Si parla qui di Forlì e di Barbiana. Un parroco cerca di aiutare i propri parrocchiani a comprendere la scelta dei cappuccini di lasciare la loro parrocchia di Forlì: un gran bell’esempio. Un collaboratore del Polo culturale dei cappuccini dell’Emilia-Romagna presenta la realizzazione di un presepe per la parrocchia di don Lorenzo Milani a Barbiana: una iniziativa originale e ben riuscita.

Paolo Grasselli

 Il vento che porta via

Come uccelli migratori, dolorosamente, i frati accolgono la realtà dei tempi

di Vittorio Ottaviani
parroco di Santa Maria del Fiore a Forlì

 
Image 191Strana estate

Che strana estate! Eppure da sempre è la stessa. I capricci del tempo che non sempre rispettano gli interessi dei vacanzieri o degli agricoltori; notizie dal mondo che mettono in contatto con sofferenze, drammi, tragedie di ogni tipo ed insensatezze le più variegate; ma pure prodigi di bontà di chi si dona e sacrifica per il bene del prossimo. Spiagge affollate di gente all’apparenza felice, accanto a volti stanchi di troppi che cercano invano un piccolo lavoro. Disperati che approdano sulle nostre coste, con il loro carico di sogni, che non di rado naufragano con il foglio di via; e come non bastasse, quest’anno, più che in passato, ci si sono messe di mezzo pure le Borse e le varie manovre finanziare che tanto fanno discutere, litigare e preoccupare.

Ma non è a questo che intendo riferirmi quando parlo di “strana estate”. Sotto questo aspetto “non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Invece l’orizzonte è più ristretto, domestico e familiare e riguarda la piccola realtà del convento di Santa Maria del Fiore che con una votazione del “parlamentino” (Capitolo), composto da circa sessanta frati, convocato a fine giugno, ha deciso, con votazione e non senza sofferenza, di porre fine alla secolare presenza dei cappuccini a Forlì e a Porretta Terme. Decisione che viene ben presto conosciuta dai parrocchiani e cittadini, sortendo l’effetto di un inaspettato ed improvviso temporale estivo, con sentimenti e reazioni diverse: stupore, incredulità, rabbia, preoccupazione, delusione.

Spontaneamente si prendono iniziative per raccolta firme, si fanno cartelloni da appendere sotto il portico della chiesa, si contattano giornali locali, autorità civili ed ecclesiastiche, ci si riunisce pure in chiesa per pregare, con la convinzione di potere, con la complicità del cielo, sospendere o cambiare un verdetto, che noi frati, forti dell’esperienza, sappiamo essere definitivo. Tutte manifestazioni che abbiamo accolto con piacere come segno di stima, affetto e apprezzamento per quanto è stato fatto nei secoli, e per quanto avremmo desiderato continuare a fare per il bene della parrocchia e della comunità di Forlì, almeno in termini di buone intenzioni.

Una cosa non c’è stata chiesta: di unirci alla loro protesta e di sostenere con la nostra partecipazione attiva le varie iniziative e di questo ne siamo grati, risparmiandoci l’imbarazzo di dover dire dei no, legati come siamo all’obbedienza, che nella nostra scelta di vita viene prima di ogni altra cosa.

Poveri superiori! Ad essi viene attribuita la responsabilità della chiusura del convento, senza però chiedersi se avevano la possibilità di agire diversamente, essendo anch’essi legati a disposizioni votate dal Capitolo.

Poveri frati! La “colpa” a questo punto non può essere che loro, dei frati, che hanno fatto una scelta inopportuna, precipitosa e sconsiderata. Diciamo subito che ciò potrebbe essere vero, se i frati non avessero avuto l’infelice idea di contarsi e di prendere in mano il calendario. Contarsi ha voluto dire prendere atto del numero ristretto di frati e per di più in caduta libera per scarsità di vocazioni; in quanto al calendario, è andata ancora peggio: si è notato che il 50% dei frati ha più di settant’anni. A questo punto occorreva soltanto coraggio e sofferenza, e ci sono stati tutti e due.

Image 198Il coraggio di cambiare

C’è stata sofferenza: lasciarsi alle spalle 500 anni di storia (presenza dei frati a Forlì) non poteva non essere un’operazione indolore ed ancora lo è, specialmente per il parroco e i parrocchiani, perché, lo si voglia o meno, si tratta pur sempre di un mondo fatto di relazioni, complicità, ricordi legati specialmente al mondo della fede e che vengono improvvisamente interrotti. È dal 1539 che si protrae la nostra permanenza nel territorio di Forlì, anche se non sempre nel medesimo posto. Tanti anni non possono non aver sedimentato nel cuore di ognuno sensazioni, simpatie, stima, amicizia; oltre a quello stile del tutto francescano che ha portato a caratterizzarci con la qualifica di “frati del popolo”. Lungo i secoli centinaia e centinaia di frati hanno soggiornato, per un periodo più o meno lungo, nel convento di Forlì, e ciò che più conta è quanto essi hanno fatto a favore delle numerose generazioni che si sono succedute, con le loro molteplici attività di apostolato e di servizio.

C’è stato coraggio: nel tentativo di andare meglio equipaggiati verso il futuro, si è reso necessario un ridimensionamento di presenze, con la chiusura di conventi e riduzione di alcune attività, per dare spazio ad altre iniziative che meglio interpretassero i cambiamenti dei tempi e le nuove sensibilità.

Nella Bibbia si legge di Abramo che viene invitato da Dio a lasciare la sua terra, e con essa sicurezze, progetti, amicizie, per andare verso l’ignoto. Un’avventura che ben presto prenderà la consistenza di una promessa di discendenza numerosa e di terra stabile. A noi frati è stato chiesto molto meno: non si tratta di andare lontano e già siamo a conoscenza delle attività da svolgere; tuttavia un po’ dello spirito e della fede di Abramo agevolerebbe di molto il nostro andare. Stupenda è la scena degli uccelli migratori che volano alti nel cielo, ebbri di luce e libertà, alla conquista di sempre nuovi orizzonti. Il modo di volare alto, per noi frati, passa attraverso l’umile obbedienza a Dio, mediata dai superiori e dalla fedeltà alle molteplici esigenze della quotidianità.

È il soffio dello Spirito di Dio che gonfia le vele e spinge al largo. Decisioni, atti, chiusure di conventi, sofferenze, sogni o segni del nostro tempo: una specie di mappa fatta di geroglifici, non facilmente decifrabili, ma che nella fede portano ad essere collaboratori nel grande disegno di salvezza, custodito nel cuore stesso di Dio e ad una pienezza di vita.

La conclusione non può che essere una sottomissione docile alla volontà di Dio, con la consapevolezza che “tutto concorre al bene di coloro che cercano di amarlo”, anche quando la strada da percorrere presenta incognite, lacerazioni, smarrimenti. Ma sempre con la speranza almeno di un “pezzettino” di Terra Promessa.