Attenzione, attraversamento bufale

La difficile ricerca della verità nel mare magnum di internet

 di Francesco Occhetta
gesuita, della Redazione de La Civiltà Cattolica

 Partiamo da qualche dato. Ogni giorno vengono spedite 300 miliardi di mail, 25 miliardi di sms, 500 milioni di foto, si producono 10 alla 21° bytes, l’equivalente di 321 miliardi di volte «Guerra e Pace» (Fonte Rasetti).

La quantità di informazione che è stata generata dall’inizio dell’umanità fino al 2003 (immagini, foto, musica, testi ecc.) viene oggi riprodotta nell’arco di sole 48 ore. Ogni 60 secondi si inviano 29 milioni di whatsapp nel mondo. In questo contesto cosa significa libertà di parola?

 Orientarsi nella Rete

La Rete è come una “soglia” sulla quale si affaccia la vita degli uomini. È l’immagine della vita, che per sua natura cerca frontiere per espandersi - fino anche ad andare oltre la propria corporeità - per incontrare e relazionarsi, conoscere e auto-comprendersi meglio. La pro-vocazione di abitare questa nuova soglia della vita relazionale va paragonata a una linea: per alcuni è “una fine” da cui difendersi, per altri è “il fine” a cui tendere, per altri ancora è un “con-fine” da abitare umanamente. Dal brodcasting si è passati allo sharing, alla condivisione e a un modello verticale, non più orizzontale dell’informazione.
Quale bussola può aiutarci? L’arte del discernimento. Nel tempo della nuova comunicazione è “occasione” tutto ciò che apre verso la conoscenza, lo sviluppo, la relazione e un’idea solidale di comunicazione. È “tentazione”, invece, scegliere modelli per entrare in relazione con l’altro chiusi e autoreferenziali.
Per costruire relazioni autentiche, il “che cosa comunicare” non può più prescindere dal “come” comunicare e dal “per chi” farlo. Tuttavia la vita connessa può generare errori, imprecisioni e inesattezze sull’attendibilità delle fonti; l’istantaneità dell’informazione limita la capacità di contestualizzare, ricordare, analizzare e confrontare le notizie tra loro; l’immersione della vita in Rete sta abituando a far pensare vero ciò che emoziona, al punto che l’informazione, enfatizzando con il suo linguaggio il pathos (colpire le emozioni dell’ascoltatore) ignora il logos (educare a ragionare). Di qui il ruolo dell’educare e dell’auto-educarci, che è quello di far crescere, educere.
La formazione di una coscienza civile può essere garantita anzitutto dalla scuola. Non si tratta, come pensano molti, di rifondare una «scuola insegnante» - il cui etimo ricorderebbe un «mettere dentro» - bensì di costruire una «scuola educante», e ciò nel senso più alto del termine, del «tirare fuori» risorse, innovazione e valore. Dai cittadini e dalla società.

 Il problema delle fake news

In Rete si vive comunione o fazione; incontro o scontro; il bene e il male (a livello morale), sia a livello personale sia a livello politico. È in mezzo alla valanga di dati e nella chiusura nei social network in gruppi omogenei in cui tutti la pensavo allo stesso modo che attecchisce la cultura della post-verità nell’opinione pubblica. Lontana dai fatti. Nutrita da emozioni e da credenze. Con un fine chiaro: alimentare le paure e consolidare le identità.
È il linguaggio utilizzato dai populismi in cui l’idea (astratta), una sorta di “spirito puro” di matrice hegeliana, è superiore a qualsiasi fatto (concreto). Insomma siamo immersi in una cultura che istiga alla violenza (hate speech), “inietta” sospetto sui fatti, inventa le bufale (fake news). Il siero per contrastarle sono anzitutto la testimonianza e le relazioni che umanizzano, quelle che difendono la vita, rispettano il dolore, costruiscono bene comune. Facciamo un esempio. In agosto è bastato un post (falso) su facebook per far emergere ciò che rimane recondito e nascosto. «Immigrati che bivaccano sulle panchine» vengono definiti online due uomini di colore, ritratti in foto a Forte dei Marmi, in Versilia. Il problema? I due sono Samuel Jackson e Magic Johnson, star l’uno del cinema, l’altro del basket, fotografati dai fan mentre si stavano riposando su una panchina dopo aver fatto spese. In molti, nel racconto dei social, non li hanno guardati in volto e i due sono stati travolti dagli insulti.
Si comunica ciò che siamo. Il papa lo ribadisce: «La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?».

 Le regole del buon navigatore

L’Ethical Journalism Network ha stilato sette suggerimenti per arginare le fake news: verificare le notizie utilizzando siti di fact-checking, che permettono un doppio controllo delle notizie. È utile fare attenzione a siti che hanno nomi strani o domini rari che terminano con «com.co»: sono spesso versioni finte di reali siti di notizie. Ulteriori garanzie sono: controllare la pagina «Chi siamo» e prestare attenzione alle storie che non vengono riportate altrove. Un evento che fa notizia deve avere altre fonti. Quando una notizia non è firmata e non ha alcuna fonte, bisogna insospettirsi. Gli ultimi due accorgimenti sono controllare la data - una pratica dei creatori di fake news è prendere vecchie notizie e rilanciarle - ma allo stesso tempo essere attenti a non confondere una notizia falsa con una satirica, che utilizza parodie di contenuti editoriali veri.
Ecco le dieci regole: 1. Virtuale è reale: dico o scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona. 2. Si è ciò che si comunica: le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano. 3. Le parole danno forma al pensiero: mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso. 4. Prima di parlare bisogna ascoltare, nessuno ha sempre ragione, neanche io: ascolto con onestà e apertura. 5. Le parole sono un ponte: scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri. 6. Le parole hanno conseguenze: so che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi. 7. Condividere è una responsabilità: condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi. 8. Le idee si possono discutere, le persone si devono rispettare: non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare. 9. Gli insulti non sono argomenti: non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi. 10. Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio.

 Dell’Autore segnaliamo:
La Giustizia capovolta. Dal dolore alla riconciliazione
Milano, Paoline, 2016, pp. 176
e il blog:
L’umano nella città