E DOMANDE DIETRO LE SBARRE 

Dio vede oltre le sbarre, io oltre le sbarre vedo Dio. Sembra che le sbarre abbiano il potere magico di nascondere agli uomini il volto di Dio e agli uomini la verità dell’uomo che sbaglia. Ma se il nome di Dio è misericordia allora solo chi sa di essere stato perdonato conosce Dio. La fantasia e la fede non ci rimangono in gabbia e l’umanità ritrova sé stessa e perciò Dio, non erigendo le sbarre ma oltrepassandole.

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 Il volto sofferente della misericordia

La situazione carceraria può incoraggiare la ricerca di Dio attraverso relazioni di compassione

 Sento la sua presenza

Nei volti dei carcerati possiamo riconoscere il Volto dei volti: quello di Dio. Questo avviene, in modo particolare, quando si ricorre a lui come ad un potente guaritore da invocare nei momenti di sofferenza e difficoltà.

Molte volte, infatti, il carcere incoraggia l’uomo in catene a cercare e a riscoprire il desiderio di avvicinarsi alla sua immagine e fede. Questo perché il carcere è un luogo dove ci si sente soli e dispersi come in un deserto, ma credere fermamente che Gesù Cristo è nostro salvatore può aiutarci nel nostro cammino. Dio è colui che ci assolve dai nostri peccati e con il Suo amore incondizionato ci dà la forza di affrontare le difficoltà e la speranza in un futuro migliore.
Penso che Dio sia la prima persona, il primo volto a cui ricorriamo quando ci capita di farla grossa, ma anche quando ci accade qualcosa di positivo. «Ma dove sei?», «Dove sei stato nel momento in cui avevo bisogno di te?». Quante volte abbiamo sentito pronunciare queste lamentazioni, queste imprecazioni verso Dio. E quante volte lo abbiamo adorato e ringraziato per tutte le cose belle che ci accadono.
Mentre sto scrivendo di Lui, mi chiedo se sia vicino a me, in questa cella, adesso che non attendo niente di esaustivo. Non ho un’immagine definita di Dio, ma sento la sua presenza e forza dentro di me. È Lui che vede i nostri volti e la nostra sofferenza. E coloro che credono in Lui vedono il volto della propria salvezza, perdono e speranza.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Daniele Villa Ruscelloni

