Si può fare!

Vivere l’ospitalità, nei modi che la vita propone, è una scelta possibile

 di Elisa Fiorani e Stefano Folli
francescani secolari di Faenza

 «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli»: con questa frase l’autore della Lettera agli Ebrei invitava a vivere con la porta aperta. Fin da quando eravamo fidanzati, abbiamo sempre sognato di essere una famiglia accogliente, aperta alle necessità che ci si sarebbero presentate lungo la via. E un’altra frase, questa volta di Francesco d’Assisi, ci risuonava come progetto di vita: «Rendete grazie e restituite».


Sono passati ormai sette anni da quando Lorenzo, una settimana di vita e una madre che non lo aveva riconosciuto, ha condiviso con noi le sue prime passeggiate e i suoi primi pianti notturni, prima di essere accolto dai suoi nuovi genitori adottivi, e sei anni da quando, davanti ad un tè ed alcuni pasticcini, abbiamo fatto la prima conoscenza di una famiglia migrante che stava vivendo un momento di particolare difficoltà.
Tra le tante forme di accoglienza possibili, quella dell’affido famigliare ci è sembrata meglio concretizzare per noi quell’invito biblico a non dimenticare l’ospitalità: il dono del nostro amore e della nostra famiglia come qualcosa da condividere, da non trattenere solo per noi.
La nostra esperienza è allora cominciata, dopo la verifica e la formazione con i servizi sociali del nostro comune, con un breve ma intenso periodo (due settimane) di accoglienza in casa di un bambino nato da pochi giorni, in attesa della nomina della sua definitiva famiglia adottiva. L’accudimento a tempo pieno di cui necessita un neonato, insieme all’accompagnamento dei suoi nuovi genitori, che sono stati con noi alcuni giorni, ci ha fatto pienamente sperimentare la gratuità e la bellezza dell’accoglienza. E ancora oggi ricordiamo con gioia quella piccola esperienza in cui ci siamo aperti all’ospitalità e teniamo in bella evidenza nel salotto una foto dei nostri due figli “naturali” sorridenti vicino al piccolo neonato nella culla.

 La famiglia si allarga

Dopo poco tempo, è cominciata un’altra esperienza, questa volta molto più lunga (e che ancora oggi prosegue), di appoggio a tre fratelli (due, quattro e cinque anni quando sono arrivati da noi). La nostra disponibilità, in questo caso, era ed è ancora limitata al fine settimana e si è necessariamente dovuta integrare con una rete di altre persone, coordinate dai servizi sociali. Abbiamo quindi offerto un tempo limitato e qualche volta ci è sembrato di avere fatto veramente poco, ma il nostro “pezzettino”, messo insieme a tutto il resto, ha contribuito all’obiettivo di sostegno e accompagnamento di una famiglia.
E in più ha aiutato i bambini a superare alcune delle loro paure e difficoltà, a trovare un equilibrio, per quanto a volte precario, che dà maggiore serenità e a fare esperienze che altrimenti non avrebbero potuto provare.
È una storia lunga, ormai, che ha passato diverse modifiche e trasformazioni (nel frattempo, ai tre fratelli si è aggiunta una quarta sorella, che oggi ha quattro anni), ma nella quale abbiamo voluto mantenere fermo il nostro esserci. Per noi, ha significato un’esperienza di accompagnamento reale e fedele, segnata, come è la vita, da grande gioia e dalla fatica di alcuni momenti. Esserci, restare a disposizione, stare accanto, è stato il significato profondo di un percorso che ci ha portato un legame molto arricchente.
Ospitare tre (ora quattro) bambini in casa, anche solo per un tempo limitato, significa necessariamente doversi riorganizzare un po’: comprare dei letti, fare spazio negli armadi, aggiungere sedie e pensare a come rendere speciali sei compleanni l’anno. Per andare al mare è necessario chiedere l’aiuto di un nonno o di amici (noi abbiamo solo una piccola auto da cinque posti); la pulizia e l’ordine della casa vengono messi un po’ in secondo piano; bisogna sdoppiarsi per seguire i compiti di tutti; avere mille occhi quando si gira a piedi per strada. E via dicendo. Ma ci sentiamo di poter dire che la relazione che si è formata ha dato molto a tutti, a noi, ai genitori che hanno chiesto l’appoggio, ai bambini che abbiamo accolto e ai nostri figli.    

 
Yes, we can

Proprio la collaborazione e il coinvolgimento dei nostri due figli naturali, di poco più grandi di quelli accolti, sono stati senza dubbio tra gli elementi fondamentali per la riuscita dell’esperienza di accoglienza. Michele e Caterina hanno grandemente contribuito al progetto, facendoci sempre sentire questa scelta come un’esperienza “normale” e anzi stupendosi quando riferivamo loro di dubbi e perplessità da parte di altre famiglie.
Quel loro stupore, in realtà, è un po’ anche il nostro. Essendoci costantemente confrontati con i servizi sociali e con altre persone e famiglie che si sono aperte all’affido, ci siamo resi conto che ci sono tante forme di accoglienza possibili, essendo tanti e diversificati i bisogni. Chiunque può mettersi in gioco in qualche modo, in base alla propria disponibilità, accogliendo l’invito ad aprirsi alle relazioni che, anche solo per un piccolo pezzo, possono cambiare in meglio le nostre vite e quelle di chi ci ritroviamo a fianco. Perché allora ci sono ancora così poche persone che si lanciano? Perché prevale la paura di non essere in grado o di non essere adeguati? Come vorremmo che l’ospitalità diventasse uno stile di vita “normale”, quasi dato per scontato, soprattutto all’interno delle comunità cristiane!
L’ospitalità data nell’esperienza di appoggio famigliare per noi ha significato potersi aprire anche ad altri incontri: la ragazzina finlandese di dodici anni in progetto Erasmus per una settimana; il corrispondente francese con cui nostro figlio ha fatto uno scambio linguistico a scuola; le persone invitate come relatori per un incontro organizzato dalla nostra fraternità e che devono fermarsi per una notte; degli sconosciuti che, desiderando visitare una mostra, ci hanno contattato attraverso la rete dei Bilanci di giustizia…

 Un cammino da fare insieme

La nostra attuale esperienza di accoglienza deve buona parte del suo “successo”, se così lo vogliamo chiamare, alla capacità della famiglia che stiamo accompagnando di riconoscere di avere un bisogno e di affidarsi e avere fiducia, nei servizi sociali e in noi. Questo ha permesso di non creare fratture e separazioni, di non confliggere, di andare tutti nella stessa direzione. Di sentirci chiamare prima “mamma” e “babbo” per giustificabile confusione, e poi subito semplicemente Stefano ed Elisa, degli “zii” speciali, dei quali raccontare nei temi del lunedì a scuola.
Perché l’ospitalità offerta e l’ospitalità ricevuta non sono mai una questione di spazio fisico e di organizzazione, di necessità e bisogno, e neppure una questione di possibilità e di capacità. Non sono questi i tratti essenziali. L’ospitalità offerta e l’ospitalità ricevuta richiedono un pizzico - piccolo piccolo - di coraggio iniziale, nel chiedere e nel dare. Il resto è un bel cammino, con salite e discese, da percorrere insieme a qualcuno, meglio se in comunità, e che, senza false retoriche, trova nell’amore e nell’unità della famiglia umana la sua ragione d’essere e di divenire.