La vita a modo proprio

La persona come entità individuale: la vita e il bene

di Claudio Zaniboni
volontario laico in Centrafrica

Image 161Le tre parti dell’uomo

La persona umana in Africa non si concepisce da sola, ma dentro una rete di relazioni. Un occidentale pensa le persone composte di corpo e spirito. Un africano vede la realtà più complessa ed è difficile trovare nelle lingue europee dei corrispondenti esatti alle parole che ne designano le componenti, così come l'africano le intende.

Un africano concepisce un uomo come composto di tre parti: le parti materiali, come carne e pelle, una parte spirituale, indicata con un termine che può significare “ombra-spirito”, e una parte che indica il sangue ma anche il destino della persona. La parte spirituale, ombra-spirito, è ciò che anima la persona umana, e che dopo la morte si ricongiungerà al villaggio degli antenati.

Il termine “vita” designa il mondo vivente nel suo insieme, la vita dalla nascita alla morte, la storia di ogni persona, e pure il suo destino. Ma quale è il destino dell'uomo? Per ciascuno e per tutti è di avere una vita sufficientemente lunga per assicurare le esequie dei suoi parenti da un lato, e d'altra parte soprattutto per procreare. Il male è la non realizzazione personale di questo destino e tutto quello che lo impedisce, in primo luogo la morte.

Certo la fine di tutti gli uomini è la morte, ma il grande scandalo e il maggiore di tutti i mali è la morte prima del tempo, soprattutto di un giovane adulto, maschio o femmina, senza che abbia avuto il tempo di divenire padre o madre. L'ideale della vita totalmente compiuta è questo: dopo avere egli sotterrato i propri genitori, di morire vecchio, prospero, attorniato da una figliolanza numerosa, e attraversare così l'ultima tappa della sua vita come un'ultima iniziazione.

Tutto quello che ostacola la realizzazione di questo destino ideale sarà vissuto come male. L' ideale è anche di vivere nell'interdipendenza sociale, nella solidarietà della comunità; il rifiuto delle leggi sociali che tradizionalmente governano il vivere comune è visto come male. Al posto di male noi potremmo dire sventura, perché il più delle volte non si tratta di male in sé, ma di sventure esistenziali.

Dire che ciascuno ha il proprio destino indica un certo fatalismo, ma più apparente che reale, poiché l'uomo può influire sul suo destino per compiere la missione che gli è stata affidata su questa terra o per contrastare quanti ne impediscano la realizzazione. Comunque, la realtà non corrisponde sempre a quell'ideale di vita sociale. Due visioni sono sempre più a contrapporsi: da una parte la riuscita individuale, dall'altra l'interesse famigliare. Le persone sono ugualmente prese sia dentro i loro desideri personali sia nei confronti dei famigliari. La persona vuole condurre la sua vita a modo suo al di fuori della sua famiglia, ma quelli gli ricorderanno i suoi doveri, eventualmente ricorrendo alla maledizione; se la benedizione rende fecondi i rapporti all'interno della famiglia, la maledizione al contrario induce l'interessato a sentirsi rifiutato dal suo ambiente familiare, vitale per lui: può sorgere un malessere, una malattia, la morte stessa.

Società di ripartizione

La persona può impegnare totalmente le sue capacità morali e fisiche nell'ideale che la società gli impone, e il giorno in cui non riesce più a rispondere ai desideri dei suoi parenti cade ammalato. Si trovano così dei giovani studenti che cadono ammalati, anche psichicamente, perché sono stati responsabilizzati al di là delle loro capacità: spinti dalla loro famiglia, vogliono riuscire costi quel che costi. Questa malattia, legata al loro insuccesso, può allora essere vista come la coscienza di essere andati contro la loro famiglia. Ma quando un individuo emerge, allora tutto vacilla. La società non comprende che un uomo possa arricchirsi; pensare a sé è egoismo e avarizia: due vizi giudicati criminali. Chi si arricchisce è sospettato, accusato e rifiutato dal gruppo, che lo considera una grave minaccia. Per evitare il bando, l'individuo che emerge dovrà sempre dare.

Nello spirito della società, la ricchezza non è legittima se non quando rende possibile una redistribuzione dei beni. Il ricco dà gratuitamente; se smette di essere un prodigo allora tutto il mondo si rivolterà contro di lui. In diversi modi gli si ricorderà: «Tu non devi essere il solo ricco tra di noi, noi dobbiamo essere tutti simili». In questa società tutto si suddivide, e prima di tutto il cibo. Uno non lavora per arricchirsi: i beni devono essere ridistribuiti subito. L'individuo si concepisce in funzione del gruppo da cui dipende, e del quale egli è responsabile al suo livello. La solidarietà è una legge del gruppo. Chi non si sottomette è un pericolo per il gruppo che egli destabilizza. È una società di ripartizione: tanto l'individuo si mette a disposizione del gruppo, tanto egli è riconosciuto e protetto. Ogni membro del gruppo deve volere e mantenere questa legge.