Se la libertà è musica, il sacerdote sia la tua chitarra.
Se la libertà è il tesoro, il sacerdote sia la mappa.

Se la libertà è luce, il sacerdote sia un faro.
Se la libertà è vino, il sacerdote sia bicchiere.
Se la libertà è aria, il sacerdote sia vento.
Se... forse... ma sì! (Marcello Matté)

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 Tra tanti “Barabba”

In carcere c’è posto per un prete? Dipende

DIETRO LE SBARRE

  Padre di tutti

Il Cappellano del carcere è il padre spirituale di tutti noi, anime perdute e schifati da tutti o quasi.

Ha un ruolo molto importante: ti comprende e, nei limiti delle sue possibilità oggettive, cerca di aiutarti anche nelle piccole cose e nei piccoli problemi. Ebbene sì, piccoli problemi che fuori da qua sono affrontabili, ma in carcere è tutto diverso: i problemi, a volte, da pietrucciole diventano montagne insormontabili.
Qui, nella sezione penale in cui mi trovo, ho avuto il piacere di fare la conoscenza di padre Marcello, una persona veramente squisita che comprende i problemi, piccoli e grandi, che sovrastano noi carcerati. Insomma: una persona disponibile, affidabile e sincera. Nel mio caso posso affermare che ho avuto conforto nelle sue parole e nelle richieste che gli ho fatto, e per questo lo ringrazio di cuore. Ho avuto modo di frequentarlo anche al laboratorio di giornalismo, a cui partecipo da qualche mese, notando come i suoi interventi sono sempre mirati e centrano gli argomenti via via trattati.
Cosa potrebbe fare di più per noi detenuti? Le richieste sarebbero tante, ma credo che il tempo che dedica a noi tutte le settimane, ma anche ai detenuti che escono in permesso con accompagnamento, sia già tanto. Ovviamente il tempo non basta mai a persone che, come lui, dedicano la loro vita ad aiutare le persone, a risolvere i loro problemi. Me lo immagino fuori da queste quattro mura: con il telefonino perennemente attaccato all’orecchio, in contatto con persone che hanno bisogno di parlare con lui per qualsiasi cosa, qualsiasi problema. Una persona superindaffarata ed impegnata che non ha un attimo di tempo libero: spero per lui che possa ritagliarsi degli spazi di tempo da dedicare a sé stesso. Un grazie sincero al cappellano della casa circondariale di Bologna “Rocco D’Amato”. Grazie Padre Marcello.

Maurizio Bianchi

 Le nuove frontiere della follia

Se ricordo bene, moltissime persone nel Nord Italia si annoiano, sbuffano, sono alla ricerca di emozioni, dimostrazioni e, perché no, trasgressioni. L’idea brillante per accontentarle sarebbe un weekend alla Dozza (per i più volenterosi si potrebbe introdurre anche l’opzione settimanale).
Propongo l’entrata il venerdì pomeriggio, con svestizione e perquisizione in accettazione, consegna piatti in acciaio, posate in alluminio, bicchiere in plastica cinese e coperta e lenzuola militari.
Per i pasti principali, colazione, pranzo e cena, il carrello guidato da un “vero” detenuto servirà il menù di galera, direttamente in cella, dodici metri quadrati, bagno incluso (ma senza acqua calda) e televisore a colori, diciotto pollici.
Per le attività propongo quattro ore di aria al giorno nei passeggi, 100% cemento armato, partitella a carte, scopa o sbarazzino, sempre con detenuti “veri”. Saranno previsti inoltre due incontri: il primo con lo psichiatra, il secondo con lo psicologo. La domenica sarà possibile partecipare alla messa, con l’opportunità di scambiare gratuitamente due parole di conforto con il sacerdote disponibile al momento, e, a seguire, un colloquio di un’ora con i parenti nelle apposite sale.
In uscita, la domenica ore 12, battitura in festa per la liberazione, con fischi e saluti. Il costo del pacchetto “weekend follia” è ancora in fase di decisione. L’idea, a qualcuno, potrà sembrare assurda, impossibile e irrealizzabile, ma sono convinto che in molti, fuori da queste mura, nella loro follia potrebbero gradirla.

