Violenza sulle donne e religioni: ne parlano le donne. I rappresentanti di dieci Chiese cristiane hanno sottoscritto nel 2015 a Roma un Appello, che affermava fra l’altro: «La violenza contro le donne è un'emergenza nazionale […] Questa violenza interroga anche le Chiese e pone un problema alla coscienza cristiana [...]».

Barbara Bonfiglioli

 Le parole ecumeniche che preservano la donna

Donne di diverse religioni affrontano lo spinoso tema della violenza su di loro

 di Paola Cavallari
Segretariato Attività Ecumeniche di Bologna

 Il tavolo di Bologna

Presso la Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII a Bologna, da due anni, a maggio, si svolge una tavola rotonda interreligiosa sul tema «Violenza sulle donne e religioni: ne parlano le donne».

L’anno scorso alla Tavola si sono confrontate Marinella Perroni, rappresentante della Chiesa cattolica, Gabriela Lio, della Chiesa battista, Maura de Bernart, della tradizione ebraica ed Angela Romanin, della Casa delle donne per non subire violenza. Io ho condotto il confronto e Alberto Melloni, della Fondazione Giovanni XXIII, ha introdotto i lavori.
Quest’anno al tavolo erano presenti: Letizia Tomassone per la Chiesa valdese, Rassmea Salah per la Comunità musulmana, Piero Stefani in quanto presidente del SAE e io per il SAE ed il Coordinamento Teologhe Italiane.
Piero Stefani ha aperto l’incontro con una riflessione intorno alle memorie dell’ebrea Glückel Hameln, che, nei suoi scritti, rievoca in modo trasfigurato la figura biblica di Tamar. Nel passo biblico si narra dello stupro che subisce ad opera del fratellastro e della pressione esercitata su di lei perché taccia. Stefani ha sottolineato quanto la famiglia emerga come luogo implicato in questo crimine, avvolto così nel mascheramento. Commentava opportunamente, infine, che sono gli uomini il vero soggetto chiamato in “giudizio” per questo dramma.

 Quattro parole chiave

A seguire, la pastora Letizia Tomassone, nel solco dei cinquecento anni della Riforma, ha dapprima restituito la memoria di alcune donne della Riforma. Tra queste, Marie Dentière, che, nei suoi scritti, ha denunciato, con modestia ma con fermezza, la preclusione dei pastori alla predicazione delle donne. Ha poi enucleato quattro parole chiave, decisive nel fenomeno della violenza contro le donne. La prima è silenzio. Anche nei racconti biblici, dopo la violenza, la donna deve tacere, come nel caso di Tamar appena ricordato. Il comando del silenzio si è impresso nel cuore delle donne che l’hanno tragicamente introiettato. Vergogna è la seconda parola. La vittima si sente colpevole, perde la stima di sé. Recuperare la propria dignità sarà poi un cammino impervio. Queste due prime parole riguardano molte delle donne migranti.
Complicità è la terza parola. Gesù, nel passo della lapidazione dell’adultera, offre un esempio di maschio che si sottrae alla complicità pervasiva diffusa tra gli accusatori presenti. Croce è la quarta parola: il cristianesimo l’ha usata per indurre le donne alla sopportazione. È vero che Gesù accetta la croce, ma non bisogna dimenticare che era maschio, rabbi, uomo libero di esercitare le sue scelte. Le donne subiscono la croce, perché si trovano per lo più senza voce, senza autorità. La pratica della non-violenza per i deboli e per i forti non funziona allo stesso modo: i forti debbono abbandonare la loro forza, ma i deboli debbono acquisire la loro dignità.
È difficile per una donna mussulmana - ha esordito Rassmea Salah - parlare di ciò: il pregiudizio che le donne mussulmane siano sottomesse agli uomini è radicato. Non si sa che la rivelazione coranica ha vietato pratiche barbare, tipiche della cultura precedente, nei confronti di donne e bambine, come il seppellirle vive. Con il diffondersi dell’Islam, le donne divengono soggetti di diritti: per esempio, acconsentono o meno alle nozze e, una volta mogli, possono scegliere se lavorare o no. La donna ha diritto a divorziare. La sessualità nel matrimonio non è tabù: nella giurisprudenza si nomina il diritto al piacere per uomini e donne. Nell’episodio della “cacciata” di Adamo ed Eva dal Paradiso, il verbo è declinato al duale, evidenziando che la responsabilità della cacciata è di entrambi. Non è la seduzione di Eva ad essere biasimata, ma la disobbedienza di entrambi. Ha poi spiegato che nella sua religione non esiste un’ortodossia, ma un’ortoprassi. Quattro sono le scuole giuridiche e, quindi, esiste una pluralità di opinioni. La teologa Amina Wadud è un esempio di studi fecondi di ermeneutica coranica femminista. L’Islam non ha bisogno di femminismi, ma le musulmane sì, perché nelle società la parola di Dio non sempre viene predicata così come è scritta. Il problema dell’Islam non è la religione, ma è la presenza degli uomini musulmani. Ad esempio, il velo non viene imposto dall’Islam, ma dagli uomini.

