L’amore che sta

Dove Etty insegna a diventare balsamo

 di Francesca Giovanetti
volontaria al Campo di lavoro di Sighet in Romania

 I nomi e i volti

Adelin, Monika, mamma Betty, Duti: se devo pensare a come raccontare la Romania, le prime immagini che mi appaiono nella mente sono i volti, i ricordi più vivi sono le storie, le parole più ricorrenti sono i nomi. Ciò che ha reso questo viaggio un campo missionario è stato l’incontro diretto con le persone e la grazia di poter vivere la fraternità.

Siamo partiti in dodici, dopo un paio di incontri, alla volta di Sighet Marmatiei. Il gruppo era eterogeneo per età, personalità e provenienza e ciò ha permesso di allargare i miei orizzonti, di calarmi in una realtà non solo come singola, ma con punti di vista molto differenti.
Etty Hillesum, una scrittrice ebrea morta ad Auschwitz, è stata la figura guida del campo. Questa ragazza ci ha guidato nell’intrigante tema dell’amore, insegnandoci che amarsi significa riconoscere a noi stessi di avere un valore, prendere consapevolezza di sé per poi donare agli altri la propria parte migliore con il fine di ‘essere balsamo per le ferite’ (Diario 1941-1943).
Durante le due settimane di campo ho conosciuto la realtà della Romania e in modo specifico di Sighet. Il Gruppo Speranza è sicuramente la componente che più mi è rimasta nel cuore: è composto da ragazzi dai tredici ai diciotto anni, segnati da ferite. La comunità dei cappuccini accoglie i ragazzi nei momenti di svago, propone loro incontri e attività educative con il fine di togliere i giovani dalla strada e mostrare loro la possibilità di un futuro. Una caratteristica che non manca ad ognuno di loro è la forza, la volontà con cui superano le difficoltà, sicuri di voler essere loro gli artefici del proprio futuro. Papa Francesco al sinodo dei giovani a Roma ci ha detto: «I sogni sono importanti, ti svegliano, ti portano in là, sono le stelle più luminose, tengono il tuo sguardo largo, ti aiutano ad abbracciare l’orizzonte, a coltivare la speranza in ogni azione quotidiana».

 La mancanza che avvicina

Credo che i ragazzi di Sighet siano una testimonianza concreta della direzione che anche noi giovani italiani dovremmo seguire: se la nostra difficoltà sta nell’aver un futuro poco nitido, i ragazzi rumeni hanno i sogni chiari e ambiziosi nonostante il terreno sia apparentemente poco fertile. Padre Filippo, il fondatore della missione, ha fatto in modo di creare un gruppo, una comunità di persone, per fare capire ai ragazzi che non sono soli, perché è così: tutti quelli a cui manca qualcosa hanno qualcosa in comune. Papa Francesco direbbe: «Il contrario dell’io è il noi, i sogni grandi generano vita nuova».
Assieme al Gruppo Speranza abbiamo organizzato i campi estivi. I bambini ci hanno accolto a suon di abbracci e affettuosità; la semplicità e la capacità di divertirsi con i giochi più semplici non manca. La tombola è il gioco più noioso che io conosca. Non ci passerei nemmeno l’attesa della notte di capodanno. Non mi emoziona nemmeno la possibilità di vincere. La tombola è il gioco preferito dai bimbi di Sighet: due ore di tombola e poi gli attesi premi! Bambini con maglie piene di giocattoli. Da vedere la scena: padre Anton che riempie un bimbo ingordo di giocattoli, finché ce ne stanno gliene dà, la saccoccia della maglia straborda.
La mamma mi urlava per giorni di sistemare la camera e quando cedevo scocciata la riordinavo. Talmente tanto che tutto quello che non mi andava di ordinare lo buttavo via: biro, fogli da disegni, mozziconi di pastelli, piccoli giocattoli… Eccoli. Il bimbo è pieno di quei giocattoli. Quelli italiani. I nostri scarti. Uguali a quelli che non mi andava di riordinare e che, a mio parere privi di valore, buttavo nel cestino.

 Accogliere, esserci, stare

Noi campisti alloggiavamo in due ambienti molto significativi: chi nella casa-famiglia e chi negli “Appartamenti Don Bosco”. Il primo è una vera e propria famiglia in cui minori soli e in difficoltà vengono accolti e cresciuti come figli. Il percorso che viene proposto vuole andare oltre gli orfanotrofi, realtà molto presenti in Romania, e dare ascolto ai desideri dei ragazzi. George e Ioana sono presenti e attivi nella vita dei figli, aspetto non scontato per una famiglia rumena e questa attenzione fa sì che loro riconoscano nei genitori degli esempi sicuri, affidabili. Gli “Appartamenti Don Bosco” sono uno stabile in cui vengono accolti maggiorenni che escono dagli orfanotrofi o che decidono di intraprendere uno stile di vita fuori dall’ambiente della strada con l’obbligo di andare al lavoro e risparmiare per il futuro.
Cosa mi sono portata a casa? Una parola secondo me chiave è “accoglienza”: all’apparenza si tratta di accettare giovani simili a me sia per età che per passioni e interessi. La diversità sta nel background: accogliere l’altro non per come si mostra, ma per i segni del passato che porta dentro. Ecco allora che posso trovare un po’ di Romania anche qui, proprio qui in Italia dove siamo tutti simili dal punto vista culturale e storico, ma molto diversi se pensiamo ad ognuno di noi come singolo. Etty ci insegna che la maturazione affettiva consiste nella capacità di saper accogliere l’altro per quello che è, sapendo reggere la propria frustrazione nell’incompatibilità, pensando che se una persona va bene al Signore per quella che è, chi sono io per cambiarla?
Accogliere, ma anche lasciarsi accogliere con fiducia; la gioia più bella, infatti, è stata quella di vivere in un clima famigliare e gustare il dolce sapore della fraternità. Quello che ci è stato richiesto non era un esserci per fare, ma piuttosto per stare, per condividere, per ascoltarci. Ci siamo riconosciuti fratelli perché figli dello stesso Padre, e tutti bisognosi dell’altro.