Wanted Rebecca!

La matriarca ci insegna che l’amore di una madre supera ogni legge 

di Lidia Maggi
pastora valdese, biblista

 Dopo Sara, ecco che tra le matriarche fa la sua comparsa Rebecca. Il suo debutto nella scena del racconto è preparato da un intero, lungo capitolo.

È stato necessario un viaggio per poterla trovare e giuramenti e preghiere solenni per riconoscerla come legittima sposa, destinata ad Isacco.
Accanto al figlio di Abramo - quel figlio nato tardi, forse troppo tardi, quel figlio che sarebbe stato immolato sull’altare dal padre, se Dio stesso non avesse fermato la mano e ordinato di scioglierlo - ci vuole una donna forte e intraprendente, che colmi le lentezze e le fragilità del secondo patriarca. Isacco non brilla di iniziativa e di intelligenza. È un figlio dai tratti imbarazzanti. Unico tra gli eroi biblici, non è in grado di trovarsi una moglie da solo. La narrazione lo caratterizza come uno che può facilmente essere raggirato. Non basterà tutta la ricchezza accumulata dal padre e ricevuta in eredità a proteggerlo, se accanto a lui non ci sarà una donna forte e autonoma. Sara, la madre, è morta; Abramo è ormai anziano. Chi si prenderà cura di Isacco? Bisogna aiutare questo figlio fragile a scegliersi una moglie.

 Cercasi moglie disperatamente

Ma Abramo non può contare sulle capacità del figlio, che ancora piange la morte della madre. Così decide di incaricare della ricerca il suo servo. Questi ritornerà nella terra da cui Abramo è partito, per cercare la donna giusta per Isacco. Il servo incontra Rebecca al pozzo. Assistiamo ad una classica scena di corteggiamento. C’è una ragazza avvenente e un uomo che le chiede da bere. La ragazza si mostra disponibile, ben oltre le convenzioni, e interessata, molto interessata a quel viandante che le chiede da bere. Il servo di Abramo, con la sua ricca carovana al seguito, impressiona così positivamente la ragazza che questa corre a casa per raccontare il felice incontro, non prima, però, di aver accettato qualche dono.
La famiglia di Rebecca accoglie il viandante e viene a sapere di Isacco. È lì che Rebecca capisce che l’uomo incontrato al pozzo è solo un messaggero. È stata corteggiata per procura, in rappresentanza di un uomo che, probabilmente, non sarebbe stato in grado di sedurla. Rebecca decide, comunque, di accettare di mettersi in viaggio con il viandante. Più radicale dell’uscita di Abramo, è quella di Rebecca. Non soltanto lascia la terra e la famiglia, per un paese ignoto, ma il suo esodo avviene per andare incontro ad uno sposo che non ha mai incontrato. Arrivata alla meta, Rebecca vede un uomo venirle incontro. Anche lui la scorge e si lega a lei fin dal primo sguardo: «Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara, sua madre, la prese ed ella divenne sua moglie, ed egli l’amò. Così Isacco fu consolato per la morte di sua madre» (Genesi 24,66).
Rebecca, con il suo amore, scioglie finalmente Isacco dal legame con la madre. Il figlio slegato dal padre, per comando di Dio, viene ora slegato dalla madre attraverso il legame affettivo con Rebecca.

