Non abbandonarci nella traduzione

 di Dino Dozzi
Direttore di MC

 C’è chi, avendo letto nella prima lettera di Giacomo che «Dio non tenta nessuno» (1,13), si scandalizza e protesta vivacemente perché nel Padre nostro si continua a dire «non ci indurre in tentazione»; e c’è chi, avendo letto la nuova traduzione di Matteo 6,13 nella Bibbia CEI del 2008 («non abbandonarci alla tentazione»), o avendo ascoltato un commento di papa Francesco in una trasmissione televisiva, scrive scandalizzato che «il papa vuole cambiare anche il Padre nostro”. Il peso del “si è sempre fatto così” o del “si è sempre detto così” è certamente enorme. Se ci si aggiungono poi motivazioni sacrali o ideologiche, cambiare diventa pressoché impossibile. Tanto che, pur avendo ormai da dieci anni la nuova traduzione biblica ufficiale dei Vescovi italiani, nell’uso liturgico diciamo ancora “non ci indurre in tentazione”.
Ma non dobbiamo dimenticare che, per passare dal latino all’italiano nella liturgia, ci sono voluti non diciannove anni, ma diciannove secoli! Chi scrive ricorda le messe che serviva da bambino una sessantina di anni fa, con prete e chierichetto che “dialogavano” in un latino quasi maccheronico di fronte - o meglio con alle spalle - una chiesata di pie donne impegnate nel rosario, in attesa del finale “ite missa est”.
Bisogna anche ammettere che in realtà non c’è molta differenza tra la vecchia traduzione (“non ci indurre in tentazione”) e quella nuova (“non abbandonarci alla tentazione”): forse è anche questo il motivo per cui non si è ancora cambiato. Ma perché la nuova traduzione è così simile a quella precedente e non si è avuto il coraggio di tradurre “non abbandonarci nella tentazione”?

Semplicemente perché il testo originario greco non lo permette con quel suo mē eisenénkēs ēmâs eis peirasmón. Il verbo eis-phero rafforzato anche dalla successiva preposizione eis non ammette la traduzione teologicamente più tranquillizzante del “non abbandonarci nella tentazione”, cioè “quando siamo tentati”. E il testo va rispettato, soprattutto se fa resistenza, se è la lectio difficilior.
D’altra parte, male non è la tentazione in se stessa, ma cedere alla tentazione. È vero che Gc 1,13 dice che “Dio non tenta nessuno”, ma nel versetto precedente viene detto: “Beato l’uomo che resiste alla tentazione”. Gesù stesso subisce tentazioni e le supera (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). La tentazione è un esame da superare. È vero che si può anche pregare per evitare gli esami.
Studiando questo discusso versetto nel Padre nostro, c’è anche chi ipotizza che il testo greco non abbia colto il significato delle parole di Gesù che parlava aramaico. In questo senso va qualche rara variante nei codici; ma seguire tale ipotesi è molto rischioso, perché l’unico testo originario ispirato che abbiamo è quello greco: allontanarci da esso significherebbe procedere al buio.
Certo, tradurre significa sempre interpretare ed è sempre un po’ tradire. Ma la costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II ha riconosciuto alle singole assemblee liturgiche il diritto di colloquiare con Dio nella propria lingua. Fino a quel momento, cioè fino a sessant’anni fa, erano solo tre le lingue nelle quali era lecito pregare Dio liturgicamente, vale a dire l’ebraica, la greca e la latina, quelle che figurarono sul titolo della croce. Cirillo e Metodio, a metà del secolo IX, ottennero un’eccezione per i popoli slavi; i riformatori del secolo XVI proposero la liturgia nella lingua del popolo, ma il clima rovente del tempo impedì di accogliere il suggerimento. Il “Motu Proprio” di papa Francesco Magnum Principium del 3 settembre 2017 restituisce alle Conferenze episcopali dei vari Paesi il compito e il dovere, già riconosciuti nel Vaticano II, di preparare fedelmente le traduzioni dei libri liturgici nelle diverse lingue. Dal 12 al 14 novembre prossimi ci sarà un’assemblea straordinaria dei vescovi italiani per discutere ed approvare la terza edizione del Messale romano e chissà che non ci siano novità anche per il Padre nostro con quel suo non facile versetto. Ma comunque Dio è un bravo poliglotta: saprà certamente capirci e non ci abbandonerà neppure nella tentazione.