«Ci sei mancata!»: non appena Maura varca la porta, il grido di festa esplode da Maria Rosaria come uno scoppio di incontenibile felicità. Dopo un periodo di assenza non breve e neppure banale, Maura è finalmente rientrata. Il tè di oggi si apre così, con l’esultanza semplice ed essenziale dell’essersi ritrovati. Per il fatto, bello in sé, di esserci e di essere di nuovo insieme.

a cura della Caritas Diocesana di Bologna

 Chi piange comanda

L’amore unisce obbedienza e libertà

 IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

Bentornata Maura!

Questa volta la sala è stipata, non solo di amici del centro di ascolto, ma anche di tante operatrici che al centro svolgono il loro servizio.

Perlustro lo spazio e con lo sguardo accarezzo contenta un volto per volta. Osservo i presenti chiacchierare, bere e ridere fraternamente, senza distanze o imbarazzi: è una meraviglia. Mi accorgo che le mie colleghe sono proprio belle. Le scopro donne capaci di miscelare con equilibrio competenza e sensibilità, professioniste che del loro ruolo non fanno una barriera di gelida differenza. Di botto, assaporo l’essenza dolcissima che impreziosisce il tè di oggi, la percepisco come un messaggio che filtra fra le parole: “Maura: forza! Tutti noi siamo con te!”. L’amore è un’arte creativa e al tè se ne producono delicati capolavori. Freno il moto di commozione che mi sale da dentro e oriento l’attenzione verso Maura: più sorridente del solito ma tranquilla come sempre, sta avviando il pomeriggio.

 Ambiguità dell’obbedienza

«L’argomento che tratteremo non è facile. Partiamo da una parola impegnativa e controversa come obbedienza… E vi chiedo: quando abbiamo obbedito? Quando invece abbiamo deciso di disobbedire? Come ci siamo sentiti? Che rapporto abbiamo con questa parola spinosa? Sappiamo bene che ci sono contesti dove è consuetudine obbedire... Dunque per voi, l’obbedienza è un dovere oppure no?».
«Ma no!», fa di getto Daniele, bruciando tutti gli altri sul via; «le regole ci sono, è chiaro, ma si può fare di meglio: io ad esempio ho sempre trasgredito! L’obbedienza è rispetto, non c’è dubbio, ma come posso obbedire a qualcosa nel quale non credo affatto? Va da sé che poi se disobbedisci c’è un prezzo da pagare. Io ad esempio da ragazzo ho dovuto far il militare, ma non volevo proprio imbracciare il fucile, vi potete immaginare cosa è successo… alla fine, di mesi in caserma ne ho fatto uno in più perché ero sempre in “consegna”».
«Per me obbedire sta con “fiducia”» sottolinea Maria Rosaria; «l’obbedienza è giusta solo se è chiesta per il bene dell’altro. Io l’ho imparato a mie spese! Quando ero piccola, mia madre mi obbligava a non truccarmi, ma io lo facevo lo stesso, di nascosto. Solo da grande mi sono accorta che aveva ragione e che se le avessi obbedito, non avrei sofferto tanto per le chiacchiere del paese… Secondo me dobbiamo ubbidire solo a chi ci vuol bene. Non a tutti!». «Sì, sono d’accordo» dice Narcisa pacata «bisogna obbedire solo a chi ti rispetta, o meglio, secondo me serve ascoltare tutti, ma poi è importante ponderare bene, considerare tutto e solo alla fine scegliere cosa fare».

«Eh, vabbè! Però non è neppure facile disobbedire», salta su Gabriele con il solito impeto irrequieto, «mio padre era un poliziotto: per lui obbedienza significava “sudditanza”. Vi dico che è veramente faticoso dire dei “no”, anzi a volte bisogna proprio resistere per non dire dei “sì”. A me non è mai capitato di incontrare una richiesta di obbedienza che nascesse da vera autorevolezza».
«Bè per me la cosa veramente difficile è capire “a chi” si debba essere obbedienti», butta là Elisa; «voglio dire che la prima persona alla quale dobbiamo essere obbedienti siamo noi stessi. La questione però è complessa, perché non sono mai compiuta, sono sempre in divenire… Come si fa ad obbedire all’autenticità di me?». «Comunque, fino ad una certa età sarebbe meglio obbedire il 90% delle volte perché non si può certo scegliere da soli», ricorda saggiamente Maurizio.

 Alla ricerca di un punto d’incontro

«Per me obbedienza sta con “rispetto”» dice Leone mentre le parole si impagliano un po’ uscendo, «è una parola pesante questa. La mia infanzia è stata molto all’insegna dell’obbedienza: ero il più piccolo e dovevo ubbidire a tutti. Più grande mi son ribellato: ho cominciato a fare quello che mi pareva, a torto o a ragione e ho scoperto che disobbedendo ero più me stesso. Alla fine me ne sono andato via di casa. Da allora ho cambiato tanti posti per sfuggire all’obbedienza che negava me stesso. Ora sono certo che l’obbedienza va in coppia solo con il rispetto, perché si può obbedire solo se credi davvero nell’affetto di chi ti comanda, altrimenti sai già che rispondi ad un’obbedienza che ti vuol fare diventare un servo».
«Dunque ora la questione è: come mettere insieme obbedienza e libertà?», provoca Maura.
«Bè in effetti quando io disobbedivo, lo facevo proprio per sentirmi libera. Per essere liberi a volte bisogna proprio trasgredire. Si può comprendere davvero solo dopo, come nella storia del figliol prodigo, ricordi Maura?», reagisce subito Maria Rosaria.
«Io ricordo di aver trasgredito il divieto di fumare che mi avevano dato i miei. Mi nascondevo e avevo paura delle loro reazioni e del loro giudizio», si confida Nicolò; «facevo fatica ad assumermi quella responsabilità. Alla fine mi hanno scoperto, ma penso che avrei dovuto avere il coraggio di affermare con loro le mie ragioni. Ecco, forse è il confronto che può far stare insieme obbedienza e libertà». «Io invece oggi mi sento serena e più consapevole delle scelte che faccio, al di là di ciò che mi dicono. Ecco, per me un punto di incontro fra obbedienza e libertà è proprio l’essere consapevoli!»
«A me, viene in mente l’umiltà», dice Maurizio con pacatezza; «se non mi ribello e ascolto senza aggiungere giudizi, posso capire dove è il bene da fare».

 Il potere dei goccioloni

«Per me è la relazione con l’altro il vero punto di incontro fra libertà e obbedienza», è la collega Giulia a parlare; «in fondo è sul terreno della relazione che io esercito la mia libertà di obbedire. Ma è un confine delicato, perché bisognerebbe riuscire sempre ad essere autentici…»: la voce improvvisamente si inceppa e si scheggia. «Scusate...», sussurra e sorride con dolcezza. Goccioloni di commozione le si affacciano agli occhi, si immobilizzano un attimo ed infine si buttano giù a precipizio per le gote, liberi e lucenti. Tutti gli amici del tè si accorgono all’unisono dell’obbedienza da fare a quelle lacrime che chiedono di essere accolte. Da ogni angolo della stanza piovono su Giulia affermazioni di stima e di incoraggiamento. Mille frasi gentili corrono sollecite incontro ai goccioloni in caduta libera: nemmeno uno finisce nel vuoto.
Fra le voci sento il commento di Leone: «Bè possiamo dire che oggi abbiamo fatto noi, il centro d’ascolto a voi!». Riconosco con gioia che ha proprio ragione e comprendo: il punto d’incontro fra obbedienza e libertà è l’amore.