Una necessità per la sopravvivenza, un escamotage per ottenere qualche misero vantaggio, la via della redenzione, un senso di colpa per gli errori commessi, nostalgia per l’innocenza perduta, un triste surrogato utile per dolcificare l’insopportabile amarezza di una pena detentiva. Tutto questo e altro ancora, perché anche stavolta, più della risposta, sembra contare la domanda: l’obbedienza in carcere che cos’è?

a cura della Redazione di “Ne vale la pena” di Bologna

 Giocare x gioire = obbedire?

In carcere, volenti o nolenti, ti tocca obbedire

 DIETRO LE SBARRE

Il gioco dell’obbedienza

È strano come in galera si riesca a cambiare: in questi ultimi anni di carcere posso dire di aver visto la trasformazione di tantissime persone.

Fuori, nel mondo libero, ho vissuto giocando d’azzardo, vivendo la mia vita sul filo del rasoio. Per tante cause, ho preferito la via più breve per arricchirmi, e mentre giocavo a questa roulette russa con la mia esistenza, inevitabilmente, mi sono trovato a giocare in un'altra dimensione: quella del carcere.
Purtroppo qui le cose sono differenti, cambiano tutte le regole e l’unica che è a nostro vantaggio è la regola dell’obbedienza: obbedienza a tutto, senza ribellarsi. Forse, se non fossi stato così testardo, mi sarei risparmiato di essere “estratto a sorte” per partecipare a quest’inutile gioco.
Parlo di gioco perché mi sembra di vivere in un videogame, dove ogni giorno percorri il tuo tragitto esattamente come nella partita precedente, dove, se ti comporti bene e obbedisci a tutte le regole, scatta il premio bonus dei giorni di liberazione anticipata, oppure, per i più fortunati, che conoscono le vie del gioco a memoria, un posto, e non si parla del posto nella propria stanza di pernottamento, ma di un lavoro!
A volte mi chiedo quale sia la cosa più importante per un detenuto durante la sua permanenza in carcere, e incuriosito, ho rivolto questa domanda ad alcuni amici: la stragrande maggioranza di persone ha risposto che per loro è sufficiente avere un lavoro per potersi pagare la spesa; alcuni hanno messo al primo posto la famiglia, la possibilità di avere i colloqui e infine c’è anche chi si accontenta di poter fumare ogni giorno, senza elemosinare qua e là per una semplice sigaretta.
Come vedete il gioco è semplicissimo: obbedire in silenzio per ottenere una sigaretta, per avere la possibilità di fare la spesa e di non dipendere dalle proprie famiglie.
Sarebbe bello però se si potesse vincere anche una vita, magari una vita nuova che ti dia la possibilità di continuare la tua partita, ma al livello successivo a quello del carcere, oppure che siano previsti dei premi partita, come in tutte le competizioni sportive, giusto per non rivedere più la penosa scritta “Game over”.

Pasquale Acconciaioco

 Le tante facce dell’obbedienza

L’obbedienza è quella virtù che un individuo acquisisce già nei primi anni della sua esistenza, e che dovrà accompagnarlo poi lungo tutta la vita, alla ricerca del raggiungimento dell’equilibrio stabile con sé stesso.
Tuttavia, esistono varie forme e sfaccettature dell’obbedienza, che possono essere distinte in attive e passive. Tra le prime penso, ad esempio, a quella spirituale: la persona obbedisce ai dettami di ciò in cui crede, animata dalla ricerca di quella felicità interiore e di quel benessere che solo tramite l’obbedienza potrà soddisfare.
Per quanto riguarda invece l’obbedienza passiva, ritengo che essa sia circostanziata al raggiungimento di un proprio obiettivo, il più delle volte materiale. Penso, in questo caso, al calzante esempio dei carcerati, obbligati all’obbedienza, tanto da essere a volte costretti ad annullare il proprio sentire, quando questo è in contrasto con le regole a cui obbedire. E così il carcerato, stretto nella morsa dell’obbedienza, assiste impotente ad una ulteriore restrizione della propria libertà di scelta, già fragile per definizione nella condizione in cui si trova.
Esistono, insomma, tanti tipi di obbedienza, e altrettante conseguenze in caso di violazioni: si pensi a quella a cui è sottoposto un bambino, che quando infrange una regola viene punito con la negazione di un privilegio, che nel suo caso sarà semplicemente un gioco o un gelato, ma pur sempre un privilegio.
Per queste ragioni, pur pensando che l’obbedienza rappresenti di per sé una gabbia, una prigione, credo fermamente che, diventando la missione di ogni individuo, cesserà di essere una forzatura e diventerà espressione di una sua libera scelta. E voi, a che obbedienza sentite di appartenere?

Daniele Villa Ruscelloni

Obbedisco a me stesso. E non è male.

Se avessi obbedito di più, forse non mi troverei in questa situazione di restrizione forzata, surreale. Ma, paradossalmente, se non avessi disobbedito così tanto nella mia vita, probabilmente, non sarei neppure mai arrivato ad analizzare e valorizzare la parola “obbedienza”. Ho anche avuto modo di capire che alcuni suoi significati (come fare ciò che gli altri vogliono o eseguire meccanicamente gli ordini) non rientreranno mai nella mia indole, ma questo è un altro discorso.
Riflettendo sulla mia vita, ho capito che ho sempre corso per vincere, ma così facendo non ho prestato attenzione a quello che perdevo. La mia vita piena di eccessi, il mio essere sempre ribelle e la mia perseveranza nella disobbedienza mi hanno reso cieco davanti alle cose importanti e mi hanno convinto che la beatitudine era solamente la vita che ho sempre condotto.
Ancora non sento di essere redento al 100%, però, nella continua salita di questo cammino tortuoso, alla parola obbedienza ho voluto dare un significato con un sapore diverso dal solito. Sono prudente in questa scoperta, poiché è un terreno ignoto, ma voglio provare a lasciarmi andare, e fino ad adesso non è tanto male. Sto facendo questo sforzo perché sono convinto che la vita non sia un problema da risolvere, bensì un mistero da vivere. Perciò viviamo senza dare nulla per scontato.

Gabriele Baraldi

 

Errare è umano. Disobbedire pure!

Mia madre, santa madre, viene a trovarmi al colloquio tutti i martedì, dico tutti. Spesso mi dice “scherzosamente” ma non troppo: ho un figlio deficiente! Ahimè, concordo! È fatica contraddire una madre così: una vita dedicata al lavoro e ad educarmi correttamente. Eccezionale, fuori dal comune. Il mondo quotidianamente mi provoca, mi sfida, mi insulta; devo schivare i colpi che arrivano da tutte le parti, mi difendo e attacco quando riesco. Insomma, non voglio giustificare il mio sbaglio, ma… un po’ di comprensione signori lettori! Disobbedire ad un mondo spesso ingiusto non è una goduria? Suerte!

Il Betto