Inizia con questo articolo una nuova rubrica di MC dedicata al mondo giovanile. Il “Sinodo dei Giovani” appena celebrato giustifica la scelta di dedicare uno spazio a questo ambito, ma sarebbe limitato esaurire il tema fermandosi alla cronaca dell’assemblea sinodale: i prossimi articoli perciò toccheranno argomenti differenti ma sempre in stretta connessione con il mondo giovanile e con il mondo in generale. Perché parlare di giovani non è soltanto prendere in esame una porzione anagrafica di popolazione, è anzitutto riflettere sul tempo, sul passato e, molto di più, sul futuro.

 

Un sinodo per non navigare a ritroso

«Nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da cura, tanto meno i giovani» (card. Martini)

 di Valentino Romagnoli
responsabile della Pastorale giovanile dei Cappuccini dell’Emilia-Romagna

 Retrotopia

«Abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso.

Il futuro è finito alla gogna e il passato è stato spostato tra i crediti, rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui le speranze non sono ancora screditate. Sono gli anni della retrotopia. La direzione del pendolo della mentalità e degli atteggiamenti pubblici è cambiata: le speranze di miglioramento, che erano state riposte in un futuro incerto e palesemente inaffidabile, sono state nuovamente reimpiegate nel vago ricordo di un passato apprezzato per la sua presunta stabilità e affidabilità. Con un simile dietrofront il futuro, da habitat naturale di speranze e aspettative legittime, si trasforma in sede di incubi».
Così Zygmunt Bauman si esprimeva in Retrotopia, una delle sue ultime e amare opere: siamo immersi nella paura di pensare al futuro e nella tentazione di guardare indietro a un passato mai realmente esistito ma immaginato come riparo sicuro. E purtroppo ogni giorno questo triste ripiegamento nel passato è costatabile, nella chiusura in sterili nazionalismi, nella mancanza di fiducia che genera denatalità, nello straniamento verso realtà virtuali.
Da questa tentazione purtroppo non è esente neppure parte del mondo ecclesiale e un po’ ovunque si registrano nostalgie e ripiegamenti verso tradizioni, pizzi e merletti e mode del passato. Non ci sarebbe nulla di sbagliato se in quel passato si cercassero le nostre radici e i valori fondativi di una Tradizione perenne che dà direzione all’oggi; purtroppo però l’impressione è che il passato venga cercato come fuga all’indietro, come rifugio, per paura di un futuro sempre più indecifrabile.
Se non si vuole rimanere incastrati nel passato, l’unica soluzione è incamminarsi verso il futuro, e per la Chiesa questo vuol dire una cosa: guardare e ripensare al proprio rapporto con il mondo giovanile. Perché i giovani «il futuro lo vivono già, giocano un gioco ancora non scritto, ne anticipano le regole, e in questo gioco “fuori schema” gli adulti non possono che perdere. Ecco perché gli adulti hanno sempre temuto i giovani e hanno sempre tentato di farli tacere, perché i giovani sono anticipatori del futuro» (M. Speight).
Il senso di questa rubrica vuol essere questo: guardare e camminare verso il futuro, senza temerlo troppo (perché, inutile nasconderlo, il futuro fa sempre un po’ paura), interrogandoci sul mondo giovanile portatore di quel futuro.

 Chiesa e giovani

Per iniziare, cominciamo con il dire che il binomio “Chiesa-giovani” è problematico in sé. È innegabile che la Chiesa, perlomeno quella italiana, non splenda per dinamismo creativo verso le nuove generazioni (basti guardare all’età media di una celebrazione domenicale qualsiasi), e allora giustamente ci s’interroga su come la Chiesa possa avvicinarci ai giovani, mettersi in loro ascolto, recuperare linguaggi e terreni comuni. Ma questa ricerca sottintende che la Chiesa percepisce i giovani come un corpo estraneo, qualcosa di diverso da sé. Ora, se i giovani sono visti come qualcosa di altro, vuol dire che la Chiesa si sente “vecchia” (nel senso peggiore del termine), senza più nulla da dire o da dare, e una comunità che così si percepisce somiglia drammaticamente alla Chiesa di Sardi dell’Apocalisse a cui viene detto: «Ti si crede vivo e invece sei morto» (Ap 3,2).  Questo è il primo e forse il più grande dei problemi: la Chiesa ha davvero rinunciato a vedersi e a sentirsi giovane?

 C’è chi dice no

A ben vedere, non che non si sia tentato nulla, al contrario. Sono molti i soggetti che negli ultimi decenni non si sono rassegnati al “si è sempre fatto così”, che si sono sporcati le mani estraendo «dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche», come il buon scriba del Vangelo (cfr. Mt 13,52). Vediamone alcuni.
Le GMG ed eventi affini: tutto è iniziato con Papa Giovanni Paolo II che nell’ormai lontano 1986 ha istituito le GMG dando così il via alla lunga stagione degli “eventi”. Certo, a volte possono sembrare fini a sé stessi, senza continuità con il resto della vita ordinaria, ma qualcosa hanno pur smosso, e alla prova dei fatti questa si è dimostrata un’intuizione davvero profetica, che va incontro al naturale desiderio di aggregazione particolarmente avvertito dai giovani.
I “movimenti”: un altro fattore di vitalità è costituito dai nuovi Movimenti ecclesiali. Un elemento unificante (forse l’unico) di questa miriade di gruppi e gruppuscoli è la loro notevole fecondità spirituale, soprattutto in campo giovanile. Anche questo fenomeno non è esente da criticità, basti pensare al carattere marcatamente identitario e rigido di alcuni movimenti, ma la loro esperienza sta lì a dimostrare che il messaggio del Vangelo ancora oggi attrae e affascina.
Educare ancora: infine non possiamo nascondere la sostanziale tenuta della proposta educativa ecclesiale in Italia, dove le istituzioni “classiche” deputate alla formazione cristiana (e non solo) continuano tutto sommato a riscuotere simpatia e adesione; si pensi al catechismo (checché se ne dica le classi continuano a essere piene), agli Oratori (dove funzionano sono spesso le uniche strutture aggregative), alle Associazioni come gli scout (dopo una flessione negli anni ’90, l’AGESCI è in crescita numerica da oltre 10 anni).

 Soggetti, non oggetti

Questo elenco parziale potrebbe continuare a lungo. Ciò che a noi interessa ora rilevare è che nonostante i luoghi comuni che vogliono una Chiesa vecchia e stantia da un lato e i giovani svogliati e disinteressati dall’altro, nel mondo ecclesiale esistono ancora fermenti e vitalità, così come il mondo giovanile italiano non è affatto indifferente al discorso religioso. Quali sono allora le condizioni perché avvenga un incontro fecondo?
Deve avvenire una sola cosa, semplice ma nient’affatto scontata: serve che i Giovani diventino soggetti attivi della comunità. Diceva il card. Martini: «Nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da cura, tanto meno i giovani. Perciò non ha senso sedere a tavolino su come conquistarli o su come creare fiducia: deve essere un dono. Sono soggetti che stanno di fronte a noi, con cui cerchiamo una collaborazione e uno scambio. I giovani hanno qualcosa da dirci».
Su questi presupposti Papa Francesco ha indetto e condotto il Sinodo dei Giovani e su questo argomento ci soffermeremo nel prossimo articolo.