«Il tè di oggi ci porta di nuovo in campagna…»: la voce sicura di Maura rimette in ordine i commenti un po’ sparpagliati dell’inizio e ci conduce senza sforzo al silenzio attento dell’ascolto. «A beneficio dei nuovi arrivati, ricordo che stiamo ascoltando alcune parabole, cioè quei racconti che Gesù proponeva a quanti incontrava. Si tratta di storie solo apparentemente semplici, nelle quali si narra un qualcosa, per dire in realtà qualcos’altro…».

a cura della Caritas di Bologna

 

Ciascuno ha il suo posto

La parabola del padrone della vigna scandalizza, ma rassicura i poveri

 Ciò che le parabole dicono di noi

«Noi qui al tè non siamo interessati a capire cosa le storie vogliano esprimere esattamente, né ci interessa sapere perché Gesù abbia scelto di raccontare proprio quelle: non vogliamo certo rubare il mestiere ai teologi!

In realtà questo non vuole essere affatto uno spazio “religioso”, noi qui vogliamo semplicemente ascoltare cosa dicono di noi e a noi quelle narrazioni, ognuno a partire dall’esperienza di vita personale. Nella vicenda che sentirete, ci confronteremo con un personaggio particolare, uno che proprio sembra non saper fare i suoi interessi…».
Mi guardo intorno senza vedere. Mi sento a disagio. Sono preoccupata. Nascondo gli occhi fissando il foglio degli appunti. Che la si ascolti da credenti o meno, la parabola di oggi mi pare comunque difficile, indigesta e persino “ingiusta”. Mi chiedo titubante se sia stata una scelta opportuna. Mentre il cervello lambicca con i pensieri, improvvisamente provo la sgradevolissima sensazione che il mio cuore impaurito abbia deciso di abbandonarmi, partendo al galoppo senza di me. Perdo il fiato per una frazione di secondo e, nel vuoto di quel respiro, sperimento quanto possa risultare scomodo specchiarsi nella Parola. Benché il Signore ce la doni per abitarla, realizzo che è un Mistero e resta tale. Poi un dubbio mi assale vigliacco: ma sarà corretto proporla come facciamo noi al tè? Sono disorientata.
Mi guardo intorno di nuovo, in cerca d’aiuto e finalmente ritrovo i miei compagni di viaggio. Sono tutti seduti in cerchio accanto a me ed io mi aggrappo a quell’immagine come ad un enorme salvagente multiforme. L’onda spumeggiante della mia inquietudine si riduce pacificamente a nulla nell’istante stesso del contatto visivo. Anche il mio cuore si fa mansueto, addolcito dal confronto con quei volti tatuati dalla vita. Respiro a fondo. Come un riverbero lontano, risento alcune parole di Maura: «Abbiamo sempre mille remore, ma dobbiamo imparare a fidarci di più della nostra gente…», e anche del buon Dio, mi viene da aggiungere. Se la Parola è un luogo abitabile - oltre che un Mistero - non c’è dubbio che tutti costoro ne siano già cittadini a pieno titolo. Dunque, che c’è da temere? 

Indignati dall’ingiustizia

«Siamo nel Medio Oriente, tanto tempo fa»: la voce di Maura mi riconduce in fretta alla parabola «in un periodo storico nel quale il lavoro era salariato e veniva pagato a giornata. Allora funzionava così: tutti coloro che avevano bisogno di lavorare si radunavano dall’alba in un angolo della piazza principale, nella speranza che i padroni passassero per assumerli. Bene, questa è la storia di un proprietario terriero un po’ eccentrico che possiede una grande vigna dalla quale produce un vino di ottima qualità. Questo padrone quindi che fa? Si alza di buon mattino, scende nella piazza, trova alcuni lavoratori in attesa. Accorda con loro una cifra per l’intera giornata di fatica e li spedisce nel vigneto… Fin qui, tutto regolare. Se non che il padrone torna in piazza un po’ più tardi, trova altra gente in attesa e ingaggia anche quelli, promettendo loro che sarebbero poi stati pagati secondo giustizia. Maura dipinge con maestria teatrale l’evolversi del racconto e lo strano comportamento del padrone, disponibile ad assumere anche i lavoratori che si fanno trovare in piazza soltanto al tramonto: «Finita la giornata, il sovrintendente distribuisce le paghe a cominciare dagli ultimi che scoprono sorpresi e felici di aver guadagnato la stessa cifra dei primi, i quali naturalmente si arrabbiano; ma il padrone ricorda loro l’accordo liberamente concordato all’alba…».
Non appena Maura chiude il racconto, un moto di spontanea indignazione si manifesta fra gli amici del tè. Rosaria dà voce al dissenso «Ma questa è la stessa storia del mio tirocinio! Anche qui quello che conta è solo la presenza! Però il lavoro sarebbe pagato a ore, no? Non è mica giusto così! Per esempio: io lavoro tanto e lavoro bene, ma becco la stessa cifra di chi viene e non fa quasi nulla. Chi lavora di più, deve avere di più!».
«Io vorrei solo sapere se questo padrone ha ancora bisogno», fa Leone mentre un sorriso fulmineo gli illumina il volto «perché io, detto fra noi, la mia oretta con lui la farei volentieri… Scherzi a parte: è vero che nei nostri tirocini c’è gente furba, ma è anche vero che ciascuno di noi, fa comunque quello che può. E poi questo padrone secondo me, comportandosi così, si è fatto una discreta pubblicità: ha ottenuto un sentimento di riconoscenza. Inoltre ricevere un premio può essere uno stimolo perché i lavoratori del tramonto si impegnino di più il giorno dopo…». «Be’, in effetti, resta anche il fatto che la cifra era stata concordata e che il padrone può ben fare un regalo se vuole, no?», gli fa eco Gianni che aveva un’aziendina sua prima di perdere tutto a causa del tumore; «magari lui pensa che il giorno dopo questi lavoratori pigri verranno subito e da soli a cercarlo».
«Bah! Mancano gli elementi per capire la ragione di questo comportamento», interviene un anonimo amico del tè. «Però sembra un tipo spiritoso: forse voleva far solo una burla. Comunque potrebbe essere molto controproducente questo metodo: il rischio è che il mattino dopo il padrone non trovi proprio nessun operaio ad attenderlo!».
Una risata sarcastica esplode tagliente di fronte a me: «Lo so io che accadrà!», azzarda caustico Gabriele, «il giorno dopo, quelli della sera si presenteranno in piazza prestissimo, sperando di guadagnare ancor più e quelli dell’alba aspetteranno il tramonto per arrivare, vista l’amara esperienza del giorno precedente… ma il padrone li fregherà tutti cambiando piazza! Altro che spiritoso!». 