L’uomo non è solo il suo peccato

«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,38c). Non è difficile allora capire che il volto di Dio in carcere è il volto di ogni detenuto, è il volto di ogni essere umiliato e disprezzato. Non è il volto bello che tanti pittori raffigurano, ma è il volto del Servo sofferente descritto da Isaia (53,12-56,13); è il volto del Gesù denudato, flagellato, incoronato di spine e crocifisso. È il volto di ciascuno di noi con i nostri peccati, le nostre miserie e debolezze, con i piccoli e grandi drammi che ci portiamo dentro, con le nostre attese. Sì, perché anche noi abbiamo delle aspettative, vogliamo avere la speranza di un futuro: siamo come l’albero senza foglie. Ma che presagisce il verde della primavera.
Ogni anno Dio manda in terra la primavera. La nostra primavera ha bisogno di agricoltori, non viene tutta da sola. Chi sono gli agricoltori di questa primavera? Molti cittadini, anche a causa di cattivi maestri e politici, pensano che tutti i reclusi siano «dei buoni a nulla». È grave, ma è ancora più grave se lo pensano gli “agricoltori”, e cioè gli educatori e gli psicologi quando ci innaffiano solo di parole, quando si pongono farisaicamente come i “buoni” di fronte ai “cattivi”.
Non vedo nessun dio nel senso di onnipotenza che sembra talvolta inebriare il “sistema”, quando un professionista, solo perché investito di un ruolo, pensa di saper leggere nel cuore delle persone attraverso brevi e sporadici incontri; quando trasforma e riduce le persone in fascicoli; quando la sua presunta onnipotenza vacilla davanti al timore delle folle che dal carcere invocano (illegittimamente) vendetta.
Anche Gesù è stato abbandonato alla croce per timore della folla. Dio lo riconosco più facilmente nel condannato, ingiustamente (come Gesù) o giustamente (come per quasi tutti noi). Gesù è stato riconosciuto in croce solo da un ladro, che lo ha invocato: «Ricordati di me quando sarai nel tuo Regno». E Gesù gli ha risposto: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). E Disma - questo il nome che la tradizione gli ha affibbiato - lo ha riconosciuto perché ha visto in Gesù uno che pativa con lui. E reciprocamente Gesù. Da questa “com-passione” è nata la misericordia.
Compassione, nel nostro parlare corrente, lascia intendere un atteggiamento di commiserazione un poco irritante e quasi offensivo. Ma la sua radice, la significazione originaria, è invece forte, coinvolgente: capacità di condividere la vita. Compatire è patire insieme, è prendere parte alla vita di un altro, è togliere dalla solitudine e disperazione. Solo questo “patire con” porta il carcerato a condividere con gli altri detenuti aiuto materiale, ascolto, consolazione e rende amicizia lasciando così intravedere il volto di Cristo misericordioso. La stessa cosa si può dire anche dei tanti volontari che frequentano il carcere.
Si dice che la misericordia sia un fatto riguardante solo Dio, o comunque la sfera religiosa; che non ha niente a che fare con la giustizia. Ma la giustizia è amministrata da uomini e da donne e anche a loro è rivolto l’invito di Gesù: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Se il termine misericordia dovesse dare fastidio, allora usiamo il termine umanità, che la stessa Costituzione italiana utilizza: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (Art. 27).
Mi auguro dunque che questa parole non vengano disattese da coloro che dovrebbero metterle in pratica e che non si ci limiti ad un lavoro burocratico, dove al centro ci sono solo carte processuali, ma sappiano mettere al centro la persona tenendo conto del comportamento tenuto negli anni della carcerazione perché l’uomo non è solo il suo peccato.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Osvaldo Broccoli

 Ormai sono chiuso da tanto tempo in carcere, e a volte mi sono chiesto come mai sia toccato proprio a me subire e pagare, in questo modo, i miei sbagli. So bene che non sono l’unico ad essere rinchiuso in carcere, ed è per questo che penso che forse, in questa vita, tutto avviene secondo una logica a noi sconosciuta. Forse Dio ha scelto così, non so se per il mio bene, oppure no, ma se c’è una forza misteriosa al di sopra di tutto, non posso certo opporre resistenza. Una cosa è certa per me: che in questo posto è facile perdere ogni tipo di Fede; in questo posto mi sento abbandonato, sepolto… anzi, nascosto vivo! Attraverso queste sbarre non riesco neppure a vedere le meraviglie che Dio ha creato: l’alba e il tramonto, il mare e le onde che pian piano accarezzano la sabbia e baciano gli scogli. In quel pezzetto di azzurro che ci hanno concesso, riesco a vedere, a volte, solo la spensieratezza di qualche uccellino, che viaggia verso la sua libertà eterna. Dio è dentro di me, nei miei ricordi e nel mio spirito: solo in me sono sigillati tutte le mie soddisfazioni, le mie delusioni, le mie gioie e i miei dolori; sono tutti nascosti in questa grandissima cantina, dove le persone di solito mettono cose che non servono più, per poi scordarsene. In questo deposito di ricordi ci sono tanti scaffali, e in ognuno ci sono delle scatole. Ecco, in una di quelle scatole ci sono io, come potrebbe il Signore Dio nostro vedermi? O come potrei vederlo io? È più facile per me sognare, immaginare il mio Dio, e vederlo come una figura astrattamente meravigliosa! È più facile per me avere pazienza, e sperare che in quel fazzoletto di cielo azzurro il mio Dio si ricordi di me. Tanto, prima o poi, tutti vanno in cantina, magari solo per prendere una bottiglia di vino, e chi lo sa, forse Dio mi ha fatto un po’ invecchiare per farmi diventare più buono!
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      Pasquale Antonio Acconciaioco