Avere o non avere: non c’è alcun dilemma

Come Chiara difese a spada tratta il privilegio di non possedere nulla

 di Chiara Francesca Lacchini
clarissa cappuccina a Fiera di Primiero

 Tre sorelle, testimoni al processo di canonizzazione di Chiara, ricordarono con una certa intensità una preoccupazione più volte manifestata da questa donna e quasi lasciata in eredità alla comunità,

e cioè di onorare con molta reverenza, e tenere d’occhio bene e con diligenza il Privilegio della povertà, per non correre il rischio di perderlo, e di averne cura “attentissimamente” per non abbandonarlo mai questo Privilegio. Poche parole per capire la straordinaria importanza di questo testo per la primitiva esperienza clariana. Cosa era questo documento e perché attorno alla sua conservazione si focalizzano molte energie?

 Il diritto di non avere diritti

Il documento, conosciuto ufficialmente come Sicut manifestum, e ratificato nel 1228 dal papa Gregorio IX, è un unicum nella storia del diritto pontificio e, probabilmente, del diritto in generale: in via ordinaria le comunità religiose e i monasteri si rivolgevano alla curia papale per ottenere privilegi che fissassero diritti particolari o esenzioni dall’obbligo di leggi vincolanti; Chiara e le sorelle chiedono il privilegio di non essere forzate da alcuno a ricevere possedimenti, il privilegio di vivere una vita povera, precaria, dipendente dal lavoro delle proprie mani e dalla benevolenza di altri. Si tratta di un testo apertamente e volutamente paradossale: in esso si chiede il diritto di vivere senza diritti, il privilegio di non avere privilegi.
Il documento fu l’esito di un iter piuttosto conflittuale e non semplice, di un dialogo conflittuale durato anni. All’inizio del 1220 il cardinale Ugolino (nel 1227 divenuto papa con il nome di Gregorio IX) riuscì a stabilire una buona relazione con la nascente comunità di San Damiano, custodendo il vivo desiderio che Chiara e le sorelle potessero traghettare le diverse comunità femminili che si andavano costituendo nel centro Italia in una Istituzione monastica progettata da lui stesso, con leggi chiare e definite e sotto la vigilanza della chiesa. Questo movimento aveva una forte caratterizzazione pauperistica; se avesse avuto anche una grande disciplina claustrale, avrebbe potuto essere maggiormente qualificata, secondo i criteri di una spiritualità femminile del tempo. 
Ben presto l’esperienza fece emergere che altissima povertà e stretta clausura collidevano perché, per procurarsi di che vivere senza avere rendite fondiarie e legati perpetui, le sorelle avevano bisogno di istaurare relazioni con il mondo esterno. D’altra parte proprio l’esperienza di San Damiano era organizzata attraverso una capillare rete di relazioni con la piccola comunità di frati minori che mantenevano costanti contatti con l’esterno e le sorelle serviziali, che uscivano dal monastero per svolgere i compiti loro assegnati dalla comunità.

 In nome della clausura

A Ugolino sembrò che non fosse opportuno mantenere il principio della povertà a discapito della stretta clausura, e i monasteri riuniti sotto la sua custodia vennero ben presto fatti oggetto di sempre più consistenti donazioni per evitare che le sorelle avessero relazioni con l’esterno al fine di procurarsi di che vivere. Vennero emessi dunque diversi privilegi papali indirizzati a queste comunità, che contenevano la conferma del possesso dei beni ricevuti tramite donazioni. Chiara e le sorelle di San Damiano inizialmente non furono oggetto di tanta cura e sembra che, in stretto rapporto con i frati minori, godessero di sufficiente autonomia rispetto all’azione intrapresa dalla Curia Papale.
Ma quando Ugolino fu eletto papa con il nome di Gregorio IX il vento sembrò cambiare: nel luglio 1228 Gregorio, che è ad Assisi per la canonizzazione di Francesco, si incontra con Chiara iniziando un acceso e vivace confronto in cui vuole convincerla ad accettare possedimenti per San Damiano, ricevendo in risposta un fermo rifiuto. In ballo, per Chiara e le sorelle, non vi è la possibilità di avere o non avere qualcosa, ma la qualità della vita alla sequela di Cristo e una forma di esistenza permeata dal Vangelo, come anche la possibilità di mantenersi libere da condizionamenti che, gioco forza, sarebbero intercorsi tra benefattori e beneficati, in un tempo in cui vescovi, nobili e ricca borghesia avevano la normale abitudine di estendere la loro longa manus su tutto e su tutti. Il carteggio e gli incontri dovettero essere abbastanza vivaci, e il papa capitolò nel settembre dello stesso anno, inviando a San Damiano il famoso Privilegio della povertà.

 Giù le mani dalla povertà!

Chiara era riuscita a farsi approvare in un documento ufficiale una scelta che andava contro ogni regola giuridica. Dentro la difesa strenua di questo principio non vi era la semplice rivendicazione della povertà materiale, ma la definizione di una relazione con il mondo che è impossibile articolare giuridicamente. Marco Bartoli, grande studioso di Chiara di Assisi, tenta di ampliare il significato di questo documento facendo riferimento ad una tradizione antica, secondo la quale, «nello stato di eccezione (tempus necessitatis) è sospeso ogni diritto di proprietà, individuale o collettiva». Nel momento in cui Chiara vuole la povertà come scelta perpetua di un simile stato, è come se dicesse che a San Damiano, grazie alla forma di vita del Vangelo, si è instaurato un tempo “altro” in cui vivere: il tempo extremae necessitatis, cioè lo stato di eccezione degli ultimi tempi, in cui ci si vive vigilanti davanti alla porta stretta del regno, in cui entreremo da soli, ricchi solo della nostra creaturalità.
Agnese di Boemia viene a sapere di quanto ottenuto per San Damiano, e rivendica la possibilità di vivere nella stessa maniera anche a Praga. Il fratello principe lo fa sapere al papa, perché questo avrebbe comportato il dilapidare beni di famiglia, e il papa prontamente risponde cercando di far ragionare Agnese, e ricordandole che quanto dato a San Damiano era cibo leggero, paragonabile al latte, capace di sfamare solo dei neonati e non di dare la forza per essere servitori degni del Regno; a questo scopo occorreva invece mangiare un buon pane, sostanzioso e nutriente, contenuto nelle regole che lui stesso aveva dato a suo  tempo a quelle comunità del centro Italia. È a questo punto che Chiara, scrivendo ad Agnese, le consiglia caldamente di non ascoltare il consiglio di alcuno - il papa nella fattispecie - che voglia distoglierla dal suo proposito di vivere secondo il Privilegio della povertà, ciò tuttavia senza mancare di rispetto. Una bella risposta, certamente non improvvisata, ma appresa forse alla scuola di Francesco e dei primi compagni, e formulata bene nella II Ammonizione (FF 2878). Una risposta rivelativa dell’animo di una donna che sembra aver compreso il senso della libertà dentro il campo dell’amore. Parafrasando una memoria evangelica, potremmo dire che ha ottenuto perché ha molto amato.