 I gemelli diversi

Anche Rebecca, come ogni matriarca che si rispetti, è sterile. E tuttavia, caso più unico che raro, non sembra desiderare un figlio o soffrire per l’assenza di una progenie. Forse, perché la sua maternità è sublimata dall’accudire quel marito così fragile, troppo fragile. Qualcuno arriva a sostenere che, dietro la fragilità di Isacco, si nasconda l’handicap: e questo potrebbe giustificare le ansie paterne nel cercare, all’avvicinarsi della sua morte, qualcuno a cui affidarlo (si veda il bel libro di Gianni Marmorini, Isacco, il figlio imperfetto, Claudiana, Torino 2018). Sta di fatto che non è Rebecca a lamentarsi e a chiedere un figlio: è Isacco ad implorare Dio. E il figlio arriva, dopo vent’anni di matrimonio. Anche allora Rebecca è tutt’altro che felice. Si lamenta per i fastidi della gravidanza fino a desiderare la morte: «I bambini si urtavano nel grembo ed ella disse: se è così, perché vivo?» (25,22). Dio, chiamato in causa, le risponde direttamente, dandole le spiegazioni dovute: le annuncia la nascita dei suoi due gemelli, da cui sarebbero usciti due popoli.
La peluria che ricopre il corpo del primogenito, Esaù, fa intuire alla madre che quel ragazzo sarebbe stato abbastanza forte da affrontare la vita con o senza la benedizione di Dio. Non è quello che, di fatto, accadrà? Egli stesso quando, anni dopo, si riconcilierà con il fratello, riconoscerà di essere stato grandemente benedetto dalla vita, con mogli, figli e beni materiali. Giacobbe, invece, appare più fragile, totalmente nudo, poco corazzato per affrontare la vita. È incapace di cacciare. La sua indole tranquilla gli fa preferire la protezione della tenda. Si allontana dall’accampamento con difficoltà. A lui la forza non è stata data. Avrà bisogno di tanta astuzia per farsi strada, per non soccombere alla legge del più forte. Isacco ama Esaù. Forse, in quel figlio vede l’autonomia che egli non ha mai avuto. Non è un amore gratuito: Esaù soddisfa le esigenze paterne, procura al padre quella cacciagione che adora. Giacobbe, in confronto, appare un figlio “inutile”, un po’ inetto, con caratteristiche più adatte ad una fanciulla che ad un beduino.

 Preferire la fragilità

Sarà, forse, per questo che Rebecca si affeziona particolarmente al suo secondogenito. Sente di doverlo aiutare ad affrontare la vita. A lui la benedizione paterna è necessaria, come una corazza di fronte alla durezza della realtà. Ma la legge del clan non segue la logica materna; è molto più fiscale. Non dà a chi ha più bisogno, ma a chi viene prima. Ecco allora che la madre rimedia a quella ingiustizia, ricorrendo ad un sotterfugio. Giacobbe deve prendersi ciò che la vita non gli ha dato, altrimenti soccomberà. Esaù, invece, può farcela da solo.
L’intrigo intorno al letto di Isacco malato è tutto giocato sullo scambio di persona. Giacobbe dovrà spacciarsi per Esaù, seguendo i consigli della madre. Del resto, chi meglio di lei conosce i giochi degli scambi? Lei stessa ne è stata vittima ed ha saputo trasformare in opportunità l’equivoco iniziale, quello strano corteggiamento per conto terzi. Come Isacco è stato aiutato dal padre a trovarsi una moglie tramite il servo, così Rebecca aiuterà il figlio più fragile, quello nato senza la protezione di una solida pelliccia, quello che non sa cacciare e si difende solo con la debole forza dell’arguzia, a rivestirsi della protezione di una benedizione paterna, così da non dover camminare nudo nella vita. Isacco benedice Giacobbe, come Rebecca ha stabilito; e per Esaù, nonostante quanto Isacco affermi, ci sarà comunque un’altra benedizione.
La vita di Giacobbe cambierà radicalmente, dopo le parole benedicenti del padre. Egli sarà finalmente in grado di uscire di casa e affrontare il mondo da solo. 
La particolarità dell’amore di Rebecca nei confronti del figlio più debole non sta nell’intensità. Anche Sara ha amato appassionatamente quel figlio tardivo; tuttavia, la prima matriarca non è stata in grado, o non ha potuto, educarlo all’autonomia. Rebecca, invece, ama i suoi figli senza legarli, fornendo loro, piuttosto, la possibilità di camminare da soli, ad ognuno secondo la sua misura. Questa è Rebecca: una madre che sa sciogliere i legami che impediscono ai figli di andare; una donna capace di usare l’astuzia, il nascondimento e persino l’inganno per non mandare nudi, nella vita, i propri figli.