Ricordando Fra Gabriele Contini

Frate accogliente, passò la vita nel servizio dei confratelli

 

Vimignano di Grizzana Morandi (Bo), 24 giugno 1921

† Reggio Emilia, 21 luglio 2018

 

Fra Gabriele non era un esperto in teologia libresca o un predicatore acclamato. È stata la sua vita ad essere una teologia dall’inizio alla fine, tanto che lo si potrebbe definire doctus theologia vitae. Come la vita di tanti altri fratelli laici, che, nel quotidiano, hanno predicato dal pulpito della loro umile esistenza.

Al suo paese e la sua vocazione

Da bambino, accompagnato dal padre, Pirèla (Pietro), partecipava, assieme ai coetanei, alla vita della sua comunità montanara, fatta di feste religiose e di sagre paesane, dove spesso incontrava tanti frati originari del luogo, saliti fin lassù come per riassaporare il profumo della loro fanciullezza. Così, nel silenzio del suo cuore, si fece strada piano piano il proposito di seguire il cammino di quei frati vestiti di un rozzo abito. La sua salute era fragile, e forse per questo, al suo ingresso nel convento di Cesena, preferì seguire la via semplice di fratello. A diciassette anni fu ammesso al noviziato, manifestando un temperamento docile, amichevole con tutti e laborioso. Pronunciati i voti religiosi, si trasferì poco dopo nel convento di Castelbolognese (RA), e successivamente di Ravenna. Nel 1946, padre Mauro Marchioni, consigliere generale dell’Ordine, suo compaesano, lo volle con sé a Roma come suo compagno. Un impegno che corrispondeva al lavoro di un domestico: riassettargli la camera, lavargli gli abiti, servirlo alla mensa e svolgere qualsiasi altra incombenza che gli fosse affidata. Il pomeriggio libero gli consentiva di visitare la Roma antica e cristiana, che gli divenne familiare soprattutto nelle sue basiliche e nelle sue chiese. Ritornato in Provincia nel 1951, venne destinato al grande convento di Bologna.

 Sempre a Bologna

Rimase membro di questa fraternità per tutta la vita, prestandosi per le pulizie degli ambienti e per il disbrigo dei lavori nel refettorio, nel canavetto e nella cantina. Oltre a preparare il pane, l’acqua e la frutta per la mensa, aveva trasformato il suo canavetto in un laboratorio di chimica enologica: mescolava ogni genere di vini, ricavandone un liquido agrodolce, di colore e di sapore mai uguali, che però a tavola non sfigurava di fronte alla sola acqua, incolore, inodore e insapore. Come per farsi perdonare la sua abilità di frammischiare ogni genere di vino, il giovedì e la domenica passava a ogni frate un bicchiere di vino buono, non esente pur esso da alchimie note solo a lui. Le pulizie a cui era addetto consistevano soprattutto nel passare un pesante spazzolone di legno, opera di ingegneria fratesca, oltre che nel chilometrico refettorio e luoghi annessi, sul largo e lungo corridoio del piano dove riposavano e studiavano i frati: quattro passate su e giù ogni giorno, ciascuna delle quali di oltre centro metri. E così per cinquant’anni. Il calcolo della lunghezza totale del percorso è presto fatto: non meno di otto volte la lunghezza del territorio italiano, dalle Alpi Aurine fino all’isola di Lampedusa (1.300 Km.). E poi i bagni comuni. Vi si presentava due volte al giorno come un medico provetto, con tanto di parannanza blu, per ricucire ogni ferita nella pulizia di questi luoghi così frequentati e riservati. Ma non solo. Era anche comunitiere e forestario. Curava cioè la comunità, luogo che custodiva la biancheria e le suppellettili necessarie per le celle dei frati, e preparava con cura le camere degli ospiti forestieri. Fra Gabriele, avvertito da un colpo del gong situato al pianterreno, li accoglieva con un sorriso e con estrema cortesia, facendoli sentire come a casa propria. 

Il tempo libero

Nel tempo libero fra Gabriele coltivava alcuni hobby, che gli alleggerivano il peso della giornata. Possedeva un violino, scovato chissà dove, e si ingegnava ogni tanto a farlo miagolare come un gatto in amore. Oppure, e questa era l’attività che lo gratificava più di tutti le altre, riparava l’orologio a pendola con meccanica a pesi situata a metà del corridoio su cui si affacciavano le stanze dei frati. Smontava per pezzo per pezzo il meccanismo, dava una limatina in qua e in là, oliava a dovere ogni componente, risistemava il tutto, per poi ascoltare con soddisfazione il lento tic tac della pendola. Fra Gabriele sapeva prendere la vita con una punta di innocente furbizia montanara, che manifestava nelle sue piccole innocue debolezze. Se vedeva una cosa interessante in mano a un confratello, subito gliela chiedeva, salvo poi, pochi giorni dopo, riportargliela con la giustificazione di non averne bisogno.

 Gli anni non risparmiano nessuno

Nei suoi ultimi anni, quando ogni primavera si trasforma in autunno, fra Gabriele cedette gli impegni del refettorio, del canavetto e della cantina a un frate più giovane, riservando per sé il piano superiore del convento, dove continuò ad andare su e giù per il corridoio con il suo spazzolone. Non mancava però mai alla preghiera comune in coro, e quando la preghiera veniva detta in chiesa, o si celebrava la messa, il suo posto era fisso, subito appena fuori della sacrestia. Quando, all’età di 95 anni suonati, l’autosufficienza lo abbandonò, si trasferì nell’infermeria provinciale di Reggio Emilia, e lì ha vissuto gli ultimi scampoli della sua esistenza con grande serenità, tanto da poter affermare, anche se non lo ha mai detto: «Sono un servo inutile. Ho fatto quanto dovevo fare».

Nazzareno Zanni