Un Dio formato tascabile
Il sacerdozio è essere chiamati da Gesù a vivere con Lui e come Lui
di Luigi Verdi
responsabile della Fraternità di Romena
Il Regno è vicino
Nell’antichità il sacerdote era il mediatore tra l’uomo e le divinità, tra la terra e il cielo: solo lui poteva offrire i sacrifici, solo a lui veniva dato il potere di innalzare preghiere e lodi, di compiere gesti che venivano considerati sacri
. Era l’anello di congiunzione, la saldatura tra il mondo degli uomini e quello invisibile e tremendo del dio nascosto. Solo il sacerdote poteva parlare con Dio, solo lui aveva il privilegio di poter conoscere e farsi interprete di un dio lontano.
Ma Gesù, il “sommo sacerdote”, è venuto a dirci che Dio non è lontano, ma proprio qui, vicino e presente, solo ad un passo da noi, e ci chiede di fare quel passo. Lui che andava per le strade, camminava con la gente, ne ascoltava il cuore, osservava i volti, entrava nelle case: lui viveva la vita, la nostra vita. Abitava l’ordinarietà di una casa senza bisogno di trasformarla in una chiesa, lasciandole il suo calore e il suo profumo. Lui ci ha insegnato lo sguardo con cui camminare nella vita: a noi che pensiamo che ormai l’uomo è troppo lontano da Dio, Gesù ripete «Il regno di Dio è vicino». È uno sguardo diverso, è uno sguardo innamorato.
La vita non è religiosa solo perché abbiamo piantato una croce o scritto una regola. La vita contiene in sé la religiosità, è religiosa di suo, perché dentro la vita c’è Dio come presenza miracolosa, che ci addita nuove mete di vita più intensa, di gioia più profonda, Dio che ci invita ad alzarci e camminare gioiosi, oltre lo sconforto e la malinconia, ricordandoci che fuori dal sepolcro è sempre primavera. Dio sa che questo fragile miracolo che è la vita vive di pane e di affetti e che quindi va nutrita di cibo e di bellezza. Dio sa che ad ognuno occorre il pane per vivere e l’amore per avere un motivo per vivere.
Gesù ci ha detto che Dio è poesia, è tenerezza, è un bacio, che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, non un Dio statico e immobile, ma dinamico. Gesù parlava di Dio e della vita in parabole, senza definire, senza dire tutto. Le sue parole non erano chiuse e definitive, ma piuttosto preferiva usare metafore, similitudini quando parlava di Dio: «È come un seminatore, come un chicco di grano, come una rete, una perla, come un padre…». Come a dire «è questo, ma voi potete pensare anche che sia altro, che sia ancora di più, che sia tutta la bellezza e la pienezza che avvertite in voi».
Chiamato a un amore concreto
Sono nato povero e la mia infanzia è stata una difficile e dura vita di bambino. Se sono un prete è perché un giorno non sono scappato dall’impatto con il vento dello Spirito; perché ho sentito che la vita mi sospingeva dentro di sé chiedendomi di innalzarla; perché Dio con una carezza mi ha sussurrato: «Abbi coraggio», facendomi sentire unico e riempiendo la mia vita di senso. Da allora provo a camminare ogni giorno con il Dio vivente, abbracciando la forza e la dolcezza in me stesso, sentendo la responsabilità di essere attento a dove metto i piedi, cercando di portare più in alto di me tutto ciò che vive.
Il Cristo risorto mi chiede l’audacia di avere slanci di tenerezza verso chi soffre, di essere sentinella dei germogli di vita, figlio del vento che sparge semi, pane che dà forza alla vita. Il Dio vivente mi chiede la tenerezza per riempire l’aria di affetti e significati, di avere sguardi d’amore che sciolgono le paure e i segreti, di offrire a chi incontro quel poco di luce sufficiente per trovare il giusto passo. Non sempre ci riesco.
Sento che il sacerdote dovrebbe essere colui che vuol vivere sempre e dappertutto con Cristo, per Cristo e in Cristo; colui che confessa con la vita Chi dà pace al suo cuore inquieto, Chi gli dona “un di più” di vita, di umanità. E il cristianesimo, che è la più concreta tra tutte le religioni, non deve mai dimenticare che l’amore è concreto, è materiale: si ama un volto, uno sguardo, un corpo. Noi che diciamo di seguire Gesù, ricco di misericordia e tenerezza, ci dovremmo chiedere perché proprio noi ne abbiamo così poca. Noi che seguiamo quel Gesù che fa parlare i muti, camminare gli storpi, che rende le persone autonome e libere, ci dovremmo chiedere perché proprio noi chiudiamo le porte e mettiamo ostacoli al cammino della vita.
A sua immagine
Credo che sia l’ora di tornare a seguire davvero Gesù, ritrovando la sua sensibilità, il suo vedere la bellezza dentro tutto ciò che è sciupato, corrotto, tutto ciò che a noi sembra irrecuperabile, restituendo a questo mondo un’umanità più calda, regalando noi per primi il brivido e il calore di una carezza.
Siamo esseri completi, pieni, davvero umani e dunque vicini a Dio se conserviamo la nostra sensibilità, capaci di regalare e accettare tenerezza. Assomigliamo di più a Dio quando compiamo gesti delicati, inutili, ma che accarezzano gli altri. I “sensati”, i "benpensanti" di ogni tempo ci diranno: «A che serve?». «A chi giova questo spreco di profumo? Si potrebbe venderlo per trecento denari». Non li ascoltiamo: noi sappiamo che serve all’amore, alla gioia, alla festa. Giova alla vita. Non perdiamo il coraggio del dono gratuito di un gesto di tenerezza e non spaventiamoci nel regalare un sorriso o una carezza, o un bacio: ce lo chiede Dio amore. Siamo responsabili di ciò che Dio ha iniziato in noi e in ogni essere umano.
Vorrei essere come Gesù, che ama l’ombra che è in ognuno di noi, innamorato di quella parte che ha bisogno di luce, che vuole sentirsi abbracciata e accolta per potersi lasciare accarezzare dalla luce. Nascerebbe così una chiesa che sempre ricorda che non è fatta di giusti, ma di peccatori perdonati. Una chiesa «ospedale da campo», come ci ricorda Papa Francesco, una chiesa dell’amore senza durezza, della tenerezza nel vuoto di sentimenti, che apre cammini nella vita con la stessa speranza e tenacia di Dio.
Il Santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: «Come è spaventoso essere prete!».
È l’inguaribile spavento di chi si trova davanti al mistero, ma anche quello di chi sa che ne fa parte e in questo mistero si perde.
Dell’Autore segnaliamo:
La chiesa della tenerezza
Edizioni Romena, 2015