Padre nostro, ma dove sei?

Il volto di Dio ha bisogno di rendersi credibile ai giovani, anche attraverso gli adulti

 di Domenico Cambareri
presbitero della Chiesa di Bologna e parroco 

Dalla parte di Giobbe

Mettiamo di leggere la vicenda di Giobbe a un qualunque gruppo giovanile. Sono straconvinto di due reazioni: metteranno subito la faccia modalità “lezione su Boccaccio alla quinta ora” e, forse, avranno un fremito di vita quando l’educatore di turno chiederà loro di commentare le parole con cui gli amici di Giobbe tentano di giustificargli l’azione di Dio.

Di certo si schiererebbero dalla parte di quello sventurato. Sta proprio antipatico ai ragazzi questo Dio che si presenta - ma è meglio dire è presentato - come il grande avversario della felicità (e sappiamo bene donde provenga questa sensazione) e si pongono dalla parte dell’uomo che vuole ragioni, che chiede al cielo conto della sua sfortuna. In un tempo in cui la felicità è percepita come in perenne minaccia, essi non sono disposti a rinunciarvi, foss’anche per la pretesa di un Dio. Insomma i tre amici volenterosi e goffi non avrebbero scampo! 

Nono solo classificare. Ammirare.

«Ragazzi, come mi sentivo infelice. Mi sentivo così depresso che non potete immaginarvelo […] Però alla fine mi spogliai e mi misi a letto. Avevo voglia di pregare o qualcosa del genere, quando fui a letto, ma non ci riuscii. Non sempre riesco a pregare quando ne ho voglia. Tanto per cominciare, sono un po’ ateo». Come si può avvertire il bisogno di pregare per affrontare l’infelicità e contemporaneamente essere un “po’ atei”? Ad esprimere questo pensiero è l’adolescente protagonista del celebre romanzo Il giovane Holden, capolavoro dell’americano J. D. Salinger, e mi serve per raccogliere alcune idee su questa questione di Dio e dei giovani.
È la generazione delle contraddizioni, il tempo delle contraddizioni è forse di tutti i tempi, non solo di questa generazione. Un tempo di angoscia, di solitudine vissuta in un mondo che si crede connesso, con il bisogno di non credere a una vita che ci vede immersi nella sola immanenza (tutto ciò che esiste è solo quello che si vede/misura/sente); ma anche con la fatica di abbracciare una fede che, da chi fa tendenza, ormai viene screditata come esperienza per vecchietti o bigotti. Il combattimento che quel ragazzo visse quella notte, icona di ciò che accade a tanti suoi coetanei, è simbolo di questo bisogno di trovare ragioni di senso per affrontare una vita che si è resa davvero complessa; è avvertire di avere poche forze per farlo, di possedere riferimenti deboli e presagire, anche in questo bisogno e in questa ricerca, una solitudine invincibile. La stessa solitudine che fa, forse, porre la domanda su Dio, è quella che li spinge ad aggregarsi in gruppi per evadere dalla realtà che gli adulti, noi adulti, abbiamo loro consegnato.
Eppure, come il papa sottolinea nella lettera pubblicata in apertura del Documento preparatorio al prossimo Sinodo dei Vescovi che avrà a tema i giovani e il discernimento vocazionale, è da loro che si attende una reazione di rinnovamento e fiducia per cambiare quel mondo (e quella Chiesa) che è finito per non piacere né a noi né a loro: «Voi avete gridato insieme un fragoroso “sì”. Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza». È vero, io ammiro questa loro voglia di qualcosa di diverso e migliore, spesso da noi grandi tacciata di ingenuità. È forse anche così ma io detesto il nostro disincanto.

