«Oggi vi racconto una storia della Bibbia, antichissima e moderna: è la storia di un uomo che si chiama Abramo. Dalle tre religioni monoteiste, viene considerato il padre della fede…» la voce di Maura si fa largo nella confusione. La sala è stipata. Nella stanza c’è un gran caldo e un brusio di sottofondo rende faticoso l’ascolto. Ronza una certa agitazione nel cerchio che oggi pare particolarmente irrequieto.
a cura della Caritas Diocesana di Bologna
Vivere? Connesso a cambiare
Da Abramo che parte a Maurizio in contatto con Dio
Il tè delle buone notizie
Prologo biblico
Maura alza un po’ la voce, stringendo gli occhi «La storia è ambientata in medioriente e comincia quando Abramo ha già 75 anni; è un uomo ricco, sposato ma senza figli, ed è l’erede di un piccolo impero, perché suo padre ha messo su un’impresa redditizia: costruisce statuette che rappresentano i tanti idoli che la gente compra da adorare…
Ma un bel giorno Abramo capisce che quella non è più la sua vita. Abramo sente che c’è altro per lui via di lì. Sente che deve “rompere” col padre e che fa? Distrugge tutte le statuette degli idoli costruite dal padre e parte. Senza nemmeno capire che direzione deve prendere, va. Parte seguendo la promessa che il Signore gli fa di avere un figlio, di essere generativo nonostante l’età. Butta tutto all’aria e abbandona di colpo la situazione di stabilità che già vive, scommettendo tutto sé stesso e il suo futuro su questa parola che sente rimbombare dentro …».
Il coraggio di non rimanere
«Scusate, scusate… ho bisogno di andar via! Non voglio restare ancora, ma sono qui per dirvi una cosa» improvvisamente una voce erompe dal cerchio. È Antonio. Le sue parole traballano uscendo. La bocca serrata le butta fuori acuminate, indurite da rabbia e dolore. Come una lava incandescente, invadono tutto, infuocate. Non riesco a capire bene quello che dice. Emozione e dialetto si fondono e creano un linguaggio nuovo, difficile da comprendere. A fatica traduco che Antonio è amareggiato e deluso perché qualcuno del gruppo - «oggi non è presente» dice tra i denti - lo avrebbe offeso, affermando cose brutte di lui alle sue spalle e “interpretando” malamente un suo intervento ad un precedente incontro del tè. «Credevo che ci fossero delle regole qui per il rispetto di tutti e che chi viene le praticasse. Ma non è così. Non voglio più restare qui. Non posso restare». Antonio è in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi. Diverse voci si alzano per convincerlo a restare. «Ma dai, resta Antò!», «Non te ne andare!», «Stai con noi!». Antonio abbassa gli occhi intimidito da tante attenzioni. «No, mi spiace, mi spiace ma proprio non posso…» risponde a fatica ed esce quasi di corsa.
Invisibili schegge di delusione ci investono all’istante: fanno proprio male. Nella mia testa l’idea del tè come luogo dove accadono solo cose straordinariamente belle, quasi miracolose, si spezza, trafitta. Per un attimo mi manca il fiato ma poi scopro di essere grata ad Antonio per aver disintegrato quell’idea-idolo che mi ero costruita. Il tè è certamente un luogo teologico, ma non per questo è una realtà perfetta. Anzi! Mi viene da pensare ad Abramo e ad Antonio e al loro coraggio. Ogni cammino verso la verità di noi chiede davvero di mandare in frantumi ciò che rischia di imprigionarci. E nessuna prigione è peggiore di certe convinzioni auto-prodotte, dentro le quali finiamo per essere carcerieri e carcerati.
Per non essere persone interrotte: la provvidenza tatuata
La voce di Maura mi strappa dalle elucubrazioni: «Vi prometto che cercheremo di capire cosa è successo ad Antonio. Ma ora, torniamo a noi. Abramo quindi è chiamato a compiere un viaggio anche interiore e per farlo deve lasciarsi alle spalle la vita come è stata fino a quel momento. E noi? A noi è mai capitato di sentire, come Abramo, che era il momento di credere a una promessa e di fare un salto nel vuoto? E nel fare questo viaggio alla scoperta di chi siamo davvero, cosa abbiamo vissuto?».
