Mille e una fantasia

La Bibbia ci racconta un Dio che, con creatività, resta fedele alle sue promesse

 di Giuseppe De Carlo
della Redazione di MC

 La fedeltà alle promesse fatte spesso ci spaventa, probabilmente perché associamo la fedeltà alla staticità, all’immobilità, e perciò a qualcosa che ci ingabbia e tarpa le ali alla nostra libertà.

Infatti, tutto in noi è desiderio di movimento, di cambiamento, di novità. E in realtà questo anelito alla dinamicità esprime più genuinamente la nostra verità più profonda di persone vive, capaci di porsi in relazione fantasiosa con noi stessi, con gli altri, con il creato e con Dio. L’immobilità è come un anticipo della morte che paralizza e blocca la possibilità di apertura ad ogni realtà che ci circonda.
La parola biblica si innesta su questa esperienza fondamentale per rivelarci che ciò ci deriva dall’essere stati creati «a immagine e somiglianza di Dio». A differenza del dio della tradizione filosofica aristotelica, il Dio rivelatoci dai testi biblici non è il «motore immobile» che ha innescato il movimento del mondo e della storia umana per poi chiudersi nell’inattività perpetua, ma un Dio che già in se stesso è relazione dinamica e che in rapporto alle realtà create, in particolare all’uomo, si è fatto compagno di viaggio provvidente e fedele.

 Novità e fedeltà si incontreranno

Di se stesso, nel libro di Isaia, Dio dice: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19), e nell’Apocalisse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Dunque, un Dio in movimento, che segue la storia umana creando situazioni e possibilità nuove. E la Scrittura qualifica questo modo di agire di Dio in termini di fedeltà. Ne parla talmente tanto che si può affermare, senza temere di essere smentiti, che «fedeltà» è il nome stesso di Dio.
Novità e fedeltà, dunque, in Dio non si contraddicono. Anzi, la novità è il modo proprio del manifestarsi della fedeltà divina. Dio è fedele a se stesso e alle sue promesse. Sul monte Sinai egli si autopresenta: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato ...» (Es 34,6-7). Usare misericordia, perdonare sono le disposizioni proprie di Dio verso le sue creature, perché egli è così in se stesso: «Sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

 Evenu shalom

Fin dall’inizio della creazione, in relazione all’umanità Dio si impegna con promesse che rivelano il suo desiderio di accompagnare le sue creature in un cammino di felicità, verso un regno dove vige lo shalom, la pace, cioè la possibilità di godere di tutti i doni di Dio: amore, giustizia, fraternità, accoglienza, dignità, ecc. Dove sono banditi soprusi, sopraffazioni, vessazioni, violenze, ecc.
Dio è talmente fedele a queste sue promesse che non si lascia condizionare dalla risposta umana, che molto spesso è in netta opposizione alla volontà di Dio. L’uomo si lascia prendere nella rete della ricerca di una felicità egoistica che finisce per condurlo sull’orlo del baratro della solitudine e della disperazione. Ed è qui che i testi biblici ci stupiscono con la narrazione dell’imprevedibilità della fantasia divina: per mantenere fede alle sue promesse, egli sa adeguarsi alle situazioni concrete in cui, con le proprie scelte, l’umanità è andata a cacciarsi e ritorna ad offrire le opportunità per uscirne e per accogliere il suo progetto di shalom.
Seguendo le culture dell’ambiente circostante, anche in Israele le promesse di Dio vengono a coalizzarsi nell’istituzione della monarchia. Nelle intenzioni di Dio, il re non è un despota che esercita il potere angariando il popolo, ma il suo rappresentante terreno tutto dedito ad assicurare il diritto e la giustizia. In questo modo, le promesse di Dio e le attese del popolo si incontrano nella persona del re. Nasce così l’attesa messianica che, anche se non è esclusivamente regale, ha un ruolo fondamentale nella rivelazione e nella fede biblica. A questa attesa ci si riferisce quando l’angelo Gabriele dice a Maria che Gesù «sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33) e l’evangelista Matteo afferma che «tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi”» (Mt 1,22-23).
Il riferimento è alla promessa che Dio ha fatto a Davide e che ci è riferita in 2Sam 7,14-16: «Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre».
Dio si impegna con Davide e i suoi discendenti con una promessa di fedeltà incondizionata: a prescindere dalla condotta dei singoli re, è la volontà di Dio a rendere stabile la promessa di assicurare per sempre la sua presenza in mezzo al popolo con la mediazione di un re terreno.

 L’attesa messianica

Ed è proprio in questa fondamentale attesa messianica che possiamo ammirare la fantasia di Dio nell’escogitare inaspettate modalità per mantenere fede alle sue promesse. Nel testo del secondo libro di Samuele, che ho riportato, la promessa è incondizionata. Circa un secolo dopo, quando - come era facilmente prevedibile - i discendenti di Davide si mostravano infedeli al compito di essere garanti della volontà di Dio, il Signore ritorna a confermare la sua promessa, ma la condiziona alla fede del re. A nome di Dio, il profeta Isaia dichiara al re Acaz: «se non crederete, non resterete saldi» (Is 7,9b), dove «credere» e «rimanere saldi» sono traduzione dello stesso verbo ebraico ’aman. Non è da pensare che Dio si è pentito di aver fatto in precedenza una promessa incondizionata ed ora la subordina alla fede. Ma è da intendere che egli vuole educare il re e il popolo ad inserire la sua promessa in una storia di relazione, in cui alla proposta fedele di Dio deve essere data la risposta libera della parte umana.
L’adattamento di Dio all’evoluzione della storia umana si rende ancora più evidente quando, a causa dell’esilio babilonese, l’istituzione monarchica ha termine in Israele. Sul trono di Davide non siede più nessun discendente. Cosa pensare? Dio è venuto meno alle sue promesse? Ecco allora che egli escogita «una cosa nuova»: la democratizzazione delle promesse regali. I deportati a Babilonia vengono invitati a ritornare in patria e viene loro promesso: «Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide» (Is 55,3b). Nonostante la mancanza del re, l’attesa messianica continua, perché ancorata alla promessa fedele di Dio, che si evolve in base alle situazioni storiche, ma rimane stabile in quanto Dio non viene mai meno alla sua volontà di assicurare la sua presenza di salvezza in mezzo agli uomini.