Giustizia, libertà e pace, stanche di essere considerate troppo “serie”, si trovarono per giocare insieme. A nascondino. Libertà si nascose dietro la parola “verità”. La scovò un giornalista, che aveva denunciato i soprusi dei potenti, i quali si erano fatti eleggere a tutori dei diritti di tutti, specialmente dei meno garantiti. Pace trovò nascondiglio dietro la parola “armi”. A stanarla è stato un reduce, tornato dalle “missioni di pace” senza più le sue gambe. Giustizia si rintanò ben bene dietro la parola “carcere”. Nessuno l’ha ancora trovata... (Marcello Matté)

a cura della Redazione di “Ne vale la pena” di Bologna

 Fare tana tra le parole

In carcere il problema sono le manette, non le parole

 Stanchi di ripeterle

Una delle parole più evocate in carcere è certamente “buongiorno”, che più volte ogni detenuto ripete.

Altra parola evocata di frequente è “aspetta”: parola che il detenuto si sente ripetere dagli agenti di custodia più spesso. Poi altre parole come “sono stanco”, che esprimono il non avere le forze per affrontare ancora una lunga carcerazione. Infine, la parola più agognata: “libertà” insieme a “speriamo”. Sono queste le parole più evocate all’interno di un carcere, dove spesso si associano alla fede e alla speranza che nostro Signore ci aiuti e ci ascolti nella nostra disperazione, per la situazione che stiamo vivendo, in un carcere pieno di parole stanche e apatiche, monotone e ripetitive.

Daniele Villa Ruscelloni

 La Parola e le parole

Dio soffre! Soffre per l’indifferenza e la tristezza dell’uomo al punto che, come dice il prologo alla Lettera agli ebrei, il Verbo si fa carne e viene ad abitare presso di noi per farsi partecipe della nostra miseria e della nostra stessa sofferenza facendosene carico, rivelandoci così il volto di Dio Padre misericordioso. Questo annuncio è importante per noi che siamo ristretti in carcere, ed abbiamo modo di approfondirlo attraverso i gruppi vangelo che aiutano nella spiegazione della Parola e padre Marcello, il cappellano.
Gesù è la Parola che rigenera, ricrea e offre speranza. A Lui basta una parola per generare un uomo nuovo e basta ricorrere al vangelo per accorgersene: «Sii purificato» e guarisce un lebbroso; «Seguimi» ed aiuta Levi ad abbandonare il suo mestiere di esattore; «Talita kum» cioè «Fanciulla io ti dico alzati» risvegliando una giovane ragazza dal sonno della morte; «Effatà» cioè «Apriti» e guarisce un sordomuto. A Gesù basta una parola per cambiare una situazione.
Qua invece siamo subissati di parole, che non cambiano nulla, parole che promettono ma che deludono. Parole che sono fumo negli occhi e ti fanno perdere la fiducia verso persone che dovrebbero aiutarti a cambiare, a reinserirti nella società per tornare ad una vita “normale” dopo una vita in carcere. Qui ci si rende conto di come le parole umane sono inaffidabili e servono tante volte a tirare l’acqua al proprio mulino, a differenza di Gesù, al quale basta una parola per creare una novità di vita.

Osvaldo Broccoli

 Piccolo dizionario carcerario (non esaustivo)

Quando mi hanno iscritto - pur contro la mia volontà - a questo “corso” della durata di tre anni da effettuarsi presso questo “college”, mi sono trovato a rivedere la semantica di molte parole che qui cambiano di significato. Ne do un minimo esempio.

Appuntato: (alias assistente, agente, guardia, ex secondino) Personale addetto al controllo dei detenuti a cui vengono affidati vari compiti, fra cui quello di prendersi improperi dalla mattina alla sera.

Aria: Evento per cui, solitamente due volte al giorno, una al mattino (dalle 9 alle 11,30) ed una al pomeriggio (dalle 13,30 alle 15,30) si dà ai detenuti la possibilità di sgranchirsi le gambe e respirare un po’ d’aria. Si effettua dentro cortili chiusi tra muri alti cinque metri al di sotto di sezioni detentive. Si assiste a piacevoli conversazioni urlate con lancio di caffè, sigarette e altri generi d’uso comune. Se c’è una bora di notevole potenza può arrivare qualche refolo di vento.

Battitura: Operazione eseguita da un appuntato che col manganello saggia l’integrità delle sbarre delle finestre delle celle. A volte serve a qualcos’altro.

Blindo: Diminutivo affibbiato alla porta blindata attraverso la quale si accede alla cella.

Beneficio: Alternativa alla pena carceraria di cui teoricamente, secondo l’Ordinamento Penitenziario, possono godere i detenuti… Ai magistrati non gliene può fregare di meno.

Camera di Consiglio: Ovvero: lasciate ogni speranza o voi che entrate. Luogo triste nel tribunale di via Farini. Qui i magistrati di sorveglianza deliberano su ogni richiesta di eventuali benefici proposta dai detenuti.

Casanza: Cibo (si fa per dire) preparato e distribuito all’interno del carcere per la gioia del palato dei detenuti. Chi riesce a sopravvivere per un mese intero a queste delizie ha diritto a un biscotto omaggio.

Cella: Luogo angusto. Qui si svolge l’intera vita di un detenuto, anzi due, quando sono liberi da impegni di lavoro. Quasi meglio di una favela.

Chiuso: Situazione di evidente disagio in cui si viene a trovare un detenuto quando combina qualche marachella.

Istanza: Richiesta formulata dai detenuti o dai loro avvocati per ottenere l’accesso a qualche beneficio. Chi delibera è il magistrato di sorveglianza preposto. Di solito fai prima a scalare l’Everest.

Lavorante: Trattasi di un detenuto che accede a un lavoro quale esso sia. Di solito il percorso lavorativo dura un mese; poi si va a spendere il lauto guadagno alle Hawaii.

Liberante: Colui che per sua fortuna lascia il carcere in giornata. Di solito l’evento viene accompagnato da urla, schiamazzi e battiture di blindi.

Nuovo Giunto: Quando vedi uno che si aggira per la sezione con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi bassi è lui, il “nuovo giunto”, un altro agnello sacrificale da immolare alla dea Giustizia.

Perquisa: Perquisizione della cella o personale. Quest’ultima si effettua dopo i colloqui. I detenuti sono costretti ad uno striptease, neanche remunerato, per dimostrare agli addetti che in nessuna parte del corpo si nascondono armi, bottiglie di vodka o altri generi di conforto. Per ora ci hanno fatto tenere le otturazioni dei denti.

Scopino: È un lavorante addetto alla pulizia del corridoio della sezione. Armato di scopa e paletta si fa una cinquantina di metri avanti e indietro con ’sta ramazza che è più quello che lascia in terra che quello che raccoglie. Ma fuori gli aspirapolvere esistono ancora?

Spesino: Colui che raccoglie gli ordini di spesa effettuati dai vari detenuti (ovviamente chi se lo può permettere) e distribuisce poi le cose acquistate. Gli manca il cappello e la giubba rossa poi sembra Babbo Natale.

Traduzione: Non c’entra niente coi vocabolari. Trattasi di attività di accompagnamento coattivo da un luogo ad un altro. Il problema sono le manette non le parole.

Ufficio Matricola: Non si conoscono bene le funzioni a cui è preposto ma è il “Deus ex machina” di tutto. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole.