A scuola di fragilità

La formazione di un sacerdote, oggi, fra problemi e opportunità

 di Giuseppe Sovernigo
sacerdote della diocesi di Treviso, psicoterapeuta

 La formazione del sacerdote oggi costituisce uno dei punti cruciali, uno snodo sia per la vita della chiesa, sia per i formatori impegnati nell’azione educativa, sia soprattutto per le persone chiamate a formarsi come preti oggi.

Si tratta di rendere possibile ed effettiva una realtà ancora in parte da inventare. Si tratta di dare fedeltà e continuità ai valori evangelici di sempre, ai tratti costitutivi dell’essere preti come permanenza sacramentale di Gesù nei vari tempi e di dare attualità al dono della vocazione presbiterale secondo la sensibilità e le istanze del tempo presente, in continua trasformazione, dalla cristianità alla persona e alla comunità.
La formazione del sacerdote è chiamata a strutturarsi attorno a quattro dimensioni costitutive, tra loro strettamente connesse e interagenti: la formazione umana, spirituale, intellettuale, pastorale.
L’obiettivo da perseguire è la configurazione a Gesù capo e pastore, e la maturazione della carità pastorale: «Il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo capo e pa­store è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pasto­rale di Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stes­so tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del presbitero» (Pastores dabo vobis, 23).
Perciò  «… i futuri presbiteri devono coltivare una serie di qualità umane necessarie alla costruzione di personalità equilibrate, forti e libere, capaci di portare il peso delle responsabilità pastorali. Occorre allora un’educazione all’amore per la verità, alla lealtà, al rispetto per ogni persona, al senso della giustizia, alla fedeltà alla parola data, alla vera compassione, alla coerenza e in particolare all’equilibrio di giudizio e di comportamento» (Pdv, 43).

 Molte difficoltà, qualche domanda

Ma la formazione del sacerdote, così delineata, da alcuni decenni si è fatta più problematica rispetto a prima. Difficoltà di varia natura la rendono complessa e laboriosa. Alcune difficoltà provengono dalla cultura dominante, libertaria e permissiva: il difficile affrontamento della realtà effettiva per la cultura del più facile, dell’immediato, dell’indolore, del virtuale, del gratificante fine a se stesso, la tendenza alla coesistenza degli opposti senza avvertirne la contraddizione, lo sperimentalismo di sé e lo stare sulla soglia delle scelte, il riflusso sul personale individuale e sul piccolo gruppo.
Altre difficoltà vengono da dentro dei giovani: la tendenza alla personalità proteiforme, la difficoltà a remare al largo da sicurezze garantite, il fermarsi al piccolo cabotaggio quotidiano, la costruzione di sé più sull’immagine che sulla realtà effettiva, la difficile personalizzazione dei contenuti del vivere e del credere. Altre difficoltà ancora stanno negli educatori, nel loro rapporto educativo con i giovani: il fermarsi prevalentemente al comportamento esterno, l’intellettualismo di tanta parte dell’educazione, la fretta di far crescere.
Di fronte a tutto questo si pongono alcuni interrogativi: chi sono i giovani che si presentano oggi alla formazione per diventare sacerdoti? Come aiutarli a essere da un lato «simili in tutto ai fratelli» e, dall’altro, testimonianti la loro alterità?

 Identikit dell’aspirante sacerdote

I giovani che bussano alla porta delle case formative presentano una situazione formativa ambivalente. Per un verso hanno alcuni lati positivi che li facilitano. Si presentano come cercatori appassionati di un senso valido per la vita e cercatori di Dio. Normalmente succede che un candidato chiede di entrare in seminario per servire gli altri o impegnarsi con i giovani; ha il gusto per la liturgia, è attratto dall’esempio di un sacerdote, ha fatto esperienza di preghiera alla giornata mondiale della gioventù o a Taizé. Questo mix di motivazioni è normale e naturale all’inizio, ma durante la formazione dovrebbe essere sottoposto a una progressiva chiarificazione e, dove necessario, a una purificazione.
Sono ricercatori della loro identità personale secondo le cinque domande di base: chi sono io per davvero? Chi sono chiamato a essere? Quanto valgo? Da dove provengo? Ce la farò? Certamente il principale sforzo del giovane, in modo diretto e indiretto, è scoprire chi lui è, in rapporto ad alcuni punti di riferimento: dei modelli di identificazione incontrati, nell’appartenenza a un gruppo forte e attraente, appropriandosi della propria storia personale. Sono ricercatori di un «cantiere» o campo di lavoro in cui impegnarsi. Segnati da una società dove l’avvenire appare loro spesso interdetto, molti giovani generosi cercano impegni a breve termine con risultati immediati e palpabili, qui e ora. Per essi la parola ‘impegno’ ricopre significati diversi e realtà differenti rispetto al mondo degli adulti.
Per un altro verso i giovani che bussano alla porta delle case di formazione presbiterale presentano pure alcune lacune notevoli. Queste si possono raggruppare nella fragilità vocazionale: la grande difficoltà di decisioni definitive e l’eccessiva ricerca di sicurezze. La radice personale della fragilità vocazionale per tanta parte sta nella carenza di maturazione umana e spirituale integrate. Le aree più scoperte sembrano essere: l’identità, l’affettività, la sessualità, la relazionalità, la personalizzazione dei valori cristiani, la formazione dell’autonomia, la libertà interiore, la carente formazione della coscienza morale cristiana, la debolezza di motivazioni di fede, la debolezza dei cammini formativi. Queste espressioni di fragilità sono una invocazione e un appello. Esse sottendono una domanda formativa. I giovani vivono in una cultura pluralista, neutra, relativista. Da un lato cercano autenticità, affetto, grandezza d’orizzonti; dall’altro sono fondamentalmente soli, attratti o feriti dal benessere, confusi dal disorientamento etico.

Verso l’infinito e oltre

Non tutti i giovani sono sufficientemente attrezzati dal punto di vista spirituale. Ma senza un’inquietudine spirituale interiore, senza una tensione verso il magis, non si svilupperà nessuna personalità spirituale. In seminario la ricerca di Dio e il desiderio spirituale possono essere sviluppati, ma devono essere già presenti prima. Questo nucleo già presente nella personalità del candidato può essere coltivato e liberato, ma non può essere «costruito».
Occorre così prendere coscienza che, insieme a disponibilità e risorse, la fragilità fa parte della vita come elemento costante. Il problema non è la fragilità vocazionale, che risulta un dato costitutivo di ogni persona. È invece il fatto che si fatica molto ad accettarla come occasione di ulteriore maturazione e non la si sa integrare. Occorre gradualmente assumere la debolezza come componente costitutiva della vita. Allora è possibile divenire da un lato «in tutto simile ai fratelli», dall’altro «ponte e non ostacolo per gli altri nell’incontro con Gesù Cristo», «un riflesso vivo dell’umanità di Gesù e un ponte che unisce gli uomini a Dio». Allora si potrà farsi vicini agli uomini, appartenendo a un Altro.

Dell’Autore segnaliamo:
Verso una pienezza donata, mezzo secolo nella vita di un prete,
EDB, Bologna 2014