 Il Dio dei giovani

«Se proprio volete saperlo, non posso nemmeno sopportare i preti. Di quelli che ho visto in tutte le scuole dove sono andato, non ce n’è uno che quando attacca il sermone non tiri fuori quella voce da curato. Dio, quanto m’è odioso. Non capisco perché diavolo non debbano parlare con la loro voce naturale. Hanno un tono così fasullo, basta che aprano bocca». Per non far torto a nessuno prendo di mira la mia categoria (non me ne abbiano i confratelli) nell’introdurre una riflessione. Uno dei problemi odierni rispetto al mondo giovanile, per molti la causa stessa, è in realtà il mondo degli adulti. Ed anche nella ricerca del volto di Dio la problematica si ripresenta. Noi, adulti e responsabili delle comunità cristiane, siamo di ostacolo a questa ricerca? La favoriamo? Rispondere con sincerità sarebbe una ottima occasione di verifica per i nostri cammini di fede, ma non è questo il luogo opportuno.
Il nostro Holden presta ancora la voce per interpretare il sentito di tanti giovani in ricerca e, perché no, sinceramente orientati ad un cammino di fede e ci consegna tre grandi questioni per noi uomini e donne di Chiesa: la questione dei luoghi, della comunicazione e della vita. Cose mica da poco, amici! Holden parla di preti impegnati nelle scuole (noi potremmo dire nelle nostre parrocchie) ed è evidente che la loro presenza e il loro lavoro lì non sono significativi! E uso un eufemismo! Le nostre parrocchie attraggono i giovani (si badi: attrarre nel senso evangelico del termine!) o li respingono? Quei “bei ragazzi dalle vite vere ed incasinate” trovano spazio nei nostri ambiti oppure, terminato il ricatto sacramentale della «combo» comunione-cresima, fuggono velocemente per ricomparire (forse) dopo i trent’anni a commuoversi al loro matrimonio in chiesa?
Probabilmente il nostro modo di comunicare è da riconsiderare? Non mi riferisco soltanto al fatto se padroneggiamo o meno gli strumenti attuali per veicolare il messaggio evangelico (assieme a tante altre belle cose) ma se ci poniamo davvero il problema del fatto che le nostre liturgie e apparati vari di comunicazione siano davvero una risposta vitale alla ricerca e ai bisogni dei ragazzi. Insomma è sempre tutta colpa loro se, come Holden, si annoiano a morte? Ma la contestazione del nostro adolescente di carta si complica: la nostra vita che cosa comunica? Holden è impietoso: menzogna.
Terribile il riferimento al soporifero tono omiletico del curato in questione. E non è solo un problema tecnico-retorico ma esistenziale: c’è verità nelle parole del prete? Si avverte cioè che le parole non riescono a essere vere perché non sono sostenute da una testimonianza di vita credibile. Questo è il punto. È la croce della testimonianza poggiata sulle spalle di noi adulti nella comunità cristiana. Abbiamo la responsabilità davanti ai loro occhi (e nelle loro orecchie) di far percepire loro che noi crediamo a ciò che facciamo-diciamo. Non importa tanto sapere se c’è vita su Marte ma se ce n’è nelle nostre parole e azioni! Eppure lo Spirito che ha a cuore la Chiesa (e noi e i giovani), con briosa e spiazzante fantasia, suscita esperienze molto positive (e ahimè silenziose).
Encomiabile è il lavoro degli Scout, dell’Azione Cattolica e di altre «sigle» a servizio dei cammini giovanili; esperienze missionarie all’estero e di conoscenza e condivisione sui territori vessati dalle mafie; periodi di preghiera e silenzio sono offerti in tutta la Penisola. Non è insomma tempo di disperare. Sui loro volti brilla il volto di un Dio leggero, con uno zaino agile per seguirli nelle loro vie tortuose e precarie. Un grande e vecchio amico invocato forse di nascosto e con parole e modi poco tradizionali ma con un cuore sincero e puro. Un Dio che convive con i dubbi ma sa motivare la loro ansia di comunità, libertà e autenticità. E noi vecchi, ma sì siamo gentili, maturi? Rimaniamo loro vicino e prendiamo a prestito le parole di Gesù e così preghiamo per loro:

 Padre nostro che sei nei giovani,
brilli in loro il tuo vero volto.
Costruisci con loro il tuo regno.
Si fidino della tua volontà,
non temano il cielo e amino la terra.
Fa’ che noi grandi lasciamo loro qualcosa del nostro pane quotidiano.
Non rimangano schiacciati dai nostri debiti.
Non dicano mai “sì” alla tentazione di disperare
e non si abituino mai al male! Amen.