In Missione di marzo è interamente dedicato al Centrafrica, con la prima parte di una lunga intervista a padre Enzo Canozzi, segretario delle missioni cappuccine di Genova e poeta, già missionario in quel Paese per 35 anni; segue poi l’intervento di Claudio, volontario laico, che, prendendo spunto dagli atti del convegno organizzato dalla Conferenza Episcopale Centrafricana (CECA) a Bangui, nel gennaio 1997, ci aiuta a comprendere il ruolo della persona, come entità individuale.

Saverio Orselli

In missione con la zappetta giusta

Intervista a Enzo Canozzi, segretario delle missioni della provincia di Genova

Image 148Ho incontrato padre Enzo tra gli oggetti del mercatino, durante il Campo di lavoro di fine agosto 2011 a Imola. Non l’avrei distinto dagli altri volontari se padre Ivano non me l’avesse indicato, segnalandomi che si trattava di un missionario di lungo corso del Centrafrica e, soprattutto, di uno scrittore di poesie: «È anche lui segretario delle missioni e con quei libri ha vinto anche dei premi!». Mi è sembrata un’ottima raccomandazione per trasformare quell’incontro casuale in una lunga intervista sulla missione per i lettori di MC.
 

Lei non è un missionario cappuccino dell’Emilia-Romagna e quindi non è conosciuto dai lettori di MC; le chiederei di presentarsi molto semplicemente.

Sono padre Enzo Canozzi e attualmente sono il segretario dell’Animazione missionaria della provincia di Genova, però ho fatto per 35 anni il missionario nella Repubblica del Centrafrica. Di questi, 13 anni nella brousse di Bouar, come missionario itinerante e poi sono andato a Ngaoundaye e lì ho fatto altri 22 anni sempre come itinerante. Negli ultimi anni ho fatto anche il parroco. Ho trascorso molto tempo con padre Giancarlo Anceschi, missionario della provincia emiliano-romagnola.

In questi anni, da quando mi è stato richiesto di curare queste pagine, ho cercato di presentare le missioni e la missione attraverso molte interviste ai missionari religiosi, ai missionari laici e alle persone che a vario titolo hanno conosciuto il mondo della missione “ad gentes” direttamente in Africa o in Turchia o in Romania - vescovi locali, altri religiosi, giovani venuti in Italia per studiare - con lo scopo di mostrare, attraverso il mosaico delle risposte, un mondo, quello della missione, al tempo stesso straordinario e normale. Certamente non riservato a soli eroi. Un aspetto che non mi è stato possibile fino a ora affrontare con un po’ di calma è l’incontro tra culture diverse. Con lei che ha pubblicato, con successo, già alcuni volumi di poesie mi piacerebbe provare a entrare in questo tema.

Io non sono capace di fare discorsi teorici, ma ti posso raccontare come ho vissuto il mio incontro con questa cultura diversa. Come tutti, in Centrafrica mi sono trovato subito con il problema della lingua: un problema da risolvere, per poter entrare al meglio possibile in questo mondo. Ed allora ho studiato subito il sango, la lingua nazionale. L’ho imparato bene e, tutto sommato, anche in poco tempo, perché è una lingua abbastanza facile. Sono stato facilitato in questo dal trovarmi in contatto con la gente semplice, i bambini o gli abitanti dei villaggi. La difficoltà è che bisogna imparare il giro della frase, per poter esprimere anche la tua maniera di pensare astratta, eredità della nostra cultura. Bisogna entrare nella loro vita, vedere le immagini che ti propongono, quello che vivono.

Il vangelo parla in parabole che escono dalla vita di tutti i giorni: ecco, in un certo senso è quello che avviene anche in Centrafrica. È uno sforzo grandissimo che deve fare secondo me il missionario; io l’ho vissuto direi come forma di povertà. Tante volte c’è chi parla di testimoniare la povertà, ma io non mi sono mai preoccupato di questo e non avevo problemi ad andare nei villaggi con una macchina grossa, perché era l’unica che ci arrivava e, diversamente, non sarei arrivato neppure io; e al ritorno la riempivo sempre di malati da portare all’ospedale. Soprattutto i primi anni facevo anche cinquecento chilometri di piste, in varie direzioni ed al ritorno riempivo il fuoristrada di malati. Ma quando arrivavi nei villaggi, il problema era, in un certo senso, quello di “sbriciolarsi”: non bisogna avvicinarsi a questa gente con la tua forma mentale, pensando che siano loro a capire te. Se tu pretendi che siano loro a capire non riuscirai ad entrare in dialogo, perché loro non conoscono il nostro mondo, non conoscono - faccio per dire - una strada asfaltata, non conoscono grattacieli o caterpillar, non conoscono un aereo, anche se ne hanno visto passare qualcuno in cielo. È tutto un mondo lontano da quella che è la nostra mentalità e la nostra vita di tutti i giorni. E allora bisogna che ti adatti ai loro discorsi, alla loro maniera concreta di pensare le cose. Tu arrivi a parlare con qualcuno della casa e devi parlarne come se parlassi di una persona: le fondazioni sono i piedi, la porta diventa la bocca, le finestre sono gli occhi, i muri sono il corpo, il tetto è la testa della casa. L’uomo è al centro di tutto ed è ciò che dà la descrizione del creato. La stessa cosa avviene per la natura: negli alberi le radici sono i piedi, il tronco è il corpo, i rami le braccia e i frutti sono gli occhi. L’uomo è praticamente al centro dell’universo e allora bisogna davvero “sbriciolarsi”, da occidentali attaccati ai concetti astratti, perché questo non permette il dialogo con la gente. Devi stare all’ascolto parecchio, imparando anche proprio le finezze della lingua sango che è davvero molto bella. Per farti un esempio, certe parole o frasi che noi usiamo nella liturgia, come “la fiducia”, “la speranza”, diventa: “io metto il mio cuore nel tuo cuore”!

