Un ciak per raccontarci di Dio

I miracoli della vita trasposti su pellicola

 di Federica Ferri
presidente del Circolo Cinematografico Cappuccini di Imola

 Un crocefisso per amico

Creati da Giovanni Guareschi per una serie di racconti pubblicati sul settimanale Candido, poi raccolti e unificati in un libro nel 1948, Don Camillo e Peppone sono i protagonisti di un film che ha saputo rappresentare con grande efficacia uno spaccato dell’Italia del dopoguerra.

Don Camillo è il sanguigno parroco di campagna di Brescello, un paesino di quella fetta di terra che sta tra il Po e l’Appennino; Peppone è il sindaco, acceso comunista e nemico dichiarato della Chiesa: la loro convivenza è estremamente animata e la passione spesso trascina i due a far volare pugni, panche e tavole per difendere i propri argomenti, salvo poi aiutarsi vicendevolmente quando la necessità lo richiede.
A raffreddare gli animi interviene anche il Cristo Crocefisso dell’altar maggiore a cui don Camillo chiede spesso consigli e che a volte richiama il parroco a più miti comportamenti, ma non sempre viene ascoltato. Quello che sarebbe un vero e proprio miracolo (parlare con Dio!) viene rappresentato con estrema naturalezza.
Dopo l’ennesimo tafferuglio con i politici locali, don Camillo viene trasferito in un’altra parrocchia. Arrivato nella nuova chiesa per un po’ di tempo il dialogo si interrompe, teme di avere perso l’amicizia del Signore. Ma presto il Crocefisso fa sentire la sua voce, lo rimprovera per la poca fede… e gli ricorda di essere sempre al suo fianco.

 Salvezza dai rastrellamenti nazisti

La porta del cielo è un film di Vittorio De Sica del 1944 ritrovato alcuni anni fa nella filmoteca vaticana. La sua realizzazione iniziò nel 1943, dopo l’armistizio, quando i tedeschi occupavano ancora Roma; De Sica scelse Cesare Zavattini, ateo, per la sceneggiatura, e le riprese si svolsero nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura. Tra l’altro, questo permise a De Sica di salvare alcune persone dai rastrellamenti e dalla deportazione, anzi si racconta che prolungò le riprese (senza più pellicola!) proprio per garantire loro protezione e riparo.
Comunque il film racconta la storia di un pellegrinaggio in treno verso Loreto. I protagonisti sono persone diverse, per età, per estrazione sociale: un bambino su una sedia a rotelle, una governante che chiede la grazia per la famiglia per cui lavora, un cieco, un pianista di successo che medita il suicidio perché la malattia della mano non gli permette più di suonare. Storie di sofferenza, di ricerca di una risposta e di un aiuto. Si cerca l’intercessione della Madonna per superare ostacoli che paiono insormontabili.
Quando il treno giunge a destinazione si ritrovano nel santuario, dove si svolge la cerimonia finale. E… il miracolo si compie anche se non com’era atteso: il miracolo più grande è quello dell’abbandono dei protagonisti alla volontà superiore, nell’accettare la propria condizione e quindi nel trovare finalmente la pace interiore. La porta del cielo è sempre aperta per tutti, e per attraversarla occorre conoscere la sofferenza, abbandonarsi e accoglierla.

 Il silenzio di Dio

Cosa però non sempre facile. Come si vede in tanti film, che raccontano di tragedie e di persecuzioni, come per esempio Silence, l’ultimo film di Martin Scorzese, tratto dall’omonimo romanzo di Shusaku Endo.
Nel XVII secolo due giovani missionari portoghesi, padre Rodrigues e padre Garupe, vanno in Giappone alla ricerca del loro mentore padre Ferreira, di cui non si hanno più notizie. Nella terra del Sol Levante è in corso una persecuzione dei cristiani, che sono costretti a rinnegare la fede o a subire il martirio. Il dramma s’incentra nel confronto tra padre Rodrigues e l’inquisitore Inoue, il quale tortura e uccide i cristiani giapponesi per indurli all’apostasia. Con l’integralismo della fede Rodrigues gli resiste, ma intanto è tormentato dal mutismo di Dio. Perché non ascolta le preghiere? È indifferente alla sorte degli umani? Non risponde perché non esiste? Le certezze del giovane padre, che si sente un po’ Cristo (in una scena si specchia in un laghetto e vede il volto del Salvatore), cominciano a vacillare: soprattutto quando gli fanno incontrare padre Ferreira, che ha abiurato calpestando un’immagine sacra. Non è sempre facile sapere con certezza che cosa sia giusto e da che parte stiano il Bene e il Male.

 L’incontro con la memoria

Una volta nella vita di Marie-Castille Mention-Schaar (distribuito nel 2016) racconta una storia vera; non è un film che affronta tematiche religiose in senso proprio ma può far riflettere, su alcuni miracoli di cui abbiamo bisogno oggi.
Nella banlieu di Créteil, a sud-est di Parigi, il crogiolo di etnie e differenti confessioni religiose ha numeri ben sopra la media. Al liceo Léon Blum, in particolare, c’è una classe multiculturale litigiosa e indisciplinata che crea problemi al preside e al corpo docente. I pochissimi interessati alle lezioni sono emarginati e non mancano altri atti di bullismo. Situazione non così rara in molte scuole.
«Che cosa potrà mai riservare il destino a questi ragazzi?», si domandano gli spettatori. Ma ecco, la professoressa di storia, una signora minuta dall’aspetto anonimo, non si fa scoraggiare e, contro il parere di tutti, sceglie proprio questa classe per partecipare al concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione avente il titolo “I bambini e gli adolescenti dentro il sistema concentrazionario nazista”. L’incontro con la memoria della Shoah avrà un impatto indelebile sulla vita e sul comportamento dei ragazzi della banlieu.
Quello che la professoressa insegna con successo è il dovere, prima, di trovare le proprie parole, e di non cadere nella trappola terribile del silenzio-assenso, e poi di fermare quelle stesse parole, non solo quelle irrispettose e inaccettabili, ma tutte, e di opporre loro un silenzioso rispetto. Quando, nel museo dell’Olocausto, sono le ragazzine stesse a dire con un fil di voce che hanno deciso di trattenersi, che l’altro impegno è rimandabile mentre questo no, il film è arrivato a segno, nella sua vocazione didattica e non solo. La scuola, origine e destinatario ideale di questo lavoro, è ritratta, con ottimismo e speranza, come il luogo possibile della trasmissione, non solo del sapere, ma ancor più del saper imparare: a stare al mondo nel rispetto del prossimo.
Il film si chiude con un dato: la maggior parte dei ragazzi, veri protagonisti della storia, si è incredibilmente diplomata con il massimo dei voti. E ha conservato nel proprio cuore il ricordo di una insegnante “sale della terra”.