In questo numero la rubrica “In Convento” offre il suo spazio a “sorella morte” che è venuta a visitarci tre volte: ricordiamo il nostro fratello padre Pellegrino Ronchi, vescovo emerito di Città di Castello, padre Cassiano Iemmi e il fratello oblato Antonio Bravaglieri.

a cura della Redazione

 

 Tre Fratelli diversi

 

IL VESCOVO MISSIONARIO

 

Ricordando padre Pellegrino Tomaso Ronchi

 

Riolo Terme (Ra), 19 gennaio 1930

Perugia, 24 ottobre 2018

 

Uomo buono e gioviale; cappuccino umile e semplice; sacerdote e missionario coraggioso; vescovo premuroso e fraterno

 

Tomaso, questo il suo nome al battesimo, a 15 anni fece il suo ingresso nel noviziato di Cesena ed ebbe il nome di fra Pellegrino da Riolo Terme. Completati poi gli studi di filosofia e di teologia, il 21 marzo 1953 fu ordinato sacerdote. Nel settembre dello stesso anno fu inviato a Roma a studiare diritto canonico: conseguì il dottorato all’Urbaniana. Nel 1956 lo troviamo professore di diritto canonico a Bologna nello studio teologico, di cui nel 1959 divenne Maestro.

 Missioni e Propaganda Fide

Nel 1960, partì missionario in India e fu scelto dal vescovo di Lucknow, Corrado De Vito, come suo segretario. Nel 1964 divenne Vicario generale, ricoprendo tale incarico, con plauso di tutti i missionari, fino al 1970, quando, in seguito all’improvvisa morte del suo Vescovo, fu nominato Vicario capitolare per reggere la diocesi. Poco dopo l’insediamento del nuovo vescovo diocesano, Cecil DeSa, padre Pellegrino decise di fare ritorno in Italia: ormai era considerata conclusa l’opera dei cappuccini bolognesi in quella missione indiana, già provvista di sufficiente clero locale. Nel gennaio 1972 si trasferì nella neonata missione del Kambatta-Hadya in Etiopia.
Tre anni dopo fu nominato Rettore Maggiore del Pontificio Collegio Urbano di Propaganda Fide a Roma. Qui convenivano seminaristi scelti dai territori di missione e di giovani Chiese, per costituire un clero autoctono all’altezza dell’opera di evangelizzazione. Nel 1977 si trovò Rettore anche del Pontificio Collegio Missionario Internazionale di San Paolo Apostolo in via Torre Rossa, istituto nel 1965 dal Papa Paolo VI, con lo scopo di formare umanamente e culturalmente sacerdoti provenienti da tutto il mondo. Nei due delicati incarichi il padre Pellegrino si dimostrò Rettore avveduto e sapiente, dedito alla formazione spirituale, accademica e pastorale perché i suoi studenti acquisissero una personalità libera, consapevole e responsabile per essere missionari con un forte spirito di evangelizzazione. I suoi legami con la Provincia di Bologna rimasero però sempre molto stretti e cordiali.

La nomina a vescovo

Nel dicembre del 1984 fu nominato vescovo della diocesi di Porta e Santa Rufina e fu ordinato il 6 gennaio 1985 in San Pietro da papa Giovanni Paolo II. L’entrata in diocesi avvenne il 17 febbraio. Questa diocesi aveva conosciuto tempi travagliati: zona acquitrinosa, territorio molto vasto e popolazione scarsissima, con clero disomogeneo per la provenienza. Mons. Ronchi si trovò proiettato in una realtà del tutto differente da quella conosciuta e vissuta fino ad allora. Non sapeva neppure dove avrebbe potuto alloggiare per poter risiedere nel territorio della diocesi, in considerazione che da sempre la Curia era a Roma, dove si trovavano gli uffici e il seminario diocesano. Si adattò a usufruire dell’ospitalità dei Fratelli di San Gabriele, lontani ben 16 chilometri dalla Curia, evidentemente con notevole suo disagio, pur deciso a impegnarsi «totalmente anima e corpo per non deludere le attese del Papa e dei fedeli» nell’affrontare «un noviziato durissimo per la situazione della diocesi più che missionaria (parole esatte dettemi dal mio predecessore, Mons. Pangrazio)». Tale situazione disagiata non tardò a degenerarsi, tanto che si trovò ridotto in uno stato di grave prostrazione fisica e spirituale.Così, dopo neppure un anno, il 10
dicembre 1985 fu costretto a dare le dimissioni, prendendo atto dell’impossibilità di continuare a svolgere il suo ministero episcopale. Il 9 marzo 1986 lasciò Roma per ritirarsi nel convento di Bologna, dove potersi curare e vivere in comunità. Qui rimase alcuni anni, prestandosi a collaborare con il card. G. Biffi, arcivescovo cittadino, e sottoponendosi ad adeguate cure. Finché, ormai ristabilito, chiese di poter avere la cura di una piccola diocesi.