Image 152Bellissimo…

Sono forme concrete che esprimono una profondità di sentimenti, una profondità di vita… io metto il mio cuore nel tuo cuore! Ecco perché non puoi più ragionare nella tua maniera astratta, perché ti trovi davanti qualcuno che ti ama.

Poi, per tutto quello che è partecipazione alle loro tradizioni, bisogna che c’entri con la vita di tutti i giorni… del missionario. Io, ad esempio, ho tantissime volte lavorato con loro. Andavamo alle piantagioni insieme - quante volte l’abbiamo fatto! - loro con le loro zappette e io con la mia zappa da italiano, figlio di contadini. Ma poi mi accorgevo che la mia zappa non andava bene per fare quel lavoro con loro: bisognava avere una piccola zappetta, adattata alla mano, che serviva per smuovere la terra quel tanto per togliere le radici dell’erba, mentre con la mia zappa rischiavo di rompere anche le radici delle piante seminate.

È la prima volta che sento che la loro tecnologia è, per così dire, meglio della nostra.

La nostra di certo produce di più, è anche più razionale: noi prepariamo i campi col trattore, li ariamo e poi li seminiamo. Quando diserbiamo i campi col trattore, passiamo tra una fila e l’altra di cotone o di mais con l’aratro; mentre loro - i più evoluti - lo fanno con l’aratro trainato dai buoi. Gli altri, che seminano a mano, senza l’aiuto dei buoi ma solo con la zappetta, non puoi andare ad aiutarli con la tua zappa. Non è questione di quale sia migliore, se la loro o la nostra. Prendi le semenze: è molto facile che le semenze che hanno loro producano meno delle nostre. Qui poi ci sarebbe il discorso dei prodotti geneticamente modificati che hanno rovinato tutta l’agricoltura del terzo mondo, perché hanno creato una dipendenza terribile, così come è successo anche in Centrafrica e nel nord del Camerun - la zona confinate - dove tu passavi e, malgrado vedessi campi aridi, c’era quella qualità di mais che con poca acqua e la zappetta, capace di smuovere 10 o 15 centimetri di terra, riusciva a maturare, mentre con l’importazione dei prodotti OGM, dopo un grandissimo raccolto il primo anno, già al secondo anno diventavano degli ibridi, creando una dipendenza dal punto di vista delle semenze nei confronti di queste ditte che, all’inizio le davano gratis, sapendo che poi dovevano essere ricomprate ogni anno. Così la gente ha perduto anche le semenze tradizionali, abbagliata da queste offerte. Ecco, forse il ragionamento che ti faccio può sembrare troppo semplice, ma è proprio per dirti che l’approccio tra il mondo del Centrafrica e il nostro non è facile: per loro nel mondo dei bianchi c’è una soluzione per tutti i problemi. Pensano che sia così e ti dirò che, quando sono arrivato in Africa, c’era qualche missionario che mi diceva di non far capire alla gente se non sapevo fare una cosa. Ed invece io ho fatto capire che non ero capace di fare tutto. Poi con loro ho fatto un mucchio di cose, forse proprio perché mi sono messo al loro livello, lavorando moltissimo con i giovani, fino ad arrivare proprio alla formazione tecnica di falegnami, muratori, fabbri… agricoltori, per cui avevamo una scuola agricola. Ma ho fatto capire che certe cose sorpassavano la mia comprensione, le mie capacità, perché altrimenti non sarebbe stato neppure rispettoso nei loro confronti: sarebbe stato un imbroglio.

Entrare nel loro mondo, che è anche molto misterioso, è difficile e non riesci mai ad entrarvi completamente e, anche dopo quarant’anni che sei lì, ti accorgi che stai chiedendoti perché certe cose continuano a farle così. Specialmente se tocchi il mondo degli spiriti, che è un terreno minato, ti accorgi di non capire. Noi bianchi non riusciamo a incidere più di tanto, anche se ti impegni nel dare dimostrazioni. Tante volte ho fatto cose apposta per far vedere che - pur essendo una persona normale, che si ammala o si stanca e che ha fame e sete come tutti - gli spiriti, che li spaventavano tanto, non mi toccavano, semplicemente perché non ci credevo e non ne avevo paura, avendo una fede diversa. Loro però dicevano che non avevano effetto su di me perché “ero bianco”.

