Dieci figli, otto dei quali consacrati: i coniugi Sergio Bernardini e Domenica Bedonni sono in cammino verso la beatificazione. Poi il ricordo di fra Gabriele Contini. E, infine, il discorso a braccio che papa Francesco ha rivolto ai capitolari cappuccini il 15 settembre 2018.

a cura della Redazione di MC

 Una famiglia

Avventure e peripezie di due sposi cristiani

 di Egidio Picucci
frate cappuccino, giornalista

 Ma quanti figli?

Degli otto figli consacrati, sui dieci che i coniugi Sergio Bernardini e Domenica Bedonni misero al mondo tra il 1915 e il 1928, solo due erano presenti alla chiusura della prima parte della Causa della loro beatificazione che si tenne domenica 18 maggio 2006 nella chiesa parrocchiale di Pavullo nel Frignano, in diocesi di Modena.


Degli altri, quattro (tutte suore Paoline) condividevano con loro la beata visione di Dio; quattro (una, paolina, l’altra delle Ancelle Francescane del Buon Pastore, due sacerdoti cappuccini, di cui uno arcivescovo emerito di Smirne) vivevano tra Roma e Pavullo, insieme a due sorelle sposate. C’era anche un vescovo africano, mons. Felix Ade Job, vescovo di Ibadan e Presidente della Conferenza Episcopale Nigeriana, adottato dai coniugi Bernardini quando era ancora seminarista.
Concludendo la cerimonia, il vescovo-abate di Modena-Nonantola, mons. Benito Cocchi, disse che, tra le otto cause di beatificazione che la diocesi stava portando avanti, quella dei due coniugi era la più significativa «perché ricorda che una famiglia santa contribuisce più di ogni altra istituzione all’educazione dei figli e alla formazione di una società in cui si vive nella tranquillità dell’ordine». La gente che affollava la chiesa seguì con stupito silenzio la cerimonia che, pur esprimendosi in un incomprensibile linguaggio giuridico, fece capire la serietà con cui la Chiesa si muove in un ambito così delicato qual è quello del misterioso lavoro della grazia nell’anima dell’uomo. 

Papà Sergio e Mamma Domenica

Papà Sergio veniva da Sassoguidano, dov’era nato il 20 maggio 1882, e dove si fece stimare da tutti per la serena maturità che lo distingueva dai coetanei, un’avvenenza che gli attirava la simpatia di tutti, unita a un’intelligenza vivace e a una rara attitudine ai lavori manuali. «Quant’è buono il Signore! mi ha dato veramente tutto», ripeteva quando dalla giovane sposa, portata all’altare a 25 anni, ebbe tre figli in cui vedeva dei piccoli Gesù entrati furtivamente in casa. Era il ritratto della felicità che si cambiò in sorprendente rassegnazione quando, nel giro di quattro anni, seppellì nel piccolo cimitero montano il padre, la madre, il fratello, la moglie e i tre figlioletti. 
Gli restavano solo i debiti che pensò di poter estinguere andando a lavorare in America. Partì; ma quando si accorse che la “civiltà” americana minacciava di fargli perdere la “civiltà” cristiana, rimpatriò subito, chiudendosi di nuovo nel mulino paterno. Incontrò Domenica e si sposarono il 20 maggio 1914, chiedendo a Dio di «avere tanti figli e tutti consacrati a Lui». Forse lo dissero pensando a una consacrazione spirituale, come facevano tutti i genitori del tempo; invece Dio “capì” nel senso letterale, e i piccoli restarono in casa quel tanto che servì per imparare come si diventa buoni, poi sciamarono come rondini prima per chiudersi in convento, poi per annunciare il vangelo in Giappone, Australia, Messico, Brasile, nelle Filippine, a Formosa, in Turchia.
Mamma Domenica versava lacrime di consolazione e li accompagnava con poche parole: «Andate! Più che nostri, siete di Dio: andate dove Lui vi chiama. Benedette figlie che andate a fare del bene. Noi siamo con voi e vi aiutiamo tutti i giorni con la preghiera. Sì, piango, ma piango di gioia». Papà Sergio, tranquillo e sereno, commentava: «Se vogliono prendere questa strada, vadano: è una strada buona. Dio le benedica».
I vicini dicevano che «tanti figli avrebbero mandato in rovina la famiglia»; Sergio, che dava ai figli del “voi”, dimostrava che essi, proprio perché molti, erano i più educati e i più studiosi, dato che, oltre a emularsi a vicenda, c’era chi li guidava più con l’esempio che con la parola. A dir la verità, mamma Domenica scrisse di essere stata un po’ troppo severa, «perché lo credevo necessario»; e può essere anche vero, ma le figlie gliene furono grate, augurandosi che «tutti potessero avere la fortuna di crescere in una famiglia come la nostra».
Un giorno mamma Domenica, grata a Dio per i figli sparsi nel mondo, anche a nome di suo marito scrisse a padre Mariano da Torino, il Frate della televisione: «Non potremo mai ringraziare il Signore abbastanza di averci dato tanti figli… Abbiamo fatto tanti sacrifici per educarli, ma abbiamo avuto tante consolazioni… e possiamo dire di aver già avuto la ricompensa, anche per la parentela che è grande quanto il mondo, dove alcuni di essi lavorano. Dico queste cose solo per fare un po’ di bene e per incoraggiare tante mamme a non temere di avere molti figli, perché il Signore sa ricompensare anche su questa terra».