 Vescovo di Città di Castello

Il 29 gennaio 1991, fu nominato vescovo della diocesi di Città di Castello. Mons. Ronchi, comunicando la notizia al Ministro provinciale p. Corrado Corazza, gli chiese e ottenne che padre. Giuseppe Fabbri, già suo studente in teologia e suo estimatore, andasse con lui come segretario, almeno fino al 1993. Durante il suo governo la diocesi tifernate conobbe un notevole rinnovamento materiale e spirituale. La Curia e i relativi uffici, alquanto fatiscenti, vennero restaurati e mons. Ronchi, che era attento a tutti, divenne presto popolare e amato per la semplicità, l’umiltà e la capacità di accoglienza. Portava sempre con umile fierezza l’abito cappuccino con la croce pettorale episcopale, e questo suo modo di vestire era quanto mai apprezzato alla gente. Nel 1996 favorì l’insediamento dei cappuccini umbri in diocesi presso il Santuario-parrocchia della Madonna del Belvedere a Canoscio, a 12 Km da Città di Castello, e si impegnò a fondo per la beatificazione nel 1993 della clarissa cappuccina Florida Cevoli (1685-1767). Il 16 giugno 2007, a norma del Diritto Canonico, presentò le dimissioni e fece ritorno a Bologna, nell’Infermeria provinciale. Ma questa sistemazione, che comportava una vita quanto mai lontana dalle forti esperienze precedenti, non era fatta per lui, per cui fece ritorno a Città di Castello, accolto dal Vescovo mons. Domenico Cancian, che lo ospitò con grande carità.

 Ultimi anni in infermeria

Quando la sua situazione di salute ne rese impossibile la permanenza in episcopio, nel 2016 fu accolto dai Cappuccini della Provincia umbra come fosse stato un loro frate, che lo ospitarono nella loro infermeria provinciale di Perugia. Qui mons. Ronchi ha trascorso gli ultimi due anni della sua vita. La morte di mons. Pellegrino Ronchi fu annunciata nella diocesi di Città di Castello con un comunicato nel quale si legge: «Viene ricordato con affetto per la sua amabilità e disponibilità ad essere prossimo con tutti coloro che chiedevano un conforto e per aver dato impulso a varie attività pastorali e caritative». Il vescovo mons. Domenico Cancian, nella lettera pastorale al termine della visita pastorale alla diocesi negli anni 2016-2018, così lo volle ricordare: «Inizio questa lettera con un sincero e doveroso “grazie”, che credo condiviso da tutti, al Signore per il dono del carissimo vescovo Pellegrino Tomaso Ronchi che ci ha lasciato il 24 ottobre scorso. Dal 1991 al 2007 ha guidato come Pastore la Chiesa Tifernate mettendo in atto il suo motto: “In tuo sancto servitio” (nel tuo Santo Servizio). Servizio come uomo mite, buono, gioviale; come religioso cappuccino umile e semplice; come sacerdote e missionario coraggioso; come formatore e vescovo».

 Monsignore e padre Pellegrino riposa ora nella cripta della Cattedrale di Città di Castello.

Nazzareno Zanni

 

I