L’arte del fare con poco

Francesco contempla l’umiltà di Dio nel servirsi di una Chiesa povera

 di Chiara Francesca Lacchini
badessa delle suore cappuccine di Fiera di Primiero  

Se cercassimo una trattazione teologica e sistematica sul sacerdozio ministeriale negli Scritti di Francesco d’Assisi, rimarremmo delusi.

Scorrendo le pagine dei suoi Scritti e delle sue Agiografie abbiamo modo di vedere che, nel percorso di ricerca e di comprensione della sua identità di frate minore, Francesco incontra dei preti. È probabile che la relazione con loro e l’esperienza sacramentale che fa, incontrandoli, gli abbiano fatto sviluppare il pensiero che scriverà nel suo Testamento: «e tutti i sacerdoti voglio temere, amare e onorare come miei signori» (FF 113).
Quale è il contesto in cui Francesco esprime questa volontà?

 L’incontro con la Chiesa

Nella seconda parte del Testamento Francesco racconta un’altra tappa della sua conversione: dopo l’incontro con il lebbroso, la sua identità sembra farsi più chiara nell’incontro con la Chiesa e i suoi ministri. Nei versetti 4-13 egli elenca alcune situazioni, poste cronologicamente dopo l’esperienza dei lebbrosi e precedenti l’arrivo dei compagni, tutte centrate sul tema della fede: il tempo dell’incontro “sacramentale” con il mistero di Dio viene “riconosciuto” in situazioni ecclesiali “povere”: le chiese, i sacerdoti, i teologi, le parole scritte e l’eucarestia. Ci sono delle manifestazioni “umili” e, nello stesso tempo, uniche e assolute attraverso cui aderire al Signore, e queste manifestazioni sembrano mostrare non tanto la maestà dell’Altissimo Signore, quanto il nascondimento di un Dio piccolo; non la sua gloria ma la sua povertà e umiltà.
L’incontro di fede con la Chiesa rivela a Francesco il volto sacramentale del Signore, presente nella storia, ed è dentro questo incontro che possiamo leggere la fede nei sacerdoti e in una serie di altre presenze ad essi legate. Nell’incontro con il lebbroso e con il crocifisso di San Damiano egli aveva visto meglio che cosa avrebbe dovuto fare. Ma nel contesto storico in cui si trovava a vivere, arrivò il momento in cui chiedersi anche dove e come rendere operative queste nuove intuizioni.
La Chiesa istituzione si presentava lontana e diversa da quella intuizione esistenziale rivelata da Dio, si manifestava forte di un potere politico ed economico, animata da uomini non sempre moralmente coerenti. Come poteva essere mediatrice sacramentale del mistero di un Dio che, nel Figlio, si era disvelato agli occhi del giovane Francesco nel Crocifisso e nel lebbroso, aveva abbracciato la povertà e l’umiltà? Che relazione avrebbe dovuto avere il giovane Francesco con questa istituzione lontana se non contraria alla sua intuizione di vita?

 Nelle mani di un prete poverello

Non il ragionamento aiuta Francesco, ma la relazione: l’incontro con il povero prete di San Damiano, che officiava in una chiesa diroccata e posta ai margini della città diventa esperienza importante nel suo cammino di credente e lo aiuta a trovare una strada per una possibile risposta. La convivenza con un prete forse umanamente deludente, che sapeva a malapena leggere e che si arrabattava per tirare avanti diventa l’incontro concreto con quel “sacerdote poverello” a cui la esperienza di fede suggerisce di obbedire.
La logica che Francesco mette in atto è la stessa vissuta nell’incontro con il lebbroso: messo da parte giudizio o disprezzo, dopo aver baciato le mani del prete, va a vivere con lui condividendo la sua povertà. Il Dio che gli si era mostrato povero e crocifisso tra i lebbrosi, accolti con misericordia, gli si rivela presente anche nel ruolo sacramentale del sacerdote poverello. In lui è mostrata a Francesco, con forte paradossalità, la domanda sulla Chiesa e in lui Francesco trova la risposta: il Dio crocifisso si lascia incontrare e mediare dalla povertà di quel prete.
La conferma definitiva di questa scoperta potrebbe essere stata trovata da Francesco nella celebrazione dell’eucarestia vissuta con il prete Pietro - con questo nome lo ricorda l’Anonimo Perugino. Se anche Dio si lasciava “gestire” e mediare al mondo dalle mani povere di quel prete, ogni fratello - minore per volontà propria -  non poteva che piegare le ginocchia di fronte a questa manifestazione dell’umiltà di Dio. In quei mesi di “ritiro” nella campagna di San Damiano, per Francesco ogni giorno l’amore di Dio diventava corpo e sangue sull’altare di una chiesa disadorna e diroccata, per mezzo delle parole, forse incerte, del sacerdote che lo aveva accolto. Senza quel prete poverello di San Damiano egli non avrebbe avuto l’eucarestia e la parola di Dio; così senza la Chiesa, con la sua realtà povera e contraddittoria, non avrebbe avuto una mediazione sicura del suo incontro con Dio. Questa è la grande fede che Dio gli donò agli inizi e di cui Francesco vuole che si conservi memoria da parte dei suoi frati.

Con i lebbrosi era diventato un uomo di misericordia per condividere la povertà degli uomini, annunciando loro l’amore gratuito di Dio; a San Damiano comprende il mistero grande della Incarnazione e le sue profonde conseguenze, manifestate anche in una sacramentalità povera, mediata dal ministero e dalle mani di un povero prete che, grazie allo Spirito, attraverso un povero pezzo di pane ogni giorno rende possibile che il Verbo venga a noi in apparenza umile, dal seno del Padre, sull’altare di una povera chiesa che, da questa provocazione costante, è chiamata a diventare sempre più Chiesa povera (Cfr. Am I,16-18: FF 144).

 Parola ed Eucarestia

Nel momento in cui la fraternità originaria comincia a diventare un Ordine clericale, pastoralmente impegnato, non manca da parte di Francesco un richiamo ai suoi fratelli: «Guardate la vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo» (LOrd 23-24: FF 220). Così come non manca una ammonizione per tutti, chierici e laici a «sapere fermamente che nessuno può essere salvato se non per mezzo delle sante parole e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che i chierici pronunciano, annunciano e amministrano» (2Lf VI, 34: FF 194).
Duplice, quindi, il ministero affidato ai sacerdoti, e per il quale essi sono da temere, amare ed onorare: l’annuncio delle Scritture Sante e il servizio della mensa eucaristica. Francesco sembra ricordarci qualcosa di molto vicino alle nostre attese: il desiderio di incontrare nei preti delle nostre comunità ecclesiali uomini della memoria o, meglio, del “memoriale” di un Nome più grande di tutti i nomi possibili all’uomo, capaci di lasciar trasparire la bellezza credibile di un Dio che salva anche attraverso strumenti poveri, purché disponibili.