 Senza aggiungere un Gloria

La casa viveva in una serena tranquillità agreste e liturgica, santificata dalle preghiere quotidiane di papà Sergio per i figli («Prego per loro tutti i giorni - diceva - ma senza aggiungere un Gloria in più neppure quando sono malati», volendo dire che si rimetteva alla volontà del Signore), e dalle massime che ripeteva perché entrassero nella loro testa: «In questa terra c’è solo il peccato, che si possa maledire»; «L’uomo si castiga da sé»; «Sia fatta in tutto e per tutto la volontà di Dio»; «Sempre bene non può andare, ma neppure sempre male».
 Quando andava male per la sua famiglia, diceva che «bisogna pur farla questa volontà di Dio, come diciamo tante volte nel Padre nostro»; quando andava male per le altre si muoveva per confortare, trovare aiuti, sostituire chi non poteva lavorare, tenere in ordine i campi, interessarsi dei bambini. 

Il bene ha un corrispettivo in cielo, ed è il regno da parte di Dio, e uno in terra, ed è il patimento da parte degli uomini. Per questo non gli furono risparmiati pettegolezzi e calunnie che coinvolsero anche Domenica. Il loro commento fu semplice: «Stiamo benissimo in tutto, benché siamo in piena persecuzione: ci sentiamo a posto. Siamo cristiani e terziari francescani, e dobbiamo imitare Gesù nel perdonare le offese e nell’accettare le sofferenze. Sia lodato Dio».
Altri, invece, confessavano che in casa loro «si sentiva qualcosa di diverso»; e una figlia, tornata dalla missione, dichiarò che «vivere con i genitori è come fare un corso di esercizi spirituali; vederli condurre una vita ammirabile di preghiera e dedita alle opere di carità, impone necessariamente un esame di coscienza».
Sparsi per il mondo, i fratelli Bernardini si trovarono tutti insieme solo tre volte: nel 1955 in modo fortuito, nel 1964, per le nozze d’oro dei genitori; la terza volta in piazza San Pietro nel 1983, attorno a papa Giovanni Paolo II, incredulo di fronte a quello che vedeva e a quello che gli veniva detto. 

Ritrovarsi

Tre anni dopo papà Sergio morì, purificato da ventiquattro mesi di notte oscura che lo preparò all’incontro immediato con Dio. Le idrie d’acqua si cambiavano in vino. Più la sua carne si faceva povera e fragile, più la sua anima suggeriva immagini di gloria eterna. «Vedendolo - disse un’infermiera che lo accudì in ospedale - mi pare di riconoscere in lui il padre di santa Teresa del Bambin Gesù: tale e quale».
Mamma Domenica gli sopravvisse cinque anni vissuti nella preghiera. Sentiva di essere in esilio, in prestito alla terra. Raggiunse Sergio al tramonto del 27 febbraio 1991, accompagnata dal suono a festa di tutte le campane del paese, come lei stessa aveva chiesto.