Verso l’infinito e oltre

Il disincanto nella vita religiosa è una nuova potente chiamata

 di Giuseppe Sovernigo
sacerdote della Diocesi di Treviso, psicoterapeuta

 Nelle varie età, a ogni tornante della vita, nella vita di ogni persona, consacrata e non, come nella vita di ogni coppia coniugale e genitoriale, ci sono situazioni e fasi in cui si sperimenta il disincanto o la delusione.

E questo in modo settoriale o esteso a tutta la propria esistenza di fronte al duro reale della vita, ricercato o capitato addosso. Questo reale è sempre parziale, concreto, talora duro a lasciarsi trasformare. Con questo ci si incontra e ci si scontra.
Ne emerge, in modo manifesto o latente, una smentita di se stessi, quasi una sconfessione della realtà, con conseguente disillusione e scoraggiamento riguardo a quella realtà su cui si erano investiti fiducia, credito e progetto: «Credevo, speravo, progettavo pure; invece devo ammettere che la cosa è più dura o ben diversa da come me la aspettavo. Le cose non stanno come pensavo, come mi attendevo».
Sono vari i tipi di disincanto a seconda dei beni investiti, del modo di invertirli e di investirsi. La disillusione riguarda vari settori, a volte tra loro intrecciati: le attese nei riguardi di una data persona o gruppo, le aspettative nei confronti di se stessi e della vita, della chiesa e di Dio, ecc. L’incontro o lo scontro con dati conflitti, con la debolezza propria e altrui tendono ad aprire una breccia nel mondo degli affetti e dei desideri.
Emergono allora alcune domande interpellanti: Quando arriva il disincanto, come e che cosa fare? Perseverare o fuggire? Che senso ha questa esperienza? Quali sono i riferimenti aiutanti? Come perseverare nella strada intrapresa, pur se scottati dal disincanto?

 Perseverare o fuggire?

Il disincanto pone necessariamente ogni persona di fronte a un bivio entro cui di fatto si sceglie: perseverare riscegliendo o fuggire, evadere. Di fatto con il passare del tempo e con la maturazione dell'età sorge la tentazione di un compromesso tra due istanze: le esigenze soprannaturali della chiamata del Signore, quelle della nostra persona di adulti, e le esigenze del vivere comodi, dell’assestarsi senza sacrifici, un compromesso accomodante più o meno esteso.
Talvolta questa situazione di bivio sconcerta assai. Di fatto la persona sta correndo due rischi. Il primo è quello di cadere in un larvato scoraggiamento, nonostante che, a forza di volontà, si cerchi di restare fedeli (la sindrome adolescenziale del perfezionismo, dell'idealismo, del moralismo). Il secondo è quello di illudersi abbassando il proprio ideale a un livello accettabile, raggiungibile, in una parola, possibile. Di fatto si tratta dell’accettazione semicosciente della mediocrità, talora della doppia vita e dell’abbandono. Per rendere la vita religiosa attuabile, si accetta di introdurvi qualche surrogato tra vari possibili, si opera un autosconto. Si cerca allora un centro di interesse umano, una ragione di vita che sia, bene o male, conciliabile con le apparenze della vita religiosa, con una osservanza onesta ma sommaria dei propri impegni.
A volte si soffre nel vedere che le cose cambiano solo lentamente. La tentazione è sempre quella di voler vedere crescere il seme, di non accettare che cresca nella notte, nel silenzio e nell’oscurità della terra. Si soffre l’inerzia che si oppone al cambiamento; questo può accadere in ogni istituzione, anche nella Chiesa. Inoltre si scoprono i difetti, le imperfezioni dei religiosi, dei preti o dei laici che ci circondano. Si guarda dietro le loro spalle. Si sente chiaramente che molti di loro sono allo stesso punto. A che serve tentare l’impossibile? Essere troppo diversi?

