La missione conviene 

A Brescia il primo Festival della Missione

 di Matteo Ghisini
segretario delle missioni

 Un convegno

“Mission is possible?” è stato il titolo scelto dagli organizzatori del primo Festival della Missione, svoltosi a Brescia dal 12 al 15 ottobre 2017.

Tra i promotori c’era Missio (organismo pastorale della CEI), la CIMI (Conferenza Istituti Missionari in Italia) e la diocesi di Brescia, realtà che a vario titolo lavorano nell’ambito missionario.
Dalla sera di giovedì a quella di domenica si sono susseguiti più di trenta eventi, fra tavole rotonde, concerti, rappresentazioni teatrali e spettacoli, a cui vanno aggiunte le ventidue mostre collegate al festival e gli incontri nello Spazio Autori. Oltre ottanta gli ospiti coinvolti, alcuni arrivati dall’estero: religiosi e religiose, tre cardinali e diversi vescovi, ma anche protagonisti della cooperazione internazionale, scrittori, giornalisti, studiosi e artisti. Circa 15.000 le presenze negli eventi al chiuso; difficile quantificare quanti hanno partecipato ai tanti eventi all’aperto.
Personalmente ho partecipato quasi interamente al festival, insieme ad un gruppetto di giovani (Martina, Federica e Riccardo) e un medico che lavora con noi in Dawro (dott. Stefano Cenerini): abbiamo trovato radunata a Brescia una bella porzione di Chiesa: dinamica, colorata e frizzante, desiderosa di portare il vangelo ai lontani, ma anche di ricevere il vangelo che già Dio semina nelle tante e diverse culture, prima che noi arriviamo.
Ho avuto la piacevole conferma che le stesse domande che ci facciamo noi cappuccini dell’Emilia-Romagna - sulle missioni, sul protagonismo dei laici, sull’importanza del fare rete tra vari istituti e vocazioni, sulla crescita e autonomia delle giovani Chiese - sono le stesse che ci si fa a livello di Chiesa universale! 

Una svolta epocale

Molti hanno ribadito che siamo di fronte ad una svolta epocale. «Per cogliere la svolta che la Chiesa ha vissuto in questi ultimi settant’anni - ha detto il cardinal Filoni, prefetto per la congregazione della evangelizzazione dei popoli - basta guardare la composizione dei vescovi non occidentali al Concilio (relativamente pochi) e confrontarla con la composizione dell’episcopato attuale (tantissimi non occidentali)».
Questa svolta epocale genera in alcuni confusione, disorientamento, paura. Per altri è occasione da cogliere. «Questo è il tempo della profondità», afferma padre Stefano Camerlengo, superiore generale dei missionari della Consolata, «non bisogna avere la fregola di trovare soluzioni immediate. È importante darci del tempo per affrontare questo nostro tempo che è caratterizzato da gravi sfide e rapidi cambiamenti, ma è anche carico di nuove promesse di futuro».
In più interventi è emerso che le diverse crisi e sfide attuali ci spingono a collaborare, a non guardare solo al nostro orticello, ad agire coralmente, ad aprire gli spazi. Molto interessanti a questo proposito le tavole rotonde. Quella su “Il volto femminile della Chiesa” ha fatto emergere il desiderio fermo e dolce da parte delle donne presenti di una chiesa che sappia integrare meglio maschile e femminile; quella dei “Laici protagonisti della missione” ha lanciato la prospettiva di una più profonda e reale comunione tra laici, presbiteri e religiosi; quella di “Studenti in missione” ha fatto intravvedere quanto spazio i giovani potrebbero abitare (e alcuni già lo fanno) se gli venisse data la possibilità. Insomma, si è colta da più parti una forte richiesta di lavorare maggiormente insieme. La svolta epocale costringe a ripensare a un modello di Chiesa più evangelico! Alcune aperture sono arrivate dallo stesso cardinal Filoni: «Occorre dare più spazio ai laici fidei donum. Le famiglie saranno sempre più protagoniste della missione: date alle famiglie la possibilità di stare in missione uno o due anni».

 Inter gentes

Mario Menin, saveriano e direttore della rivista Missione oggi, ha pubblicato per il Festival una raccolta di testimonianze sugli Istituti Missionari, distribuita al termine dei diversi eventi. Egli scrive: «I missionari e le missionarie non vanno più a fare proselitismo ad gentes, a dare soltanto. Sono uomini e donne inter gentes, che testimoniano il regno di Dio in mezzo alle culture e religioni diverse, rispondendo alle nuove sfide della missione. Più che “fare missione”, essi “sono missione”, con il volto della relazione, dell’ascolto, del dialogo, dell’accoglienza, dell’incontro personale, dello scambio di doni, della condivisione, dell’amicizia. È la missione “con” l’altro […] Un’era è finita, quella della missione “senza” l’altro. Questo gli istituti possono eloquentemente testimoniare e trasmettere alle Chiese di origine, dove spesso si elaborano progetti pastorali a prescindere dall’alterità».
Su questa stessa posizione è suor Luigina Coccia, superiora generale delle Comboniane. Nel suo intervento riconosce l’importanza dell’accoglienza ricevuta presso la Chiesa del Congo: «Io devo molto alla chiesa del Congo dove sono stata missionaria. Loro mi hanno insegnato a ricomprendere il mio essere cristiana, più che la mia Chiesa di origine… se la missione non ci cambia, se non fa cambiare mentalità, si muore».
Anche la testimonianza di suor Angela Bertelli - accanto ai più poveri nelle favelas thailandesi - e il racconto di Sara Foschi della comunità Giovanni XXIII hanno evidenziato che solo l’entrare in punta di piedi nella cultura e nella mentalità delle persone permette che poi gradualmente si impari a ridire il vangelo in modo comprensibile e ad accogliere il vangelo portato e vissuto già da quelle persone.

 Ad gentes: possibilità e necessità

Alla fine del suo intervento, il cardinal Filoni ribadisce che occorre continuare a parlare di missio ad gentes, visto che alcuni miliardi di persone nel mondo ancora non conoscono il Signore Gesù Cristo. Ma insieme all’espressione missio ad gentes occorre aggiungere il tema delle giovani Chiese: «Sono gli autoctoni che devono assumere sempre più l’azione missionaria». Quindi il ruolo delle Chiese occidentali è quello di accompagnare i cristiani delle giovani Chiese a divenire sempre più protagonisti. Questo aiuto, conclude il cardinale, si può realizzare anche attraverso «lo scambio dei preti fidei donum: non solo dall’occidente verso altre terre, ma anche dalla missione all’occidente, per un periodo di tre/quattro anni e poi si cambia. È una forma interessante di sostegno reciproco e di aiuto dato alle giovani chiese attraverso esperienze formative qui da noi».
Il vescovo Beschi, presidente della commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese della CEI, presente durante il festival, ha espresso una sua convinzione: «Senza la missio ad gentes la Chiesa muore! La missio ad gentes è il paradigma della pastorale della Chiesa italiana. Lo ricordo sempre ai miei confratelli vescovi italiani».
Tantissime le citazioni e i riferimenti ad Evangelii Gaudium di papa Francesco, testo particolarmente ricco di suggestioni in chiave missionaria, che spinge la Chiesa «a passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Questo compito continua a essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa».
Mission is possible?” La risposta è sì! Non solo possibile ma anche necessaria! Al lavoro, dunque.