Al Convegno provinciale di ottobre 2016 “Quale Vangelo dalle nostre Missioni?”, mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico per il Caucaso dei cattolici di rito latino, ha tenuto una relazione su “Georgia: il vangelo dell’unità”, che qui viene sintetizzata. Fra Michele Papi, da Istanbul, ricorda quanto deciso dal recente Capitolo provinciale sulle missioni.

Saverio Orselli

 

 La bellezza che è nell’altro

Intervento di mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso 

 Shen genatsvale

Durante la sua recente visita in Georgia, papa Francesco, nel saluto pronunciato nella Cattedrale Patriarcale di Svetitskhoveli, ha detto: «La lingua georgiana è ricca di espressioni significative che descrivono la fraternità, l’amicizia e la prossimità tra le persone.

Ve n’è una, nobile e genuina, che manifesta la disponibilità a sostituirsi all’altro, la volontà di farsene carico, di dirgli con la vita “vorrei essere al tuo posto”: shen genatsvale. Condividere nella comunione della preghiera e nell’unione degli animi le gioie e le angosce, portando i pesi gli uni degli altri (cfr. Gal 6,2): sia questo fraterno atteggiamento cristiano a segnare la via del nostro cammino insieme».
Ecco, la parola genatsvale è da tener presente per il futuro: tu sei parte di me e io non posso far senza di te. Questa è la Trinità e questa è anche la Chiesa; così come dovrebbero essere le nostre relazioni, anche nel cammino ecumenico. Perché stiamo cercando il fratello o la Chiesa sorella? Ma perché “tu sei parte di me e io non posso far senza di te”. Eppure molto spesso facciamo a meno del fratello; anzi, certe volte siamo convinti che senza il fratello siamo più liberi, abbiamo la sensazione di essere più realizzati…
Come nella storia di Giuseppe e i suoi fratelli alla fine del libro della Genesi, è l’invidia che porta a fare il male, perché l’invidia è il contrario del riconoscere la bellezza dell’altro. Il significato del termine invidia richiamato dal padrone accusato di aver dato ingiustamente la stessa paga nella parabola degli operai inviati nella vigna (Mt 20,1-16) è “tu hai gli occhi tristi”. Non vedere la bellezza dell’altro - l’invidia - rende tristi. È difficile riconoscere la bellezza dell’altro, anche nei rapporti all’interno della Chiesa, tra congregazioni e tra comunità dentro le congregazioni stesse.
 Molte volte mi sono accorto - anche nella mia Chiesa in Georgia - che quando uno diventa bravo, fa delle cose belle, c’è qualcuno che lotta contro, invece di sostenerlo e dargli la possibilità di migliorare ancora. Pur comprendendo che si tratta di qualcosa di positivo, non si riesce a vedere la bellezza dell’altro. Questo accade anche tra le Chiese: la fatica dell’ecumenismo sta proprio nella difficoltà di riconoscere la bellezza dell’altra Chiesa. Sembra più facile trovarne tutti i lati negativi e state sicuri che ce ne sono e tanti se ne potrebbero raccontare della Chiesa ortodossa, così come potrebbero fare loro della cattolica. Quando si parla della “profezia” che potrebbe offrire l’ecumenismo, per me si parla di questo: saper vedere la bellezza dell’altro. È faticoso, ma fondamentale.

 Preghiera per l’unità

Nel capitolo 17 del vangelo di Giovanni la preghiera sacerdotale di Gesù, inserita tra i discorsi di addio e il racconto della Passione, si sviluppa in tre circoli concentrici. La preghiera per la glorificazione del Figlio, «Padre glorifica il tuo Figlio!», è seguita dalla preghiera per i discepoli, «Io prego per loro», e finalmente dalla preghiera per l’unità di tutti i cristiani in futuro: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la parola». Proprio in questo contesto, alla fine dell’ultima parte, viene situata la preghiera per l’unità. Possiamo così capire che l’unità dei cristiani è il riflesso dell’unità tra il Padre e il Figlio e di quella del Figlio con i suoi apostoli. Questa unità è quindi il frutto ultimo dello Spirito Santo nel cuore dei credenti e quindi è un dono, un dono da chiedere. Dobbiamo cambiare un po’ la nostra mentalità e smetterla di pensare che attraverso quello che facciamo realizziamo pienamente l’unità, se non arriviamo a pensare che l’unità è un dono.
La terza parte della preghiera si divide in due strofe che hanno per tema l’amore. L’unità è quindi inseparabile dall’amore. Costituisce la prima caratteristica di Dio e la comunica alla sua Chiesa. Quando nel Credo diciamo «io credo in un solo Dio» e poi «io credo una sola Chiesa»: lo stesso tema dell’unità è riferito a Dio e alla Chiesa. L’unità della Chiesa è vista come l’immagine di un modello divino e in vista di un progetto che è la conversione del mondo. Il cammino ecumenico è quindi un modo per l’evangelizzazione e la conversione del mondo; un modo per rendere concreta ed efficace la croce di Gesù.
Dato che è difficile essere a immagine di Dio, il legame è la misericordia: la pasta sta insieme se c’è la misericordia. Non possiamo creare nessuna comunione se non c’è misericordia. Il papa ha chiesto scusa molte volte alle altre Chiese, ma tanti non capiscono il perché. Il tema della misericordia è alla base del cammino ecumenico, anche perché, come dice la radice della stessa parola, bisogna metterci il “cuore”. In quasi tutte le lingue la parola misericordia contiene il cuore… e il cuore vuol dire “ti metto dentro di me”. L’unità non si può fare altrimenti: se non ho la capacità di chiedere perdono, di mettere l’altra Chiesa dentro di me, nel mio cuore, l’unità non si realizza. È una fatica enorme, nella quale tutti siamo coinvolti.
In Georgia, dove certo la situazione non è facile, a volte i cattolici sono più integralisti degli ortodossi e finiamo per essere tanto duri e poco misericordiosi. Misericordia significa essere disposti anche a perdere pur di amare. “Prendere a cuore”: la parola rahamin, che in ebraico si usa per dire “misericordia”, richiama il grembo, portare in grembo… un legame unico: Dio è colto come madre. Se ho misericordia verso di te potrò stare con te. Nessuno è perfetto. Ecco, io accetto l’altro perché vedo la bellezza che c’è in lui: bisogna che diventiamo gente che fa scoprire la bellezza dell’altro. La missione del cammino ecumenico dovrebbe avere questa base, perché non bastano, per quanto importanti, i piccoli passi teologici: occorre scoprire la bellezza dell’altro. Lo dico con la consapevolezza, dopo tanti anni vissuti in Georgia, di vivere nel luogo in cui è più faticoso il cammino ecumenico: scoprire la bellezza dell’altro potrà compiere miracoli.