il nostro linguaggio, Dio ne ha assunto anche i limiti: ogni lingua e ogni linguaggio sono legati al tempo, allo spazio, alle condizioni sociali, culturali, etiche che talvolta sono profondamente differenti da quelle del nostro tempo. Questo spiega perché noi troviamo non poche difficoltà a leggere molti testi biblici. E allora, per capire quello che Dio ha voluto dirci, dobbiamo «studiare la lingua» che hanno parlato gli autori biblici. Anche qui il Concilio ci mette sulla strada, anzitutto dicendo che Dio ha parlato «attraverso uomini e alla maniera umana» (Dei Verbum n. 12) e aggiunge che per capire quei profeti di Dio, lontani da noi decine di secoli, dobbiamo tenere conto dei loro «generi letterari» (e quindi impararli a conoscere): «Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana, per capire bene ciò che Egli ha voluto comunicarci, l’interprete deve ricercare con attenzione che cosa gli scrittori sacri abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».

Anche qui basti un esempio. Poiché spontaneamente noi siamo portati a pensare che nella Bibbia ci sia solo il genere della cronaca, abbiamo spesso ritenuto che i sette giorni della creazione di Gen 1,1-2,4 siano, ad esempio, sette ere geologiche. Ma col suo ritornello («E Dio vide che era cosa buona») e con l’affermazione che Dio cessò di lavorare al settimo giorno e che benedisse e santificò quel giorno (2,3), quel testo non è affatto una cronaca, ma un inno di lode al Dio creatore, a lode di ogni cosa creata che è buona, e un inno che invitava il lettore ebreo a santificare il sabato con l’astensione dal lavoro e andando in sinagoga.

Per capirci sempre più

Per la maggioranza dei cristiani, la lettura dell’Antico Testamento è disattesa proprio per i tanti problemi che pone, specie se confrontato con la rivelazione portata da Gesù e testimoniata nel Nuovo Testamento. Come conciliare il volto di Dio Padre misericordioso presentatoci da Gesù con il Dio di cui parlano tanti testi dell’Antico Testamento? Alcuni esempi ci possono far percepire la problematicità e lo scandalo che facilmente provocano nel cristiano. Vari testi dei libri del Deuteronomio, di Giosuè e di Giudici parlano di Dio che comanda al suo popolo di «votare allo sterminio», cioè di passar a fil di spada, uomini, donne, bambini, anziani, quando si conquista una città al momento della presa di possesso della terra dopo l’uscita dalla schiavitù egiziana. Giudici11,29-40 lascia intendere che Dio accetta il voto di Iefte di sacrificare, mettendola a morte, la prima persona che gli sarebbe venuta incontro, purché vinca la battaglia. E la prima persona che incontra è sua figlia! Come spiegare infine il fatto che Dio si impegni nella promessa a Davide di assicurargli una discendenza da cui sarebbe arrivato il Messia, se poi la discendenza davidica passa attraverso Salomone, che è figlio di Betsabea, la donna con cui Davide ha commesso adulterio e di cui ha fatto uccidere il marito?

In questi casi una lettura semplice, se non semplicistica, è fuorviante. Occorre ancora una volta far ricorso alla «condiscendenza» di Dio che si adegua al limite del linguaggio umano che esprime le verità come le comprende in quel preciso contesto storico e culturale. Occorre perciò in questo caso far ricorso alla consapevolezza che la verità di Dio è stata compresa ed espressa gradualmente dal linguaggio umano. Tra l’Antico e il Nuovo Testamento c’è una progressione che non è nella verità del volto di Dio, ma nella comprensione di quella verità da parte del popolo, e quindi degli scrittori biblici.