L’esperienza di Mario, novizio di una fraternità Ofs, impegnato in politica, ricalca le orme dell’anticrociata di Francesco col Sultano. In questa missione di pace a Kabul, per portare la lampada della pace di Assisi, si ritrova lo spirito di un uomo che incontrava l’altro come fratello, prima che come altro da convertire.

Chiara Gatti

Per un cielo di aquiloni

La gente di Kabul vista con occhi francescani e non dal mirino del cacciabombardiere

di Mario Galasso
Assessore alle politiche sociali della Provincia di Rimini

Image 215Il sale che condisce

Non è sempre facile coniugare l’impegno amministrativo con la responsabilità di cattolico impegnato in politica, in modo particolare nel momento in cui si sceglie di intraprendere un percorso di verifica vocazionale e sembra che la vita personale sia scissa dall’agire politico. Devo riconoscere che l’esperienza che sto vivendo come assessore, complice la sensibilità del Presidente della Provincia, mi sta riservando opportunità inimmaginabili al giorno d’oggi dove i tagli, che colpiscono profondamente lo stato sociale, fanno troppo spesso saltare per prime tutte le attività legate alla pace.

La pace è il sale che condisce e dà sapore a ciò che facciamo. Riflettendo sulla pace penso all’ultimo messaggio di papa Benedetto XVI per la celebrazione della XLV Giornata Mondiale della Pace Educare i giovani alla giustizia e alla pace: «Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente. La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità».

Ricordo i giorni passati pochi mesi fa in Afghanistan. A Kabul piove. La cosa è abbastanza rara. Curiosa. E la pioggia rende ancora più surreale il nostro arrivo il 1° settembre, a dieci anni dall’attentato alle torri gemelle, con una delegazione promossa dalla Tavola della Pace e dall’associazione americana dei familiari delle vittime di quell’attentato. Gli aquiloni ci sono davvero e sono tanti. Li fanno volare i bambini dai cortili, dalle strade, dai tetti delle case. È la prima volta per una delegazione ufficiale di pacifisti occidentali, composta da otto rappresentanti provenienti da diverse associazioni, italiane ed americane, per esprimere prima di tutto un forte gesto di solidarietà con il popolo afgano e rendere omaggio a tutte le vittime della guerra e del terrorismo.

A cosa è servito?

Ma è anche un’occasione per riflettere e porci alcune domande: a cosa è servito scatenare una simile guerra? Davvero non si poteva fare diversamente? E ora, cosa dobbiamo fare? Sono domande fondamentali non solo per noi qui a Kabul in questi giorni, ma per ogni persona che riflette sul senso di scelte che segnano la vita di tante, troppe persone. Kabul sarebbe una città bellissima. Ma oggi è ancora tutta da sognare. E da disegnare. Come l’intero paese. Si sarebbe potuto fare tanto. Costruire. In tutti i sensi. E invece si è perso tempo prezioso.

È stato dato appoggio e spazio ai “signori della guerra”, alla corruzione dilagante che erode risorse e speranze. All’oppio che ora scorre anche nelle vene dei giovani afgani e corre ben oltre i confini nazionali. Ma Dio, che da queste parti invocano con un nome diverso da quello che uso io, ha messo nel cuore di qualche donna e uomo di questa terra la sana inquietudine che non si piega alla rassegnazione. Sono donne e uomini che non hanno mai smesso di contribuire con piccoli passi alla promozione delle donne, a denunciare la corruzione, a promuovere i diritti umani, a informare coraggiosamente.

È una luce diversa da quella delle esplosioni e dei bombardamenti. La guerra e il terrorismo distruggono, sempre. Lo abbiamo visto con le torri gemelle, lo vediamo qui a Kabul, ma è sotto gli occhi di tutti anche la situazione dell’Iraq, della Palestina e di Israele. Perché si sceglie sempre e solo la guerra, con i suoi costi umani ed economici? In Afghanistan l’Italia spende 800 milioni di euro ogni anno. Quante cose si sarebbero potute fare, e si potrebbero ancora fare, da subito, per la gente, per dare quelle cose essenziali che rendono ogni persona degna di questo nome, e non schiava di chi per un po’ d’acqua o di pane ti arruola nella logica della guerra e del terrorismo.

Image 219Demolire i tabù

Siamo stati a Kabul per incontrare le istituzioni presenti, ma soprattutto i rappresentanti della società civile e i familiari delle vittime civili afgane ai quali abbiamo donato la lampada “Luce di Assisi”, segno di pace e simbolo della luce di san Francesco, consegnataci da padre Giuseppe Piemontese, custode del Sacro Convento di Assisi. Che emozione quella luce per me che ho iniziato il cammino di novizio! Il cuore mi porta a Francesco che proprio dalla certezza della fede ricevuta trova il coraggio di presentarsi indifeso al Sultano. Quanta strada devo ancora fare io!

Riflettere è doveroso per demolire dei tabù che portano a pensare, complice una grande disinformazione e una politica interessata spesso solo allo scontro e alla guerra, che tutti gli afgani sono talebani e terroristi e che tutti gli americani sono per la guerra. Visti i risultati disastrosi della guerra, evidenti qui in Afghanistan, perché con tutti i soldi usati per la guerra non ricercare altre strade? Questo l’impegno di ogni costruttore di pace, investire sulla speranza, sulla vita, non sulla morte. Se dobbiamo difendere la vita, forse bisogna intraprendere con maggior coraggio il taglio delle spese per gli armamenti, che “uccidono” anche se non vengono usati.

È significativo il silenzio quasi totale di questi giorni sulle spese militari da parte dei politici. Si potrebbe definire un vero e proprio tabù, che nasconde o rivela grandi interessi. Chi vuole la pace è accanto ai profughi, alle vittime di oggi e di ieri. Bisognerebbe gridare, nel silenzio delle strade di Kabul, che la guerra è un’avventura senza ritorno. Quando lo capiremo? Intanto a Kabul non piove più. Il sole sta tramontando e alcuni bambini sul tetto delle loro case fanno volare in cielo i loro aquiloni colorati. Accanto a me un anziano con la barba guarda e sorride con due occhi pieni di tenerezza, occhi che un pilota che bombarda da cinquemila metri di altezza non può vedere.