La presenza del papa era una novità assoluta: è stata la prima volta nella storia che un pontefice ha partecipato pubblicamente alla celebrazione della Riforma, che da Roma è stata, per oltre quattro secoli, condannata come eretica e giudicata, fino al decreto conciliare Unitatis redintegratio (1964), deviante rispetto alla verità cristiana.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 Il papa e la Riforma

Così a Lund (forse) si è chiuso l’inverno ecumenico 

di Brunetto Salvarani
teologo, scrittore, docente di Ecumenismo alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna

 A dispetto del lungo mezzo secolo che ci separa dal concilio Vaticano II, è stata, non lo si può negare, una scelta audace, sia da parte dei leader luterani sia da parte di papa Francesco, quella di celebrare insieme l’inizio di questo anno speciale, dedicato a Lutero.

Un anno conclusosi il 31 ottobre 2017, ricordando il giorno in cui, mezzo millennio fa, secondo una tradizione discussa quanto consolidata, l’ex monaco agostiniano avrebbe affisso sul portone della chiesa del castello di Wittenberg le celebri 95 tesi che, avviando il percorso della Riforma, avrebbero concorso a spaccare l’unità della cristianità medievale. L’evento si è tenuto fra il 31 ottobre e il 1° novembre 2016 nell’austera cattedrale romanica di Lund, nella Svezia meridionale, per un omaggio alla località in cui è nata la Federazione Luterana Mondiale (FLM), oltre che per ricordare l’antica presenza evangelica in terra scandinava.

 Un viaggio ecclesiale

«Un viaggio ecclesiale, che la gente deve capire bene»: così l’aveva descritto lo stesso Francesco, durante il volo di andata, la mattina del 31 ottobre, rivolto ai giornalisti presenti. Due sottolineature autorevoli, e tutt’altro che casuali, per un ennesimo passaggio di questo pontificato per il quale l’aggettivo epocale, per quanto abusato, non appare davvero esagerato. Ecclesiale, nel senso che a Lund si sono incontrati i rappresentanti di due fratelli, figli di altrettante Chiese (e non di una Chiesa e di una comunità ecclesiale, come ancora si esprimeva timidamente il Vaticano II nell’Unitatis redintegratio, aprendo la via a decenni di ecumenismo a doppio binario, a privilegiare il rapporto con il mondo ortodosso); ma anche nel senso che quanto accaduto racchiude un evidente risvolto su cosa s’intenda per Chiesa, se, ad esempio, si è trovata la forza per ringraziare Lutero per quanto operò affinché la lettura della Bibbia plasmasse qualsiasi identità ecclesiale, non solo quella protestante; oltre che per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma.
Un evento, inoltre, che la gente deve capire bene, per evitare fraintendimenti o l’idea di qualsiasi cedimento al nemico, assai diffusa sul web presso siti ultraconservatori, per cogliere invece nell’abbraccio fra papa Bergoglio e il vescovo palestinese Munib Younan, presidente della FLM, un momento squisitamente evangelico: dove entrambi i protagonisti possono legittimamente considerarsi padri misericordiosi e figlioli prodighi reciprocamente bisognosi dell’altro, ritrovatisi infine dopo cinque secoli di ferite vicendevoli in cui, come hanno sottoscritto congiuntamente con ammirevole franchezza, «le differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici».

 La gente della base

Ma deve capirlo bene, la gente della base, anche perché le ripetute accelerazioni del papa sul versante intercristiano si facciano storie vissute concretamente a livello di Chiese locali, parrocchie, comunità e singoli cristiani. Esperienze che precedono e accompagnano il dialogo teologico, rendendolo meno traumatico e liberandolo da possibili derive ideologiche, freddezza diplomatica e logiche politiciste, in un itinerario ecumenico in cui Francesco sta immettendo quasi un senso di fretta, e una svolta umana dai riflessi ecclesiali, più che di diplomazia; fino a coinvolgervi anche le voci della terra e del popolo. La posta in gioco, del resto, com’è ben chiaro al papa argentino, non è da poco, ma addirittura la possibilità, o meno, di risultare credibili, da parte dei credenti nel Signore Gesù, agli occhi del mondo.
Tutto risolto, dunque? Evidentemente, no. Senza una teologia dell’eucaristia e del ministero all’altezza della sfida, non si farà molta strada. È evidente il gesto storico compiuto da Francesco il giorno 31 ottobre, è assai più avanti delle parole con cui tutti noi possiamo commentarlo; mentre la fraternità e la sororità che ha saputo esprimere e far sperimentare sta molto oltre i concetti e le rappresentazioni che possiamo utilizzare per descriverlo e per valutarlo.

 Futuro ecumenico e resistenze

Peraltro, quanto emerge è che, oggi, non si può essere cristiani senza essere ecumenici: l’ecumenismo è inscritto nel futuro del cristianesimo tutto; e il suo futuro può solo essere ecumenico. Purtroppo, però, bisogna altresì riconoscere che l’ecumenismo è ancora, in tutte le chiese, un fatto largamente minoritario. Tanti dialoghi tra le chiese sono in corso, ma esse ragionano e agiscono ancora troppo spesso nel senso del monologo, come se ciascuna di esse fosse l’unica chiesa esistente. Anche per questo qualche commentatore, a margine dell’evento svedese, ha correttamente posto in luce la necessità urgente di lavorare anche su un tipo particolare di ecumenismo, forse il più difficile e delicato, quello - per dir così - intra-cattolico: tra credenti di devozioni e fedeltà diverse, che lo stesso Francesco sta insistentemente spingendo a trovare il coraggio del confronto con l’altro e a rigettare le paure legate al settarismo.
Navigando per la rete, infatti, come si accennava, in quegli stessi giorni non era raro imbattersi in interventi di cattolici profondamente scandalizzati per quanto avvenuto, come se la visione ecumenica di Bergoglio e la sua cultura dell’incontro - autentiche cifre di questo pontificato - non fossero altro che un arrendersi allo spirito dei tempi, o persino un indizio trasparente di un vero e proprio segnale di relativismo… in chiave di progressiva protestantizzazione del cattolicesimo attuale. E non è mancato chi è giunto persino a sfruttare i crolli delle chiese per il terremoto nel Centro Italia del 30 ottobre, per attaccare frontalmente il papa nella sua decisione di andare incontro ai fratelli luterani. Schegge impazzite o segnali di una frattura che sta ampliandosi, che andrebbe affrontata con la dovuta parresìa?
Difficile rispondere; mentre resta il fatto che ora, comunque, ancor più che in altri casi, la palla è nel campo di chi è chiamato a tradurre le istanze di apertura palesatesi nell’occasione nel quotidiano delle nostre comunità: vescovi, parroci, pastori. Sapranno essi mostrarsi all’altezza di questo progetto, tanto ambizioso quanto necessario e indilazionabile? O preferiranno proseguire sulle strade sicure del già noto, senza aprirsi al dettato del futuro? Ecco le domande, letteralmente cruciali, che ci consegna la duegiorni di Lund, potenziale chiusura di quello che ci eravamo rassegnati a chiamare “l’inverno ecumenico”.