«Ecco: guardate qua» Maria Rosaria mostra fiera una scritta sul braccio «Io me lo son fatto tatuare: niente succede per caso! Perché è proprio così! Nel 2000 ho avuto lo sfratto, giù a Battipaglia dove vivevo da trent’anni. Di colpo mi cadde tutto addosso! Ma mi venne poi una forza dentro che mi diceva: “Vai che ce la puoi fare! Vai che ce la puoi fare!”. Era una voce insistente, forte: quella forza cancellò tutte le mie paure. Feci la disdetta delle utenze, consegnai tutte le mie foto e i ricordi ad un’amica ed il resto lo buttai. Poi andai a Salerno all’ostello della gioventù. Là restai 4 mesi, prima di salire al nord. Sentivo che era il momento di andare e man mano che procedevo, mi venivano le forze per affrontare le cose e proseguire. Anche adesso quando arriva una “chiamata” e c’è una deviazione sul percorso o ci si trova davanti ad un bivio - una malattia magari, ma anche la morte penso sarà così - lo senti dentro che arriva la forza per affrontare tutto!».
«È vero!» aggiunge Daniele «In tre anni io ho perso i miei genitori e quattro fratelli. Ogni tre mesi scavavo una fossa, però sono andato avanti lo stesso. Per forza: che alterative ci sono? Il fatto è che bisogna sbullonarsela da sé! E poi camminando ho capito che io, il mio prossimo, devo ancora conoscerlo e che per amare gli altri prima di tutto, devo star su con le mie gambe e amare me stesso. Io posso contribuire al bene degli altri solo a partire da me, perché gli altri mica li conosco!».
«Anch’io come Abramo sento che la mia vita di adesso non mi piace» interviene Gabriele «credo che possa essercene una migliore per me… Ma non vorrei aspettare di compiere cent’anni per veder esaudita la promessa! Sarebbe una bella rottura di scatole! Eppure ancora non ho voglia di rassegnarmi, forse è perché non voglio più sentirmi una persona interrotta!».
La fiducia dei nonni e la connessione di chi cambia
«Io ho 42 anni. Prima stavo in strada, ma poi ho accettato la proposta di vivere in una casa di riposo per vecchi. Sì, anch’io come Abramo mi sono fidato di una proposta» dice Claudio che lotta da sempre con la dipendenza da sostanze. «Vi dico la verità, ho superato molte cose nella vita perché mi sono fidato delle persone e le persone mi hanno sempre aiutato. Poi certo, mi sono ripreso perché ho capito che anch’io valgo, che a qualcosa ancora servo. Ma questo ve lo devo dire: dove vivo adesso mi trattano come un nipote ed ho imparato tanto da quei nonni. Perché se ci si fida degli altri, anche gli altri si fidano di te e l’aiuto arriva».
«Oh, ma che bello!» esplode gioioso Maurizio «Claudio sta facendo un gran lavoro su sé stesso. Ogni momento della sua vita è un bivio. In ogni momento è costretto a fare un piccolo cambiamento dentro di sé. E sapete cosa penso? Penso che tutti i giorni noi possiamo stare in contatto direttamente con Dio, semplicemente cambiando qualcosa di noi. In fondo è l’esperienza di Abramo, che conosce Dio perché accetta di cambiare. E abbiamo mille modi per cambiare: leggere qualcosa che non abbiamo mai letto, fare amicizia con qualcuno, mettere in ordine lo zaino per eliminare quello che non serve più… Avremmo mille modi per cambiare ogni giorno e per restare in contatto con Dio; come se fossimo sempre connessi con Lui… forte no?».
Il pomeriggio è volato. È tempo di partire. Meglio ancora: è tempo di cambiare.