Tutti insieme apostolicamente

La crisi delle vocazioni è l’occasione per riscoprire lo stile comunitario della Chiesa

 di Massimo Ruggiano
parroco nella Diocesi di Bologna

 Cinquantamila anime

Qualche anno fa mi trovavo in Brasile, a Rio de Janeiro, e un amico desiderava che io conoscessi un prete che era parroco di una zona povera della Baixada Fluminense nella periferia di Rio.

Entrammo in canonica e subito mi regalò una targhetta di legno con l’immagine di Charles de Foucault con la scritta «Gridare il vangelo con la propria vita». Arrivando in auto vidi subito di che tipo di quartiere si trattava, molto popolare, con piccole case vicinissime l’una all’altra. La prima domanda che gli feci, tipica da ambiente clericale, quanti abitanti aveva la sua parrocchia e lui mi rispose 50000, al ché io sgranai gli occhi: «Così tanti!». Io allora ero parroco di due parrocchie che insieme facevano 3500 abitanti. Continuai chiedendogli qual era la percentuale di frequentanti e mi disse il 2%; «Sono sempre un migliaio di persone», gli dissi, decisamente superiore ai numeri delle mie comunità in Italia. E gli chiesi: «E come fate?». «Beh, noi qui abbiamo trentacinque gruppi di vangelo nelle case». Lo interruppi: «Trentacinque! E come fai a seguirli tutti?». «Ci pensa lei», mi disse indicando una signora che era lì in canonica, «lei è la responsabile dei gruppi nelle case a cui fanno riferimento tutti gli animatori del vangelo». Aumentava la mia ammirazione e sentivo che mi si stava allargando il cuore. «Quindi tu di cosa ti occupi come parroco della comunità?». Aggiunse: «Io curo bene le celebrazioni comunitarie e animo gli animatori».

 La grande piramide di Trento

Questa è la pastorale dove ognuno ha il suo compito e nella quale ciascuno vive il sacramento che lo caratterizza. Lui aveva il volto sereno per nulla ansioso come spesso invece siamo noi che “dobbiamo” o vogliamo occuparci di tutto, anche di ciò di cui non siamo esperti. Il nostro modello deve cambiare e, anche se lentamente, sta muovendo i primi passi. La carenza di forze costringe alla comunione e a una nuova comprensione della missione evangelizzatrice nella Chiesa e nelle nostre comunità cristiane, anche se siamo pigri nel prenderne coscienza.
Il modello di parrocchia che incarniamo è ancora quello del Concilio di Trento, cioè un prete per ogni campanile e dove il parroco è il riferimento di una struttura piramidale e i laici i “chierichetti”. Dato che questo è uno schema piuttosto datato, fatica ad accettare le sollecitazioni al cambiamento già suggerite dal concilio Vaticano II e anche da papa Francesco, ma questo cambiamento è inevitabile. Siamo chiamati a passare dalla responsabilità alla corresponsabilità: l’annuncio del vangelo è di tutti i battezzati.

 Dall’individualismo alla comunione

Credo che, se il prete facesse solo il prete, sentirebbe maggiormente la comunità come un appoggio, sentirebbe meno la solitudine e avrebbe più energia per accompagnare le persone a fare cammini di fede e a non essere logorato per i “troppi”, e spesso inutili, impegni che lo distolgono dall’essenziale. Il calo delle vocazioni e di conseguenza dei ministri ordinati credo sia una sana purificazione dall’individualismo che respiriamo sia nella società che nella comunità ecclesiale.
Non potendo più fare da soli, provvidenzialmente siamo sospinti ad uscire, a tendere la mano ad altri preti e ad altre comunità, tutto ciò ci fa scoprire che la comunione tra noi è più potente dei numeri e ci spinge ad abbandonarci maggiormente alla grazia. Saremo più efficaci e, grazie a Dio, meno efficienti. Il prete è formato per guidare una comunità. Ma come farà mai a guidare una comunità se lui in qualche modo non vive lo stile comunitario?
Non sto dicendo che dobbiamo fare tutti vita comunitaria, ma uno stile comunitario di collaborazione e condivisione sì, con le modalità di ognuno ovviamente, ma non possiamo esentarci da questo. Il cristianesimo è nato come comunità missionaria dove si condividevano le scelte pastorali, ognuno col proprio compito, ma insieme.
Di recente siamo stati per quattro giorni ad Assisi col vescovo e i preti proprio per condividere questa visione di Chiesa e ho sentito chiaramente un alleggerimento nell’anima nello sperimentare una più forte comunione e stima tra di noi e, grazie a questa condivisione, mi è parsa chiara anche la forza evangelizzatrice che nasce da questa comunione, dove sia preti che laici formano e sono un corpo solo.