Hanno composto, cantato e ballato la versione italiana dell’inno ufficiale della GMG 2016 di Cracovia e animato la celebrazione conclusiva. Hanno fatto concerti presso il Notre Dame Jerusalem Center di Gerusalemme. Hanno pubblicato già tre album di canzoni. Ma non sono professionisti, tranne il direttore e i musici. Sono il coro Shekinah, composto da più di cento giovani. Ma un coro strano, che evangelizza.

Gilberto Borghi

 Un canto di speranza

L’esperienza del coro Shekinah ce evangelizza attraverso la musica

 Stefania Rotondi, ventisei anni, è una di loro. Maestra elementare di Rescaldina (Milano), impegnata in Azione Cattolica, racconta con gioia l’incontro con il coro, nel 2012: «Li avevo sentiti cantare alla GMG di Madrid, erano stati bravissimi».

Stefania fa parte del coro dei giovani del suo decanato. «Ho conosciuto e apprezzato la serietà e l’impegno con il quale questi nuovi amici cantano pregando, e viceversa. Ciò trasmette passione per il servizio che poi si svolge per la diocesi».
Nel giugno 2015 Stefania partecipa alla registrazione del terzo cd di Shekinah, quindi, a settembre, la notizia da Roma della richiesta di incidere la versione italiana dell’inno ufficiale della GMG 2016. «Erano giorni intensi, tra la ripresa dell’anno scolastico, la festa dell’oratorio…». Ma per le cose importanti tempo e vitalità si trovano, eccome. «Mi sono messa seriamente a studiare la parte assegnatami e infine è arrivata l’incisione del brano. Mentre cantavo riflettevo sulle intense parole del testo e il messaggio che esse esprimono. Lì ho trovato tanta energia, anche perché cantare insieme dà la carica. Direi che è stata soprattutto un’esperienza contagiosa, fondata su più elementi: la musica, l’amicizia, il cammino di fede».

Ecco è questa triade a qualificare questa esperienza, che si propone ai giovani che desiderano condividere la passione per il canto e la musica, la recitazione e la danza ed altre forme di comunicazione, ma nello stesso tempo vogliono approfondire la propria esperienza di fede nell’ascolto della Parola di Dio e nella relazione fraterna; si rivolge ai giovani che hanno voglia di sviluppare questa passione per comunicare ad altri la bellezza del vangelo e della sequela di Gesù, approfondendo le tecniche artistiche e, soprattutto, coltivando l’entusiasmo dell’annuncio.
L’idea è quella di fondere insieme forme espressive artistiche, la vita di condivisione e la vita di fede, dando corpo alla massima di Agostino: «Chi canta prega due volte». Cantare e danzare è la forma che prende in questi ragazzi la loro esperienza di fede, e nel cantare dove vengono chiamati c’è il desiderio di lasciare una traccia profonda dell’annuncio essenziale del vangelo. Dice don Bortolo Uberti, il loro assistente spirituale: «C’è un’immagine che rappresenta bene Shekinah, ed è quella dell’iconografo, il quale, realizzando la sua opera, prega. Lo stesso accade per il nostro coro: attraverso il linguaggio della musica si prega e si vive un’esperienza di fede».

 Un linguaggio per la generazione giovanile

La loro storia parte nel 2003, dal laboratorio “I colori della fede”, proposto dal Servizio Giovani della Pastorale Giovanile di Milano. Lì si costituisce il primo nucleo del coro che si amplia poi con l’arrivo di giovani provenienti da diversi oratori della diocesi di Milano, dal mondo universitario, da altre esperienze e incontri diversi tra loro. Nessuno di loro è un professionista della canzone. Solo i musicisti sono professionisti. Nel 2008 si costituisce come Associazione Culturale sotto la guida di Filippo Bentivoglio, musicista di professione e produttore discografico. Da allora hanno inciso già tre album di canzoni che stanno entrando silenziosamente nel cuore e nelle orecchie di molti fedeli delle nostre parrocchie, che le cantano anche senza saperne l’origine.
Attraverso giornate di ritiro, lettura di testi di autori spirituali ed occasioni specifiche di preghiera, la musica il canto e la danza si trasformano nel linguaggio immediato della generazione giovanile per trasmettere e testimoniare la bellezza della fede. Continua don Bortolo: «Perché un messaggio possa toccare il cuore di coloro cui è destinato non basta che sia tecnicamente trasmesso ed eseguito bene, occorre che quel messaggio sia stato assimilato, compreso, vissuto. Il canto religioso è espressione della fede e forma di preghiera, per questo deve essere appreso nella preghiera. Attraverso la musica sicuramente si muovono emotivamente le persone che la ascoltano e si apre l’animo ad una comprensione profonda di temi inerenti alla fede e alla spiritualità».
Il senso di questo gruppo trova qui un suo particolare fondamento perché nella preghiera e nella chiesa c’è bisogno anche di chi serva nel rendere più facile la partecipazione, sostenga una celebrazione, aiuti a pregare meglio. Il servizio poi è fondamentale affinché non ci si ripieghi narcisisticamente su di sé ma ci si apra alle necessità degli altri, perché si allarghi lo sguardo sul mondo, ci si accorga concretamente, oltre l’indifferenza, dei più poveri. Indicativamente durante l’estate il gruppo condivide insieme un’esperienza missionaria o di servizio che apra al contatto con un’altra realtà di chiesa e di mondo. Molti canti di Shekinah sono nati dopo queste esperienze di servizio, di pellegrinaggio, o dopo forti momenti di vita comunitaria. 

Trasmettere un messaggio di speranza

Soprattutto in occasione dei concerti/meditazione si trasmette un messaggio di speranza e di consolazione alle comunità cristiane e si offre la testimonianza di giovani che hanno trovato nella fede il perno attorno al quale far ruotare la propria esistenza e lanciare il proprio futuro. Questi concerti/meditazione, eseguiti nel contesto della preghiera, arricchiscono la vita delle comunità che accolgono il gruppo. Risulta così essere una forma felice per l’aggregazione dei giovani e il loro accompagnamento spirituale. Di fatto, l’esperienza ha generato legami forti e relazioni profonde e, seppur lentamente, costituisce un piccolo segno e una parola di incoraggiamento al cammino delle singole comunità incontrate.
Questa realtà, nel corso degli anni, ha dato modo ad alcuni giovani del gruppo di riavvicinarsi alla fede e alla preghiera proprio attraverso l’esperienza del canto e della musica. Coinvolti, per lo più da amici a motivo della passione musicale, hanno potuto scoprire un approccio diverso al vangelo e allo stesso modo hanno ritrovato un’immagine di chiesa inaspettata.
Tra le voci di Shekinah c’è quella di Giovanni Bianchi, ventiquattro anni, operatore socio-sanitario che lavora con le persone disabili. È di Cantù (Como) e fa parte dell’associazione antimafie Libera, fondata da don Ciotti. «Io non ho svolto studi musicali - racconta - ma mi piace cantare e lo faccio anche nel coro parrocchiale. È stato emozionante poter registrare l’inno della GMG. Il poco tempo che ci è stato concesso e la frenesia per realizzarlo ci hanno dato una forza speciale. Se devo sintetizzare in una parola questa esperienza direi speranza».