Ritorno al futuro

Riscoprire il sacerdozio comune per rinnovare la Chiesa

 di Andrea Grillo
docente di Teologia dei sacramenti presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e di Liturgia presso l’Abbazia di Santa Giustina a Padova

 Il termine “sacerdote” ha assunto nei secoli una tale forza di identificazione col “prete” (o col presbitero) da diventarne semplicemente un “sinonimo”.

Le domande come: «è in casa il sacerdote?» o le esclamazioni come «benvenuto al novello sacerdote» hanno costellato le nostre esperienze da secoli. In questa cultura comune, alimentata anche da una teologia compiacente, parlare di “sacerdozio comune” diventa molto difficile e profondamente equivoco.
Per capire bene questa locuzione, dobbiamo soffermarci su un altro fatto singolare. Nel NT il termine “sacerdote” è attribuito o a Cristo, o al “popolo di Dio”. Cristo è l’unico sacerdote e, mediante il battesimo, tutti i battezzati diventano, in Cristo, sacerdoti, profeti e re. Parliamo quindi di “sacerdozio comune” perché il sacerdozio di Cristo è comunicato, con il battesimo, a tutti gli uomini e le donne che diventano “figli di Dio”.
Perciò il “sacerdozio comune” non ha nulla a che fare con una “estensione” del potere gerarchico al popolo di Dio. Semmai significa il contrario: che la sede originaria del sacerdozio non è nella gerarchia, ma in Cristo e nella Chiesa. Quello che chiamiamo “sacerdote” - ossia il presbitero e il vescovo - sono “ministeri al servizio del sacerdozio di Cristo e della Chiesa”.   

 Un popolo di sacerdoti

Per meglio comprendere il senso ecclesiale e cristologico di questa espressione, andiamo a ritrovarla nei due testi che ne hanno autorevolmente determinato la nuova scoperta, ossia in Lumen Gentium 10 e 11.
LG 10 dice così: «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cfr. Eb 5,1-5), fece del nuovo popolo “un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo” (Ap 1,6; cfr. 5,9-10). Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna (cfr. 1 Pt 3,15). Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all’offerta dell’eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa». 

Testimoniare con i sacramenti

LG 11 afferma: «Il carattere sacro e organico della comunità sacerdotale viene attuato per mezzo dei sacramenti e delle virtù. I fedeli, incorporati nella Chiesa col battesimo, sono destinati al culto della religione cristiana dal carattere sacramentale; rigenerati quali figli di Dio, sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa. Col sacramento della confermazione vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l'opera, come veri testimoni di Cristo. Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa; così tutti, sia con l'offerta che con la santa comunione, compiono la propria parte nell'azione liturgica, non però in maniera indifferenziata, bensì ciascuno a modo suo. Cibandosi poi del corpo di Cristo nella santa comunione, mostrano concretamente la unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata».

 Verso una Chiesa post-moderna

Questi due testi aprono uno sguardo nuovo sul “sacerdozio”, restituendo al termine i suoi due significati fondamentali: sacerdote è Cristo e sacerdotale è la comunità dei discepoli. Il ministero dei presbiteri e dei vescovi “serve” il sacerdozio di Cristo e quello della Chiesa.
Nel percorso che abbiamo tracciato, abbiamo notato come il grande testo di LG chiede alla generazione dei cristiani di oggi una intelligenza ermeneutica delle sue intenzioni in cui la relazione tra continuità e discontinuità delle tradizioni trovi nuovo coraggio e audacia.
Qualificare la lettura che LG propone della Chiesa non è così facile come poteva apparire fino a qualche anno fa. Tale lettura certamente non è “classica” - se per classica si intende la visione medievale e tridentina della Chiesa. Tuttavia essa non è neppure assimilabile semplicisticamente ad una interpretazione “liberale”, costruita dal pensiero moderno e dal suo arrischiato metodo dell’immanenza, come vorrebbero sostenere tutti i nemici - dichiarati o clandestini - del concilio Vaticano II.  LG 11 è un testo che rassicura la tradizione uscendo sia dalle secche del modello “classico” sia dai rischi del modello liberale. Potremmo dire, in modo forse anche azzardato, che LG 11 ci propone una lettura “post-liberale”: può annunciare la Chiesa come “communitas”  anche e forse soprattutto in un mondo “non più semplicemente moderno”: parafrasando un famoso titolo di J. Bossy, LG permette alla Chiesa di passare dall’individuo alla comunità, così reagendo alla tendenza dominante che viene non già dal modernismo, o dall’illuminismo, ma dalla sintesi tra visione tridentina e reazione antimoderna nella visione della Chiesa. Il nome di questa svolta è “sacerdozio comune”, o, meglio ancora, “comunità sacerdotale”.

 Dell’Autore segnaliamo:
Iniziazione. Una categoria vitale per i giovani e la fede,
Verona, Gabrielli Editore, 2017