Al Festival Francescano di Bologna 2017, dedicato al “futuro semplice” si è parlato anche della riforma protestante. A partire dai 500 anni che essa ha compiuto, quale futuro si può ipotizzare e sperare per la Chiesa tutta? Ne hanno parlato Paolo Naso e Brunetto Salvarani, due studiosi e amici di confessioni diverse. Pubblichiamo qui l’intervento del prof. Paolo Naso.

a cura della Redazione

  I vettori della fede 

L’impatto della Riforma sul piano sociale 

di Paolo Naso
docente di Scienza politica e Giornalismo politico all’Università Sapienza di Roma

 Pedagogia protestante…

Il tema del portato e dell’attualità della Riforma è troppo ampio per poterlo condensare in pochi appunti.

Lasciando ai teologi il compito di descrivere la novità e la frattura costituite dal pensiero luterano e da chi vi aderì successivamente, mi limiterò ad alcune considerazioni di ordine sociologico, legate cioè all’impatto della Riforma sul piano sociale.
Scriveva Lutero nel 1524: «Se potessi o dovessi lasciare l’ufficio della predicazione ed altre incombenze, non vorrei avere altro compito che quello di maestro di scuola o insegnante dei ragazzi, perché so che quest’opera è, accanto alla predicazione, la più utile, la più grande e la migliore di tutte».
La citazione esprime bene il fatto che i temi dell’educazione e della formazione cristiana e civile siano al cuore della tradizione della Riforma e che sia Lutero che Calvino ci consegnano alcune indicazioni importanti sulla necessità di intendere il ministero anche come servizio alla causa dell’istruzione e della formazione. Rompendo con una tradizione che guardava con sospetto all’istruzione popolare considerata una minaccia alla solidità della fede, Lutero ribalta lo schema e ne difende la piena legittimità.
È da queste premesse che nasce la “pedagogia protestante” che, delineata nelle sue linee generali da Filippo Melantone, troverà una sua specifica e profilata definizione in Comenio.

 
… e altri tre vettori

Ma al tema dell’educazione e della formazione come costitutivo e peculiare del protestantesimo, la sociologia della religione affianca altri vettori di rilievo sociale.
Il secondo è quindi l’individualismo protestante fondato sul principio di una fede personale che implica una risposta appunto personale e responsabile alla vocazione che Dio rivolge a ogni essere umano. Questa risposta si intende rigorosa e coerente, fondata sul principio del Sola Scriptura e non su quello dell’obbedienza ossequiente ed acritica alla tradizione della Chiesa. Deriva da qui quel tratto tipico della fenomenologia protestante che è la propensione alla divisione confessionale: la frammentazione dell’universo riformato, i cui effetti problematici sono ben evidenti e ampiamente studiati, in realtà ha come fondamento un’esigenza di rigore e di fedeltà alla Parola di Dio. Al tempo stesso - siamo sempre nella prima direttrice - la centralità delle Scritture ha finito per promuovere gli studi sulla Bibbia che, se a livello dell’alta cultura avrà un ruolo decisivo nel progresso della filologia o della linguistica, a livello popolare costituirà un eccezionale vettore di alfabetizzazione e quindi di promozione sociale e, nei tempi lunghi, di democrazia. La rivoluzione puritana contro il potere assoluto del sovrano inglese e il costituzionalismo dei padri fondatori della democrazia americana sinteticamente espresso nell’incipit “We the people…”, l’iniziativa del metodismo a sostegno delle prime unions operaie nell’Inghilterra della prima metà dell’Ottocento e il ruolo politico di personalità come Martin Luther King o Desmond Tutu sono prove eloquenti di un nesso tra libertà democratiche e protestantesimo che trova il suo fondamento nella dimensione libera, personale e responsabile della fede e quindi nel valore della libertà e della dignità di ogni individuo.
Il terzo vettore collega la Riforma all’etica plasmando un individuo protestante rigoroso ed esigente, a iniziare da se stesso, legato al lavoro finalmente vissuto come vocazione e non come condanna e quindi capace di esprimere nuove energie intellettuali, sociali e organizzative sino ad allora compresse. È la famosa “ascesi intramondana” che chiama l’uomo moderno ad elevarsi ed a rispondere alla chiamata di Dio nel contesto secolare.
Il quarto vettore, collegando il protestantesimo alla scienza e quindi alla libertà della ricerca, ha contribuito al superamento del pregiudizio teologico nei confronti della possibilità umana di accedere a livelli di conoscenza sempre più alti senza perdere la fede e, grazie alle nuove competenze acquisite, ha incentivato nuove applicazioni tecnologiche nell’epoca dell’ascesa della borghesia e dello sviluppo del moderno capitalismo industriale. 

Attualità di una rivoluzione

Il complesso di questi processi ha determinato quella che William Naphy è tornato a definire la “rivoluzione protestante”: le aree dell’Europa che l’hanno vissuta si sono ritrovate socialmente più dinamiche, economicamente più sviluppate, politicamente più democratiche ma religiosamente più fragili e frammentate. Non a caso tutti i dati statistici convergono nell’evidenziare che nei paesi di tradizione protestante la secolarizzazione incide in misura più acuta che in quelli cattolici.
E tuttavia, concludendo, la rivisitazione della Riforma compiuta in questo 2017 - non di rado in sede ecumenica - suggerisce che quella “rivoluzione” ha ancora una sua attualità e una sua irrinunciabile specificità nella scena religiosa mondiale. In un tempo di liquidità dei comportamenti e di confusione sincretica tra modelli, religioni e stili di vita, il protestantesimo propone a se stesso ma anche a tutta la cristianità il paradigma rigoroso di una fede essenziale, centrata nel rapporto individuale e privo di mediazioni con Dio, alimentata dal confronto con la Bibbia, illuminata dalla grazia potente di Dio che può più di tutte le nostre modeste opere. Tutto questo resiste come un nucleo teologico che si propone anche ad altre tradizioni teologiche: mai come in questo quinto centenario abbiamo registrato tante occasioni per ragionare ecumenicamente della Riforma e della sua attualità.
In parte è il frutto della logica dei centenari, in parte della convinzione ecumenica di papa Francesco. In parte - ed è insieme la nostra tesi e la nostra speranza - è un passaggio obbligato perché cattolici e protestanti in primis, ma poi anche gli ortodossi, possano proporre efficacemente la fede cristiana nel contesto della società pluralista e post-secolare di oggi. Viviamo in un tempo nel quale l’offerta religiosa cresce e si moltiplica, talora in forme confuse, soggettive e temporanee. In questo contesto la solidità protestante e la rilevanza dei suoi vettori sociali costituiscono un patrimonio che non appartiene solo ai figli della Riforma ma - vorremmo pensare - all’umanità.