Il Betto

 Un discepolo del Signore

La figura di un sacerdote all’interno di un carcere è importantissima, così come lo è in tutti i luoghi di sofferenza, quali gli ospedali e gli orfanotrofi. La parola stessa, d’altronde, sta ad indicare un uomo che mette a disposizione dei fratelli e delle sorelle la sua fede; ed una persona che ha fatto dell’aiutare gli altri la sua vocazione, e che a questo si dedica nella sua quotidianità, non può essere che ammirata.
Nella mia esperienza ho incontrato sacerdoti molto diversi all’interno di diversi istituti penitenziari, cappellani con differenti personalità, ma comunque sempre presenti per i “peccatori per eccellenza”. Personalmente mi trovo maggiormente affascinato dai preti “forti”, quali, tra i tanti, papa Francesco o don Mazzi, che parlano chiaramente e spronano i fedeli, stimolandoli nello spirito. Ricordo, per fare un esempio, un cappellano di un istituto, il quale, davanti ad una poco entusiasta partecipazione canora alla messa della domenica, era solito dire «Ragazzi, qui non siamo in questura, siamo in chiesa e in chiesa si deve cantare!».
Nonostante le maggiori o minori affinità con i diversi cappellani, ritengo comunque che ogni sacerdote sia importante, se non fondamentale, in un carcere: è un discepolo mandato dal Signore in mezzo a tanti “Barabba”, pronto a celebrare il sacramento della confessione per i detenuti che ne facciano richiesta, a seguirli in percorsi di fede sinceri e trasparenti, e a riportare nel recinto le pecorelle smarrite. E concludo con un appello ai cappellani, affinché guardino nel cuore di ognuno di noi, andando oltre, perché cattivi non si nasce, e tutti abbiamo molto da dare e da farci perdonare.

Daniele Villa Ruscelloni

 Compassione con passione

«Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio» (Eb 2,17). Gesù diventa così modello di sacerdote, che si incarna nella realtà in cui è chiamato a vivere rendendo così più credibile la sua testimonianza. Dunque, la prima condizione è quella di farsi prossimo alle persone per condividere le gioie ed i dolori, le speranze e le delusioni. La sua missione di annuncio del vangelo è tanto più incisiva quanto più egli sa prendere su di sé i problemi e le aspettative di chi gli sta accanto.
«Egli non ha bisogno come i sommi sacerdoti di offrire sacrifici ogni giorno… lo ha fatto una volta per tutte offrendo se stesso». La seconda condizione è dunque quella di offrire se stesso, di fare della sua vita un dono; del resto il suo celibato intende esprimere proprio questa donazione completa al prossimo. Abbiamo la fortuna, qui in carcere, di sperimentare la presenza di diversi sacerdoti, ed in particolare di padre Marcello, che ha scelto il carcere come sua terra di missione e noi detenuti come quei “piccoli” nel quale il Signore vuole essere riconosciuto: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
Ha quindi fatto proprio l’invito della Lettera agli Ebrei: «Ricordatevi dei carcerati come se foste compagni di carcere». Lui ha scelto di farsi nostro compagno, per offrirci ogni tipo di aiuto, da quello morale con parole di incoraggiamento, a quello materiale, accompagnando spesso chi va in permesso. Ha accompagnato anche alcuni di noi sia a Roma al Giubileo dei detenuti che alla visita del papa qui a Bologna -, a quello spirituale non facendoci mai mancare la santa messa e annunciando la Parola ai gruppi del vangelo insieme ai volontari. Il sacerdote come lo vuole Gesù è quello dell’ultima cena, tutto dedito al servizio nel gesto bellissimo della lavanda dei piedi.

Osvaldo Broccoli