Gli spiriti riescono a vedere il colore della pelle!

Sarà così… Mi ricordo che un giorno mi hanno chiamato in un villaggio perché era morto un ragazzo che si chiamava Andrea. Aveva messo una mano in un buco, pensando ci fosse un animale da catturare e invece c’era una vipera cornuta che, con un morso, uccide in cinque minuti. Mi hanno chiamato perché quando muore qualcuno in circostanze misteriose, nel pieno della salute, secondo la loro mentalità c’è una ragione legata al malocchio, o ad uno spirito malvagio. Allora bisogna capire chi ha mandato la vipera a morsicarlo, chi voleva quella morte. Quando sono arrivato al villaggio un cristiano mi ha avvisato che era già passato lo stregone e che aveva detto che chi toccava il corpo di Andrea sarebbe morto entro due giorni, mentre sarebbe morto in tre giorni chi avesse toccato il letto su cui avevano adagiato il giovane defunto. Tutti rispettavano per paura queste indicazioni minacciose, perché quello degli spiriti è un mondo minaccioso. Io sono arrivato e ho toccato il morto, tenendo la mano sulla sua fronte durante tutta la preghiera, e poi - diversamente dal solito - mi sono seduto sul letto e recitato il rosario, anche se si trattava di un protestante, perché quella era la mia testimonianza di fede. Nel totale rispetto reciproco, secondo me, ognuno doveva portare la propria fede al capezzale di un amico. Se io sono cattolico prego per lui come cattolico, non come musulmano o protestante.

In Centrafrica, io non mi sono mai nascosto o mascherato. Andavo e pregavo come ero capace e poi, dopo gesti come quelli di toccare il morto o il letto, vedevo che tutti si guardavano preoccupati, ma facevo finta di niente. Dopo qualche giorno ritornavo a farmi vedere commentando “vedete che sono ancora vivo?”. Poi chiedevo se qualcuno era morto avendo toccato il letto o il defunto. Forse potevano pensare che ero bianco e quindi immune, ma non me lo dicevano, perché vivevo come loro, come fossi un africano. Con questo non credo che il mio atteggiamento sia riuscito a incidere profondamente su di loro: certi cambiamenti richiedono tutta una serie di passaggi.

Il “metodo Masada” era una mia filosofia che mi ero creato per entrare in un mondo altrimenti impenetrabile. La fortezza di Masada era nella zona del Mar Morto e al tempo della distruzione di Gerusalemme da parte di Roma era in mano agli zeloti. Era su una collina fortificata e inaccessibile; inspiegabilmente alla sua sommità sgorgava anche l’acqua, tanto che coltivavano gli orti. Mura tutto attorno e una sola strada da capre che saliva ripida e dove bastava una pietra, scaraventata dall’alto sul nemico, per far ruzzolare giù tutta una corte romana. Cosa hanno fatto allora i romani? Hanno preso gli ebrei, contro i quali da sopra non avrebbero mai gettato pietre essendo loro fratelli, e li hanno costretti a portare sabbia ai piedi della collina, tanto da fare un’altra collina fino a quando non sono potuti salire sulla nuova rampa con le testuggini e colpire le mura, distruggerle, e conquistare Masada.

Ecco, il metodo Masada mi è venuto in mente per affrontare problemi come quello degli spiriti o del malocchio, che sono generati dalle scelte fatte sotto la guida dello stregone che cerca il colpevole, interrogando le vittime che accusano la persona o la famiglia con la quale non vanno d’accordo. E lo stregone, forte della sua autorità, è capace anche di ordinare al presunto colpevole di bere veleno, per dimostrare la propria innocenza, scatenando ulteriori vendette in un assurdo crescendo. Se tu questa situazione l’affronti dicendo che non è bevendo veleno che si scopre la verità, perché ucciderebbe se lo beve anche una capra che non è certo colpevole, lo capiscono anche loro che l’animale non c’entra niente, ma ugualmente pensano che quel veleno non è possibile che uccida un innocente. Ecco allora il metodo Masada: con la costruzione di una rampa di accesso fatta di diritti dell’uomo, rispetto della persona, giustizia; e poi ricordare che si è in uno stato di diritto, che siamo cristiani e che la fede offre parole illuminanti: tutte azioni da mettere in atto per far crollare quel muro di sicurezza imprendibile. È un lungo lavoro da fare ogni giorno con loro. Occorre condividere tante cose. Io sono andato a pesca con loro, sono andato a caccia, dove fanno tutti i loro riti propiziatori. Hanno un uccello sacro che loro non possono uccidere: dovresti chiedere a padre Giancarlo come gli è andata quando ha ucciso l’uccello sacro del Panà! Sono ancestrali le loro credenze riguardo a queste cose. E se vuoi vivere con loro devi imparare a conoscere anche questi aspetti, legati a tradizioni antiche.

(fine prima parte)