Inizia qui un dialogo con i missionari, per capire come la Evangelii Gaudium, il grande documento programmatico del pontificato di papa Francesco, si possa leggere e calare nella realtà di luoghi lontani, in cui non è sempre facile vivere, come testimonia questa prima voce dalla Turchia; segue il ricordo entusiasta di una giovane volontaria che ha partecipato all’ultimo Campo di Solidarietà a Sighet in Romania

Saverio Orselli

 Missione e mezzaluna

Prassi missionaria dell’attrazione gioiosa

 di Michele Papi
frate cappuccino missionario in Turchia

Commentare l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è un’impresa non da poco: fior fiore di teologi si sono cimentati e tutto è già stato detto.

Mi si chiede di analizzare introduzione e primo capitolo (La trasformazione missionaria della Chiesa) dal punto di vista di un missionario in Turchia… cosa che, dopo appena tre anni di faticosa presenza in questo mondo così diverso, non mi sento ancora di essere. Ho accettato tuttavia la richiesta della Redazione di MC più che altro per darmi l’occasione di rileggere questo testo programmatico di tutto il pontificato di papa Francesco.

 Senso e svolgimento

Partirei citando il n. 14 del documento: «L’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma «per attrazione».
In questo paragrafo penso si possano ritrovare il senso e lo svolgimento di un impegno missionario in Turchia (terra di antichissima tradizione cristiana) e probabilmente in ogni parte del mondo. C’è chi non conosce - cioè non ha potuto farne esperienza vera e concreta - quel Gesù che è entrato nella nostra vita trasformandola e inondandola di gioia: questi ha diritto di ascoltare la buona notizia da parte di chi invece ne è stato riempito. Questo annuncio in alcun modo deve intaccare la sacralità della libertà di ciascuno: il contagio della fede avviene per attrazione, attraverso quelle corde presenti in ognuno di noi che vengono fatte vibrare al contatto col bello. Si capisce quindi che la missione è una cosa da innamorati, capaci di scaldare ogni atmosfera anche la più rigida.
Effettivamente l’ambiente in cui ci troviamo a operare in Turchia non è dei più accoglienti: viviamo in una strana congiuntura storica nella quale materialismo consumistico e fondamentalismo religioso sembrano allearsi verso un progetto di uomo e società individualisti e chiusi ad ogni accoglienza delle diversità. Insieme alla fiducia nella forza dello Spirito, primo vero agente missionario, occorre tanta fede nell’uomo e nella sua naturale predisposizione a farsi toccare dalla grazia di quel Dio che conosce il suo cuore. Lì dove la lingua degli uomini non riesce a trasmettere la buona notizia per i limiti di chi la porta, a causa delle distanze culturali e delle incrostazioni fondamentaliste, l’universale linguaggio della misericordia può venire in nostro aiuto e sostituirsi alle parole.

Paradigma misericordia

In questo atteggiamento misericordioso, sembra indicarci il papa, si coniuga il paradigma missionario della Chiesa: la misericordia è il cuore della riforma della Chiesa da lui iniziata. Una risposta semplice e gioiosa al mandato missionario di Gesù che sia capace di coinvolgere ogni aspetto della vita e diventi un messaggio trasparente per chiunque entri in relazione con un cristiano. L’esortazione di Francesco ci chiede innanzitutto di cominciare a vivere da risorti abbandonando ogni tristezza individualista (di chi guarda solo al proprio ombelico) perché chi rischia su Cristo non resta mai deluso, la sua misericordia basta per alleviare ogni sofferenza in un continuo e gioioso ritorno a lui.
La gioia dell’incontro tra umanità e amore di Dio permea tutte le Scritture e si trasmette nella gioia dell’annuncio dei cristiani. L’evangelizzazione risulta una sorta di necessità per sovrabbondanza di amore; questo donarsi agli altri poi diventa esso stesso fonte di gioia. È l’amore che ci fa uscire da noi stessi, dalle nostre comodità e ci fa andare verso le periferie esistenziali; spesso il primo passo risulta difficile, ma occorre farlo per sperimentare la potenza della Parola di Dio e poter godere della gioia del raccolto. Il frutto e la festa si avranno solo se sapremo accompagnare questa umanità, includerla nel nostro mondo, attendere i suoi tempi accettando il rischio di “contaminare” la nostra bella veste battesimale (ne siamo sicuri?) con l’odore delle pecore.

 Tentazioni turche

In questo contesto turco, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è forte la tentazione di chiudersi nel piccolo gruppo dei già credenti, amministrare quel poco che c’è e cercare consolazione scaldandosi alle ultime luci di una candela che si sta consumando, idealizzando i fasti passati di una Chiesa “coloniale” che parlava tutte le lingue fuorché quella del popolo. La Chiesa sognata dal papa invece è una comunità inclusiva che sotto la guida del pastore/vescovo si interroga costantemente su come possa rinnovare la propria fedeltà a Cristo senza cadere nell’atteggiamento di autoperpetuare se stessa. Questo processo di costante riforma è possibile soprattutto localmente: in questa ottica va letto il desiderio di Francesco (già espresso da Giovanni Paolo II nella Ut unum sint a riguardo del dialogo ecumenico) di riconsiderare la forma di esercizio del primato, lasciando maggior libertà ai vescovi senza paura di rompere la comunione cattolica a causa di differenze riguardanti questioni secondarie.
Quello che non deve mai essere dato per scontato è il cuore del messaggio cristiano, quel kerigma che il santo padre costantemente ricorda e annuncia a costo di passare per “eretico” o “relativista” agli occhi di quelli che vi antepongono questioni particolari, importanti certamente ma a rischio di perdere la loro bellezza se staccate dal nucleo che le vivifica. Un vero annuncio può essere fatto solo se si rispetta la gerarchia delle verità e la gradualità pedagogica con cui Dio stesso ha deciso di comunicarsi all’umanità. In questo modo la Chiesa potrà presentarsi come quella casa dalla porta aperta in cui il Padre aspetta il ritorno del figlio amato e ogni cristiano potrà essere un facilitatore nella trasmissione di questa grazia.