IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

 Mentre sguazzo piacevolmente nel mare calmo delle chiacchiere di benvenuto con gli amici del tè, qualcosa mi distrae. Alle spalle dei miei interlocutori, colgo lo strano comportamento di Maura. Sono sorpresa: non riesco a capire cosa stia facendo. Si muove rapidissima nella sala; pare un’ape indaffarata, carica di polline, dentro e fuori dall’alveare.

a cura della Caritas di Bologna

 

Neanch’io ti condanno

Nella disamina sincera della nostra coscienza possiamo incontrare un Gesù che ci perdoni

 Lectio brevis di carità

La vedo entrare con un pesante faldone pieno di documenti che sistema a terra in un angolo della stanza. Poi esce con piccoli passi frettolosi. Rientra con un altro faldone e lo sistema sopra il primo. Fuori di nuovo. Stessa azione ancora. Poi ricopre tutto con un telo scuro.

Anche gli amici del tè cominciano a notare la cosa; qualcuno si avvicina e le chiede con garbo se ha bisogno di una mano. Nessuno, tranne me, si preoccupa di capire cosa stia succedendo, ma in diversi, d’istinto, si rendono disponibili ad aiutarla. Mi rendo conto di aver appena ricevuto un’efficace lectio brevis sulla carità evangelica. Incasso, rimandando a dopo i conti con la mia coscienza, perché Maura compie l’ennesimo gesto incomprensibile: muovendo elegantemente le braccia, avvolge il volto in un foulard viola e si siede esattamente sulla pila di faldoni, trasformati in un rudimentale panchetto.
Dal basso ci guarda con gli occhi che sprizzano arguzia ed entusiasmo: «Sono pronta!» dice verso l’alto. Poi chiude gli occhi e si concentra. Tutti noi ci sediamo rapidi e silenziosi per proteggere il suo raccoglimento. Quando riapre gli occhi non c’è più alcun bagliore nel suo sguardo che punta dritto avanti, contro la parete grigia. La voce le esce ugualmente grigia, monotona, sottile. Una strana onda di agitazione attraversa il cerchio attento.
«Sono una donna del popolo di Israele e ho un ricordo del mio passato da condividere con voi se vorrete ascoltarmi… La nostra usanza è di farci sposare giovanissime. Matrimoni combinati fin da piccole, sapete: per noi è tradizione. Anche io sono andata in sposa così. I miei mi hanno trovato un marito, un uomo come tanti: né buono né cattivo. Così sono diventata moglie, ma non sono mai diventata madre. In altre parole: ero una donna senza valore. Ugualmente desideravo così tanto essere amata - capite? - così tanto, che mi sono andata a cercare quell’amore dove non dovevo… Un giorno mi hanno trovata con quell’uomo. O forse ci aspettavano là nascosti, non so… Lui l’hanno fatto scappare subito, ma io sono stata presa per i capelli e così mezza nuda com’ero, mi hanno trascinata per le strade, nella polvere, fino al cortile del tempio. Ero terrorizzata, buttata come uno straccio là in mezzo. Mi guardavano con occhi cattivi, invadenti, carnivori… Sentivo che sarei morta quel giorno. Ma là c’era quell’uomo che chiamavano “Maestro” e la mia vita è cambiata per sempre…».