Convergenze tra ecumenismo e aree dei femminismi

Ho chiuso io, sottolineando che l’ecumenismo e il dialogo interreligioso hanno molte convergenze col pensiero dell’area dei femminismi. «Ecumenismo è donna» sono parole, prese a prestito da un articolo su Riforma on-line, di Luca Baratto http://riforma.it/it/articolo/2016/05/19/lecumenismo-e-donna: esso riportava l’appello che si ricordava all’inizio e considerava i passi avanti che l’episcopato femminile aveva compiuto in alcune chiese evangeliche. Le ragioni per cui “Ecumenismo è donna” sono molto complesse e sono di natura sia strutturale che operativa. Per le ragioni strutturali ho ripreso alcuni punti del discorso di Papa Francesco al Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani (10 novembre 2016): «L’unità non è uniformità […]; l’unità non è assorbimento […]; l’unità, prima che traguardo, è cammino». Queste tre espressioni potrebbero essere ascritte al patrimonio della cultura delle donne. Passando poi alle ragioni operative, ho osservato quanto sia improntato ad uno spirito marcatamente ecumenico il lavoro concreto che le donne, appassionate di spiritualità e teologia, stanno tessendo insieme nel presente. Sebbene le Scritture siano impregnate di androcentrismo, le donne non rinunciano ai doni offerti dalla Ruah-Spirito, che nella rivelazione si consegnano ad un attento ascolto. Tali doni vengono disseppelliti sempre più dalla crosta sessista che li occultava. Ruah è forza liberante, nutre anima e corpo, arreca energia vitale. In tal senso sono tante le esperienze ecumeniche internazionali, ad esempio le sedici giornate di mobilitazione contro la violenza sessista, per la dignità delle donne, che si svolgono dal 25 novembre al 10 dicembre di ogni anno, organizzate dal CEC ed anche il “Decennio ecumenico delle Chiese in solidarietà con le donne” (1989-1999), tappa decisiva in questo campo. Ho concluso sottolineando che il progetto di un Osservatorio volto alle ricadute dell’Appello sarebbe strumento utile per stimolare le realtà ecclesiali a sensibilizzarsi su questo importante documento, a promuoverne la riflessione, a diffonderlo nella preghiera.

Dell’Autrice
segnaliamo:
Tardi
ti ho amato
Servitium,
Milano 2016,
pp. 90

 

 

 Chi volesse tenersi informato sulle iniziative, può fare riferimento ai siti:

SAE Bologna
saebologna.gruppisae.it

Coordinamento teologhe italiane
(CTI)
www.teologhe.org

Fondazione per le Scienze
Religiose Giovanni XXIII
www.fscire.it/index.php/it