Fenomenologia della mediocrità

Dai Simpson la dissacrazione dell’universo famiglia per recuperarne la parte più pura

di Brunetto Salvarani
teologo e scrittore

«Mio caro Uri, sono ormai tre giorni che quasi ogni pensiero comincia con “non”. Non verrà, non parleremo, non rideremo. Non ci sarà più questo ragazzo dallo sguardo ironico e dallo straordinario senso dell’umorismo… Non vedremo più insieme I Simpson»

(Dall’orazione funebre di David Grossman, per il figlio Uri morto in guerra, La Repubblica, 17/8/2006)

Image 099Sull’orlo del baratro

Chi non si è mai imbattuto nei Simpson? Difficile, forse impossibile - almeno per chi dispone di una tv e/o di figli teenagers - non saper nulla di questa che è, a cartoni animati, la tipica famiglia della middle class cara da sempre all’immaginario cinematografico-televisivo statunitense. Distante peraltro anni luce dal canonico modello mieloso delle sit-com manierate, essa è connotata in primo luogo da smisurato spirito dissacratorio, pur essendo a propria volta quanto mai massificata… schiava del piccolo schermo, dei fenomeni di massa e di una cospicua serie di pregiudizi parossistici, col suo stile di vita vistosamente scorretto spolpa tuttavia alla radice ogni mito e ogni consuetudine sociale, riscattandosi così dal baratro dell’assoluta mediocrità cui parrebbe condannata. Con l’istituzione-famiglia che permane al centro di tutto il plot narrativo: sbeffeggiata di continuo, ovvio, ma anche riconosciuta come l’unica (e l’estrema) ancora di salvataggio in chiave sociale, grazie ad un reciproco e ben saldo attaccamento affettivo fra ogni membro.

Esauritesi, o quasi, le preoccupazioni degli inizi degli anni Novanta - quando la serie sbarcò quasi in sordina nel Belpaese, grazie (diciamolo!) alla lungimiranza di Mediaset - con le riserve di genitori e pedagogisti sul linguaggio un po’ crudo e qualche scena eccessivamente violenta (il metacartone politicamente scorrettissimo di Grattachecca e Fichetto, parodia trasgressiva di un Tom & Jerry), oggi il consenso nei loro confronti sembra unanime. E appaiono lontane - oltre che risibili - le dure critiche sferrate in madrepatria, che videro alleati gruppi fondamentalisti di marca cristiana e lo stesso allora presidente George Bush senior, che nel ’92, in piena campagna elettorale per le presidenziali, esortò così i connazionali: «Dobbiamo rafforzare la famiglia americana. Dobbiamo fargli vedere di più i Walton e meno i Simpson!». La considerazione più azzeccata, alla fine, l’ha fornita lo stesso Matt Groening, il creatore della serie, di fronte alle lamentele di alcuni gruppi di genitori: «Se volete che i vostri figli la smettano di comportarsi come Bart, smettetela di comportarvi come Homer!».

Il turpiloquio, a ben vedere, è ridotto al minimo; mentre gli accenni di violenza sono caricaturali e grotteschi, e dunque pieni di autoironia, fino a schiudersi in un effetto catartico. 
 

L’oasi famiglia

Image 102La morale dei Simpson, e insieme la loro idea vincente, è che, alla fine, dopo il classico tsunami di peripezie e disavventure, ciò che può salvare il salvabile è solo il focolare domestico (mentre all’esterno della casa scorrazzano sindaci corrotti, mafiosi impietosi, vicini petulanti, dirigenti d’azienda senza cuore, e così via). Il nucleo familiare unito, per sgarrupato che sia, inteso come bene-rifugio, investimento a lungo termine, àncora di salvezza in un universo denso di trappole e catalizzatore di paure: per dirla con un proverbio inglese, “east, west, / home’s best”. Dove i litigi tra i fratelli Lisa e Bart si trasformano pian piano in alleanze per la vita, e le proteste verso l’imbarazzante Homer, il marito, da parte della moglie Marge possono diventare (e diventano regolarmente, in effetti) carezze e baci, ma soprattutto inossidabile complicità… «Se dopo tanti anni - ha scritto Barbara Maio - la serie de I Simpson è ancora in grado di attirare la nostra attenzione e il nostro affetto, è soprattutto grazie alla carica umana dei personaggi principali, che tramite le loro contraddizioni e le loro incoerenze, riescono a sembrare molto più reali di quanto, superficialmente, la forma animata suggerirebbe».

E anche il loro film per il grande schermo, approdato in Italia nel 2007 (The Simpsons - The Movie), ne ha fornito un’ennesima conferma: mentre dalla (caricatura della) religione non sembrano giungere risposte adeguate, è attorno al desco di cucina che vengono ricompattate le tensioni e si ricompone - almeno fino al prossimo litigio… - l’ordine sociale, quando tra un tacchino del ringraziamento e una bisteccona succulenta fioriscono le discussioni e le proposte più balzane. In una parola, c’è dialogo. Frizzante, altalenante, godibile, e comunque in grado di produrre sorprese e novità. C’è persino lo spazio per le preghiere, come quella di Homer, come sempre sui generis e comunque ottimista nella sua disarmante ingenuità, prima di cena: «Grazie, soprattutto, per l’energia nucleare, che fino ad oggi non ha ancora causato una singola fatalità accertata. Almeno in questo paese. Amen!»; o quella di sua moglie, nel contesto di una fusione nucleare incombente su Springfield, a suo modo strepitosa: «O Signore, se risparmi questa città dal diventare un buco fumante nella terra, proverò a essere una cristiana migliore. Non so ancora in che modo… uhm… la prossima volta che ci sarà una raccolta di viveri, darò ai poveri qualcosa che a loro piaccia davvero, invece dei soliti fagioli in conserva»; o quella di Bart, quanto mai realistica, prima di andare a dormire: «E ti ringrazio, Dio, per le cattive azioni degli adulti che distolgono l’attenzione da quelle che faccio io». E ancora, per un abbozzo di par condicio interreligiosa, quella di sapore hindu recitata da Apu, prima di cena: «Buon curry, buon riso, buon Gandhi, pappiamo!».
 
Amore duro e puro

Salvarani 03E nonostante il marito si dimostri egoista al massimo grado, scordi regolarmente i suoi compleanni, mastichi con la bocca aperta e butti via il tempo con un manipolo di debosciati perennemente ubriachi alla taverna di Boe, Marge resta sempre dalla sua parte: dimostrando un amore che, come direbbe il salomonico Cantico dei Cantici (Ctc 8,6), è capace di vincere persino la morte… tanto che, a fronte degli infiniti disastri da lui compiuti con impressionante leggerezza, lei non smarrisce mai la virtù (eminentemente cristiana, ma anche così umana) della speranza, ricorrendo alla sua sterminata riserva di frasi proverbiali per andare avanti, a dispetto di tutti e di tutto. Perché, come dichiara un giorno, «la maggior parte delle donne ti diranno che sei pazza a pensare di poter cambiare un uomo, ma queste donne sono delle mollaccione».

Il che non è davvero poca cosa, di questi tempi malati di pochi happy end e di troppe banalità spacciate per arte. E soprattutto per un universo più accentrato che mai, ma di certo, simpsonianamente, fatto a forma di ciambella. 

Dell’Autore segnaliamo:

Da Bart a Barth. Per una teologia all’altezza dei Simpson

Claudiana, Torino 2008, pp.160