Percorrendo strade missionarie, qui si continua a rileggere il documento di papa Francesco Evangelii Gaudium, con la voce turca, rappresentata da fr. Paolo Raffaele Pugliese, missionario ad Antiochia. Il racconto continua poi con un resoconto del Comigi, il Convegno Missionario Giovanile, a Sacrofano in aprile, dove in trecento hanno affrontato il suggestivo tema “Sulla tua parola getterò i miei sogni”.

a cura di Saverio Orselli

 L’eccedente semplicità del vangelo

Un missionario condivide la gioia dell’annuncio

 di Paolo Raffaele Pugliese
frate missionario cappuccino ad Antiochia (Turchia)

 «Che ne pensi del terzo capitolo della Evangelii Gaudium (“l’annuncio del Vangelo”)?» così mi hanno chiesto.

Provo a mettere insieme alcuni pezzi di riflessioni e sensazioni, senza pretese magisteriali, ma solo con l’idea di proporti una risonanza.
Il capitolo inizia con una sezione incentrata sul fatto che l’annuncio del Vangelo è un affare non di/per specialisti, ma di/per tutto il popolo di Dio, e mi piace, perché è vero: prima di essere un’indicazione deontologica (tipo: «oh, chiunque tu sia, devi annunciare!») è un dato di fatto che la maggior parte dei credenti apprende le prime preghiere e le prime parole di amicizia con Gesù sulle ginocchia della mamma o della nonna, il vangelo è per tutti, e si deve diffondere con la semplicità delle cose semplici.
Che il Vangelo e il suo annuncio siano affaire di tutto il popolo di Dio, è anche un rimando molto semplice alla vitalità della nostra fede: facilmente ci facciamo carico della bellezza che sperimentiamo, che di sua natura è diffusiva, per cui ognuno di noi appena vede un bel film o è toccato da un bel brano musicale naturalmente lo consiglia, oppure ancora, mia zia contenta della tinta dei suoi capelli dice a tutte le sue amiche di andare da quel parrucchiere. Il bello è diffusivo di sua natura, e il rapporto con Cristo è l’apice di ogni esperienza di bello, è un film travolgente (e non può esser diversamente), una musica straordinaria sempre fonte di nuove intuizioni e prospettive, capace di muovere a ritmi e melodie antiche e nuovissime, e chi vi si immerge non può non invitare alla visione e all’ascolto (oh, lascio perdere la metafora del parrucchiere, mi pare poco adeguata a Gesù…).

 Annuncio

La prima considerazione rilevante dunque di Francesco – mi pare – intende sottolineare che sta a ognuno lasciarsi coinvolgere dai fronti di senso e consolazione presenti nel Vangelo, per poterli offrire e condividere. Qui si schiude una prima riflessione: da anni incontro cristiani di altre denominazioni, e noto che se noi cattolici siamo poco propensi all’evangelizzazione, nel mondo protestante si trovano credenti molto ‘estroversi’, protesi ad annunciare il Vangelo e farlo con grande entusiasmo, e tuttavia si tratta di un annuncio troppo spesso superficiale, privo di consistenza e perfino irrisorio della potenza del Vangelo. Chi annuncia il Cristo e il suo amore, mi pare che debba anzitutto lasciarsi scavare dall’incontro con Lui. Sono stufo dei predicatori superficiali, e trovo quasi irritante l’uso banalizzato di parole quali ‘amore’ e ‘gioia’, che abbiamo talmente inflazionato da risultare ormai lise e confuse. Credo che ogni credente in Cristo debba non accontentarsi della sua fede, ma cercare e cercare e cercare e cercare quella sapienza semplice e profondissima che il Cristo annuncia, infatti «ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio» (§ 120).

 Cultura

Un altro punto che risveglia in me delle armoniche particolarmente ricche è quello vòlto a distinguere cultura e Vangelo (§ 115-118). Papa Francesco intende sdoganare la comprensione della fede dal cristianesimo europeo che si è servito per lunghi secoli di categorie concettuali filosofiche ritenendole chiave necessaria di accesso al mistero… È chiaro, come Dio infinito è divenuto una carne circoscritta pur rimanendo Altro, così è anche necessario avere sempre la consapevolezza che la nostra comprensione di Dio non è che una comprensione, che non esaurisce il processo di conoscenza ed esperienza che si può avere di Dio!
Nel luogo in cui vivo, i cristiani sono minoranza, sopravvissuta per secoli come piccola isoletta in un mare di musulmani. Ne consegue che i cristiani di tradizione (quelli cioè non convertiti per scelta personale) per preservare la propria identità si sono spesso irrigiditi, strutturando un’identità che non poggia sulla fede, ma su delle categorie culturali… spesso parlando della fede cristiana si sente dire: «ma nella nostra cultura…», laddove per cultura si intende una comprensione culturale della fede (ricordate quando in Italia i politici difendevano il crocifisso in classe come cosa culturale? Ecco una roba del genere…). Si apre così una confusione profonda: et voilà, mi stizzisco… porca miseria, il vangelo non è cultura (anche se è generatore di cultura!) e la eccede!

 La radice

Certamente ognuno di noi nasce e cresce in una cultura (per quanto il contesto ‘fluido’ contemporaneo tenda a indebolire notevolmente la nostra percezione di essa…), e quindi è evidente che l’acquisizione di una mentalità che sia disponibile a spogliarsi persino della propria cultura esige una radice forte alla base, che non sia preoccupata di potature significative… in altre parole se la cultura è quel che mi dà l’identità e le categorie di comprensione, come posso rinunciarvi? Come posso rinunciare alla mia identità? Solo avendo una radice salda: l’esperienza della potenza e dolcezza di Gesù.
Quando conosco il Cristo, e so della sua verità, allora posso esser disponibile anche a questa morte minore.

Questo processo pasquale, di purificazione del Vangelo dalla cultura, esige – come accennavo poc’anzi – una radice salda, che ritrovo nella Parola. Ecco che dunque il papa parla del rapporto con la Parola di Dio, e chiede ai predicatori di non essere pallosi (permettetemi il francesismo…). Per fare questo – dice – si esige un rapporto vivo, continuo, serio, di seria compromissione con la Parola di Dio e con il popolo di Dio, con Cristo e con le storie e la storia.

Credo che proprio questo rapporto è la radice di cui parlavo: solo la Parola sempre eccedente di Dio, frequentata in un rapporto costante, diventa la radice sia per imparare a rigettare il peccato che ci impedisce di vedere la presenza e l’azione di Dio, sia per discernere la provvisorietà della cultura dalla solida definitività del Vangelo.

Infine ho trovato molto bella la sezione finale sul kerygma e sull’accompagnamento. Qui in Turchia facciamo esperienza di persone che cercano e si imbattono in vari modi nel Cristo, e a noi si rivolgono per poterlo incontrare. Le parole del Papa al riguardo sono molto intense e rimandano alla bellezza di quest’esperienza straordinaria di accompagnare all’incontro con Cristo persone che solo in età adulta lo scoprono.