Quando entro in sala, qualcosa di effervescente mi solletica. L’atmosfera è particolarmente euforica. Nel cerchio dei partecipanti scoppietta una agitazione bella di attesa e di festa. Sappiamo che il vescovo Matteo oggi verrà a bere il tè con noi e la stanza sfrigola d’entusiasmo. Mi guardo intorno. Lo spazio è stipato di amici: non ci sono posti vuoti ed il campanello della porta continua a suonare, insistente.

a cura della Caritas di Bologna

 

Il talento del vangelo ai poveri

Rilettura della parabola dei talenti alla luce delle difficili esperienze vissute

 IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

Facile come sorridere

Maura è indaffarata, va e viene aggiungendo sedie.

Io invece sono agitata, vado e vengo senza alcun reale costrutto. Per tranquillizzarmi, ripeto mentalmente in stile “mantra”: “Concentrati sul tè, Betta, concentrati sul tè… eh sì, mi devo concentrare… ma se poi il vescovo non venisse? E se venisse ma il nostro tè non gli piacesse affatto?”.  Come farebbero le gocce d’olio sull’acqua, i viscidi dubbi si allargano istantaneamente nel mio cervello, imbrattando con la loro patina maligna ogni altro pensiero. Per fortuna incrocio Maria Rosaria che mi ripulisce con uno solo dei suoi incredibili sorrisi. Possibile che far bene agli altri sia facile come sorridere? Eppure sperimento di persona che in un semplice sorriso di sincera simpatia, c’è già tutto l’essenziale; che in realtà è anche l’Essenziale, occorre solo riconoscerLo. Negli occhi di Maria Rosaria zampilla la gioia di esserci e di vedermi. Ricambio grata, sorridendole a mia volta. Scambiamo due parole e le faccio i complimenti. È elegantissima, indossa un abito di stoffa leggera color crema arricchito da tenui disegni di rose rosse, la borsa - in tinta - è a tracolla e i capelli sono raccolti nella coda. Allargo lo sguardo aggiungendo un briciolo di attenzione: di fianco a lei c’è Fabrizio, poi Paolo, Raffaele, Leone, Nunzia, Gabriele, Tomislaw e gli altri… sono tutti bellissimi: puliti, ordinati, pettinati e vestiti con cura. Riconosco un amore genuino e rispettoso anche in questo: nell’impegno e nella fatica - per nulla scontati - di esserci davvero al meglio di sé e delle proprie possibilità. Di colpo sento sciogliersi dentro qualcosa di freddo e rigido che, evidentemente, era rimasto nascosto nel buio di me: un’ondata d’inaspettata tenerezza mi sale fino agli occhi.
«Benvenuti! È ora di cominciare!». La voce di Maura si fa largo placando la mia commozione insieme al brusio della sala. «Come sapete, tra poco ci raggiungerà il vescovo Matteo. Lo abbiamo sentito e abbiamo piacere che voi sappiate questo: lui oggi non viene qui come vescovo e pastore della nostra chiesa; desidera soltanto prendere il tè, esattamente come uno di noi. Sa già che in questo spazio abbiamo regole precise di comunicazione e si è impegnato a rispettarle, proprio come facciamo tutti. Betta ed io vi chiediamo quindi di far vostro questo suo desiderio e di accoglierlo fra noi come faremmo con chiunque altro. Niente di più e niente di meno. Siete d’accordo?». Il cerchio annuisce in silenzio, compatto. I volti sono concentrati e Maura procede spedita. «Bene! La pagina di vangelo che vi racconterò, penso vi farà arrabbiare parecchio, ve lo anticipo… È la storia di un signore molto ricco, che deve allontanarsi e decide di suddividere alcune porzioni del suo immenso patrimonio economico, affidandole in misura diversa a tre suoi collaboratori. Ai tempi di Gesù non si parlava ovviamente di euro, ma di talenti…».
Proprio mentre Maura narra il ritorno del padrone esigente ed il suo terribile giudizio sul servo pigro, il vescovo entra nella sala insieme ad altri amici ritardatari. C’è un momento di confusione generale: mancano le sedie per tutti. Lascio la mia a Claudio che porta le stampelle e mi siedo a terra con il quadernone sulle ginocchia. Finisco senza volere proprio vicino al pastore. Con la coda dell’occhio noto i suoi piedi: calzano semplici mocassini neri dalla suola un po’ consumata. In lontananza colgo l’eco della voce di Maura, ma sono distratta da quelle gambe: ripenso con gratitudine a tutte le volte che ho incontrato per caso il vescovo in giro per le strade della città. Di sicuro è un uomo che non si stanca di camminare ed in questo mi sembra veramente sui passi di qualcun Altro. Mi onora poter essere lì…