Il bisogno di guadagnare

«Per me questo padrone è onesto, è giusto: cerca solo di mantenere il patto che ha concordato con i primi, riconoscendo agli ultimi l’atto di fiducia che hanno mostrato nei suoi confronti. No, perché, siamo onesti: la frase “essere pagati secondo giustizia” detta da un padrone, non è che sia poi una gran garanzia, non vi pare? Quante volte mi è capitato di lavorare come un matto e di non essere pagato il pattuito e nemmeno il minimo giusto? Non so più quante!», esclama Claudio, agitandosi e rovesciando un po’ di tè.
«Qui per me invece, la cosa fondamentale non è per niente il “diritto” o la “giustizia”; qui il punto centrale è il “bisogno” di lavorare, di guadagnare, di vivere. Questa storia dice semplicemente che tutti noi abbiamo un uguale bisogno di vivere, capite?»: Maurizio colpisce tutti con la sua domanda, ma in effetti non tutto è così chiaro. Nel silenzio che segue, un grande ed invisibile punto interrogativo prende forma al centro del cerchio. Maurizio lo vede perfettamente e prova a cancellarlo con la forza della convinzione che sprizza luminosa dalle sue parole: «Il mondo è imperfetto perché la giustizia è una cosa umana, quindi imperfetta anche lei…Voglio dire: va bene per noi uomini cercare la giustizia, ma questo racconto non parla affatto della giustizia, che alla fine si basa sempre sul “merito” delle persone: questo racconto mette al centro il “bisogno” di vivere, quello di esistere che condividiamo tutti. Questo bisogno centrale ci rende uguali proprio tutti e vale sia per quelli di noi che riescono a comportarsi bene, sia per quelli che invece non ci riescono ancora. Prendiamo quelli che non hanno voglia di lavorare: pure quelli hanno bisogno di un posto, no? E chi soffre: dove deve andare a reclamare perché lui soffre e gli pare che gli altri non soffrano? Il posto c’è per tutti! Questa non è affatto la storia di un padrone giusto, anzi è la storia di un padrone che fa qualcosa di profondamente ingiusto solo perché si commuove ed è ostinato nel bene!».
Senza ch’io possa intervenire in alcun modo, il mio cuore imprevedibile riprende a galoppare, ma questa volta non tenta affatto una fuga solitaria. Tutt’altro: qualcosa che prima non c’era ed ora sento mi esplode gioiosamente dentro e mi radica in quel bisogno di esistere che ci fa essere veramente uguali: tutti fratelli e sorelle di fronte a Lui. Nei battiti felici che avverto, scopro un moto di profonda fierezza e di autentica gratitudine per queste persone così incredibilmente sapienti e diversamente ricche.
Poi colgo la voce di Maura: «Mi chiedo: per voi che nella vita ne avete prese tante, che significa aver qualcuno che fino all’ultima ora del giorno vi aspetta, qualcuno che fino all’ultimo vi viene a cercare? Questa benedetta vigna, a voi, apre un orizzonte un po’ diverso?».
«Sai cosa penso adesso, Maura?», risponde Claudio «che Maurizio ha dato delle motivazioni giuste. E che io servo a qualcuno anche se lavoro un’oretta soltanto e che quel denaro me lo merito come gli altri perché mi servirà a ripartire. Tu lo sai: quando mi hanno messo il catetere perché altrimenti finivo dializzato o crepavo, mi son sentito finito e ho pensato: “E ora che faccio? A chi servo messo così?”. Quante volte, piangendo, mi son chiesto: “Chi mi vuole?”. Ma invece è stata proprio questa la giustizia diversa di Dio: perché ad un certo punto qualcuno mi ha lasciato la porta aperta; qualcuno mi ha voluto con sé e mi ha lasciato uno spazio sufficiente per mettermi di nuovo alla prova e per ripartire. E adesso anch’io ho un posto per dormire. Sì, perché alla fine questo conta davvero: persino all’ultimo istante, ripartire…».
Ascoltando Claudio mi commuovo. Poi ascolto ancora e riesco a sentirli. Sono tutti i nostri cuori che battono insieme, felici di avere il loro posto nel mondo.