 Cercando una svolta

Il tipo di soluzione dell’esperienza del disincanto è strettamente legata sia al tipo di cammino umano e spirituale all’opera nella propria vita, sia al tipo di persona interessata. Solitamente fino a che non si giunge al fondo delle pretese indebite rispetto alla realtà effettiva, non ci sono progressi significativi nel cammino. Reggere il tempo è un pri­mo banco di prova per ogni credente. Reggere il tempo senza perdere la passione, senza stan­carsi di portare una novità che è antica, che esprime non il gusto di cambiare per cambiare, ma di un Vangelo che è sem­pre un inizio, che ripropone la grazia del principio.
La situazione del disincanto è il tempo in cui imparare ad attuare un impatto positivo e fiducioso con il reale della vita, quello proprio, quello delle persone con cui ci si relaziona, con il reale delle istituzioni, di Dio stesso così come si viene rivelando. Se non si abborda francamente questa tappa, si rischia grosso per l’avvenire. Emerge una presa di coscienza dell’impossibilità radicale per le sole forze umane di vivere una vita religiosa soprannaturale, di seguire il Cristo con la sua croce.
Per perseverare nel cammino con vera fedeltà, occorre necessariamente una svolta, un salto di qualità. La fedeltà è a una persona, a Gesù Cristo. Per gli apostoli allora risuonò la seconda chiamata di Gesù in piedi sulle rive del lago, mentre i discepoli erano quasi ripresi dal gusto delle attività di prima (Gv 21,1-19). Questa seconda chiamata viene da un Cristo che non appartiene più completamente alla terra. Questa volta strapperà gli apostoli non solo alle cose e alle attività, ma a loro stessi, donandoli agli uomini in nome dell’amore.
Lo stesso avviene per ogni persona che vuole rispondere generosamente a Gesù che chiama e invia. La seconda chiamata di Gesù strappa da se stessi, questa volta sul serio e senza illusioni, per donarsi ai fratelli con totalità e a Dio. Ogni vocazione è unita alla vocazione sacerdotale e pastorale della chiesa.

 Andare fino in fondo

Stare nella Chiesa chiede pazienza. Occorre portarne le lentezze e regger­ne i conflitti. Proprio questa condizio­ne di permanenza, di sopportazione diventa luogo di prova, di crisi rivelatrici per il discepolo. Emer­gono non solo le motivazioni più profonde e più vere, ma anche le fragi­lità e le fatiche. Fare i conti con la pro­pria debolezza è certamente un passag­gio necessario in ogni esperienza dì di­scepolato.

In questa tappa decisiva della vita spirituale deve effettuarsi, per una ulteriore volta, la scelta tra due polarità: tra Gesù e il mondo come lo intende l’apostolo Giovanni; tra l’eroicità della carità e la mediocrità trascinata o verniciata; tra la croce e un certo benessere che installa su di sé, sulla difensiva; tra la santità intesa come conformazione a Dio e una onesta fedeltà all’impegno religioso. E questo è vero per il singolo come per la comunità o per la famiglia.
Questo è il problema della perseveranza. Non serve a niente cominciare se non si va fino in fondo.
Il veder aprirsi davanti a sé un orizzonte sempre più infinito è una grazia inestimabile perché è la prova che Gesù è presente con la sua luce e che chiama ancora. Perciò occorre scoprire ciò che Gesù aspetta da noi in questo momento critico della nostra vita. Occorre scoprire ciò che egli attende da una tappa che non è regresso, come si immagina, ma una messa in atto delle condizioni per un avvenire più pieno.
Nella prova del tempo, del conflitto, della fragilità e del lasciarsi condurre ci si trova di fronte a una chiamata, a una conversione: il Signore ci chiama a crescere nel legame con lui e nell'amore alla Chiesa, portandoci «oltre». Ovvero più a fondo, entro la profondità del mistero di Dio e del mistero di se stessi e degli altri. Oltre ogni protagonismo, in un cammino che è di spoliazione e di affinamento, di umiltà e di fedeltà. Ci si accorge che il disincanto non è necessariamente un raffreddamento, non è per forza una diminuzione di intensità. È come l’amore. Quello dei primi tempi è certo più irruente, più carico di entusiasmo, ma anche più ingenuo e ancora da vagliare nella sua verità profonda.
Oltre l’immediato del momento. L’oltre di Dio ci porta a conoscere stagioni nuove dell’amore e del servizio, dove viene meno un certo protagonismo e si fa più trasparente il vincolo con il Signore. Oltre la cronaca dei fatti. Vedere oltre è proprio di un occhio puro che si è allenato alla fede, che è ormai capace di un amore più intimo e profondo. Occorre imparare a passare dai fatti ai significati che illuminano il cammino. Oltre il tempo presente. Oltre il disincanto è un modo di credere oltre la morte. Oltre il peccato, nell’incontro con la grazia. Oltre ogni distanza che ancora ci separa dal Signore. Oltre la cronaca della chiesa. Anche la Chiesa, vista dall’alto di questo «oltre», assume un volto diverso, più umile e più vero; alla fine più amabile.

 Dell’Autore segnaliamo:
Con Pietro al seguito di Gesù,
1, I passi decisivi;
2, Un amore alla prova,
EDB, Bologna 2009, pp. …