 Il controllo del capitale

«Allora: lei signora Maura chiede cosa mi rimescola nella pancia questa storia? Bene! Io mi chiamo Giuseppe e qui è la prima volta che vengo! Vi dico subito che ho fatto molti sbagli nella vita!». Il tono diretto e l’urgenza nella voce mi strappano dai pensieri sentimentali e mi riportano alla sana concretezza dell’ascolto. «Sono stato un vero delinquente, io! Fin da piccolo, da quando a 13 anni sono scappato di casa. Io sono uno che ha sempre preso molto, da tutti, senza mai voler restituire niente a nessuno, ma alla fine, sapete che accade? che è la vita stessa che ti chiede il conto! E così ho passato metà della mia esistenza in prigione: sono stato in galera per 31 anni… A Napoli gestivo delle sale giochi. Ero diventato uno degli uomini più ricchi e potenti. Tutti mi rispettavano e tutti avevano paura di me. Guadagnavo tantissimo, milioni, ma i soldi non mi bastavano mai, mai. Allora ho cominciato a fare lo strozzino: davo i soldi e ne chiedevo indietro molti, molti di più; e la gente me li dava perché erano terrorizzati! Io ero un po’ come il padrone della storia che ha letto. Allora, sapete che vi dico? I primi due hanno restituito di più solo perché erano impauriti! Ma preferisco l’ultimo, quello che ha restituito senza aggiunte, perché solo lui ha avuto il coraggio di restare in piedi di fronte a qualcuno di molto più potente, non ha avuto paura nemmeno di Dio!». Improvvisamente cala fra noi un silenzio riflessivo. L’intervento di Giuseppe ci ha spiazzati.
«Mah! Per me la parola “talento” è equivoca». È la voce serena di Maurizio a spezzare per prima la quiete del cerchio. «Io sono nato con qualche talento, è vero, poi però alcuni li ho sprecati. Adesso me ne è rimasto solo uno, quello del disegno e cerco di sfruttarlo. Ma quello che conta davvero è cercare di sfruttarli questi doni misteriosi di Dio. Chi si dà da fare, anche se non ha talenti in mano, va premiato! Ecco cosa dice la storia! Perché a volte la vita è ingiusta in partenza. Qualcuno nasce davvero senza talenti, ma va bene: la maggioranza delle cose che ci interessano, in realtà, le possiamo imparare. In fondo l’ultimo servo vive solo di rendita e alla fine perde tutto per questo, perché non ci prova nemmeno! Ma è proprio sbagliato questo! Anzi se non ho talenti posso aprirmi anche di più alla realtà, invece di chiudermi. No? È un’opportunità aver pochi talenti!».
«Per me il centro della storia è che nessuno controlla il capitale. Viene affidato completamente, il padrone si fida del tutto. È bello questo, no?», riprende Leone. «Ma questa fiducia, viene sottovalutata. Sembra che la cosa importante sia solo il capitale e quello resta lì, quindi perché preoccuparsene? Invece la cosa importante è la fiducia. Io penso al tempo ad esempio; anche il tempo è come un talento datoci in regalo; sarebbe importante non farselo scivolare addosso, ma sfruttarlo bene impegnandosi in qualche interesse».

 Guardarsi indietro per tirare avanti

«Io resto convinto che in partenza posso anche avere due briciole soltanto e che nel tempo però posso ben moltiplicarle quelle briciole», ribatte Daniele, per vent’anni inserviente all’università prima del licenziamento. «Io mi sento una persona ricchissima anche se non ho più niente. Quando lavoravo all’università, leggevo tanto, tantissimo. Ora mi posso comunque guardare indietro, per andare avanti con rettitudine. Con tutte le parole che trovo, oggi scrivo poesie. Una poesia sola può nutrire milioni di persone, lo sapete? Il talento di scriverle, per me è come l’ossigeno che si può regalare per far respirare gli altri. Io voglio solo “essere” e non mi importa della fama, del successo o se Tizio, Caio e San Petronio non mi leggono!».
I piedi del vescovo Matteo si muovono di scatto e una fragorosa risata alle mie spalle, si unisce a quella di tutti i presenti: il lapsus di Daniele ci regala un momento di leggerezza che scalda l’ambiente e ci fa sentire tutti più vicini. Mi viene da pensare che anche l’ironia è un gran talento, mentre sento la voce dall’accento fortemente romano dietro di me: «Be’ penso che qui a Bologna, si possa proprio dire così! Il nostro santo patrono non si offenderà di sicuro!».
«Se penso a me e alla mia storia, io sono povera da tre o quattro generazioni». Prende la parola Maria Rosaria con il volto in fiamme per l’emozione. Ci facciamo tutti di nuovo attenti: «Se i talenti sono soldi, in casa mia ne abbiamo avuti davvero pochi. Però la mia povera mamma mi ha lasciato in eredità qualcosa di molto più importante dei soldi. Lei mi diceva sempre: “Figlia mia, l’onestà e l’umiltà di essere chi sei, ti apriranno tutte le porte!”. Mia madre, poverina, ha fatto tanti sbagli, ma in questo ha avuto ragione; questo è stato il talento più vero che io abbia mai ricevuto!».
È ormai tempo di chiudere e Maura rilancia: «Dunque, se definiamo “il talento” come un dono che la vita ci fa, in base alle vostre esperienze, di cosa stiamo parlando effettivamente?».
«Il talento è qualcosa che viene da dentro di sé. Ad esempio: guardare alla propria vita, capire che hai sbagliato e cambiare: questo è talento!», dice Giuseppe; e subito Tomislaw ribatte: «Andare avanti nonostante tutto, è talento! Per questo è importante premiare chi si impegna!».
«È talento sapersi scambiare le idee per far nascere qualcosa di nuovo, che prima non c’era», «Non perdere la speranza!», «Dare speranza a chi non crede più in se stesso!». Mentre la pioggia di definizioni si fa sempre più fitta, il vescovo Matteo ci fa segno che per lui è tempo di andare. Un altro impegno lo aspetta ed è già in ritardo.
Mi guardo intorno. La nostra gente è felice. In fondo, voler bene è davvero qualcosa di semplice, proprio come bere un bicchiere di tè.

 Un’idea dal Congresso Eucaristico

La chiesa di Bologna ha vissuto quest’anno il Congresso Eucaristico Diocesano che il vescovo ha voluto intitolare “Voi stessi date loro da mangiare - Eucaristia e città degli uomini”. Tra i numerosi eventi organizzati, l’équipe della Caritas Diocesana ha avuto occasione di presentare le attività che svolge. Fra queste, naturalmente, anche quella del “Tè delle tre”. In quell’occasione il vescovo Matteo, ha fatto qualche sottolineatura sull’esperienza. Con gratitudine, riportiamo le sue parole:
«Innanzi tutto vorrei dire qualcosa sul tè: io li ringrazio molto. Sono stato anche ospite, un tè fra l’altro molto buono: lo consiglio. È un’esperienza, certo, ma dovremmo farne di queste esperienze dappertutto, perché nella sostanza è una situazione in cui noi parliamo ed ascoltiamo e crediamo che i poveri sono… persone! sono… credenti! che hanno tante cose da dire! È un’esperienza effettivamente molto bella in cui uno scopre che: oh! caspita! Ci insegnano tante cose! Vi ricordate l’Evangelii Gaudium? L’abbiamo detto e ridetto tante volte, mi pare: una delle cose peggiori che possiamo fare è togliere il vangelo ai poveri. Non a caso abbiamo voluto che Papa Francesco rivolgesse ai poveri in Basilica una piccola catechesi prima del pranzo a San Petronio: proprio per questo! Non possiamo negare ai poveri il vangelo!».