Tutto è sospeso

Osservo intorno: i nostri amici sono attentissimi, paiono come risucchiati nella storia. Di colpo mi accorgo che siamo stati tutti catapultati al centro del cortile. Siamo lì nella folla, con gli altri uomini, i sassi appuntiti dei nostri giudizi facili stretti in pugno. Poi l’Uomo ci rivolge la Sua frase disarmante: «Chi di voi è senza peccato, scagli la pietra». Il Maestro è chinato all’altezza della donna, ma non la guarda. La rispetta, con Amore. Non guarda nemmeno noi: non vuole umiliarci con la Sua Verità tanto semplice quanto terribile. Ci conosce e ci rispetta, con Amore. Attende tutti, paziente. La vergogna di me mi fa salire dallo stomaco un senso di nausea. Chiedo perdono ad occhi chiusi.
Nel silenzio perfetto che segue, sentiamo la Voce che di nuovo interpella ognuno: «Allora vai, neppure io ti condanno. Torna a casa, non peccherai più».
Ancora silenzio. Tutto è sospeso. Poi un applauso spontaneo e fragoroso d’allegria, invade lo spazio e vola a ringraziare Maura. L’atmosfera muta: la tensione si è sciolta completamente e ci vien voglia di ridere.
«Io la penso come Gesù!» parte Maurizio «Lui qui non usa la legge come è scritta esattamente. Si appella alla coscienza. Io sono convinto che il Signore non abbia lasciato scritto niente di Suo pugno perché voleva diffondere un modo nuovo di ragionare e di aver fede, che partisse dalla coscienza cioè dal luogo dove ciascuno di noi incontra Dio!».
«Be’ anche la legge di Mosè però era importante: era dura, ma creava le condizioni perché le persone non potessero mentire a sé stesse. L’uomo è “in cammino”, siamo dei “quasi”, non siamo mai dei “compiuti”; abbiamo bisogno di una direzione…» gli fa eco Alfredo.
«Io mi sono accorto che facciamo presto a puntare il dito e giudicare i comportamenti degli altri» interviene Fabrizio «ma in realtà non sappiamo nulla di quelle persone che giudichiamo, della loro storia. Questo è veramente sbagliato!».
«È così! A me è capitato!» alza la voce Rosaria, il viso in fiamme «Quando stavo al sud la gente mi condannava perché diceva che ero una “facile”. Per questo nessun ragazzo veniva da me con intenzioni serie. Io mi son sentita proprio come quella signora: lapidata con le parole. Sono scappata: ho preferito vivere per strada qui a Bologna che restare giù a prendermi gli insulti. Poi ho incontrato anche il mio Gesù: mio marito che – fra l’altro – era un uomo marocchino. A lui ho raccontato tutto di me e mi ha voluta bene per quel che ero. Ora la nostra storia è finita, ma ci vogliamo ancora bene. Lui sì, mi ha saputo leggere l’anima, proprio come Gesù».
«Anch’io sono stato giudicato e condannato!» le fa eco Gabriele con rabbia «Una parte di me è molto femminile e a me piaceva vestirmi da donna. Ma quando me ne andavo in giro, la gente – senza conoscermi minimamente – mi urlava contro: “pervertito!” o anche: “drogato!”. Ad un certo punto ho represso questa parte che pure mi apparteneva. Ci soffrivo troppo. Mi sono fatto una violenza enorme. E alla fine ho scoperto che non serve rinunciare a qualcosa di sé per essere accettati, accolti; tanto la gente mi giudica sempre e comunque, solo perché per vivere ho bisogno dell’assistente sociale o della Caritas. Il fatto è che la società ha bisogno di capri espiatori».
Alfredo sbotta, pieno di comprensione: «Certo che riuscire ad essere quello che si è, è davvero uno sforzo titanico!».

 Rattrappirsi o gettarsi nel vuoto

«Hai ragione! Abbiamo solo due scelte: o rattrappirci e stare condizionati dall’opinione altrui oppure gettarci nel vuoto e affrontare chi si è veramente… Però fa paura!» ammette Fabrizio.
Al mio fianco sento la voce roca e impastata di Claudio. In questo momento è in cura, prende il metadone. È diabetico: lui la merenda con noi non riesce a farla mai. Il viso e i piedi sono gonfi e le parole rotolano fuori dalla sua bocca come immerse in un liquido denso: «Io nello sbaglio mio sono stato giudicato e condannato… solitudine, impotenza, giudizio e poi, se non si riesce a ripartire, c’è anche l’abbandono di sé, alla deriva. Se non ce la fai ad uscire dalla droga, ti lasci andare e ti giudichi e ti condanni da solo, fino a distruggerti. Ci sono giorni in cui io non vorrei nemmeno alzarmi da letto. Allora cerco di ricordare quello che mi ha detto il direttore di una delle comunità in cui sono stato: “Claudio, può essere che ricadrai, ma non importa! Ricordalo! Tu però devi sempre chiederti il perché, proprio in quel momento, sei ricaduto”. Lui mi ripeteva sempre che si ricade perché si cerca qualcosa. Puoi cadere e ricadere mille volte, ma bisogna aver il coraggio di chiedersi: cosa stavo cercando in quella situazione? Soltanto questo ti può salvare la vita! Devi trovare il “perché” nell’ostacolo. Alla fine bisogna solo continuare a camminare per trovare strade nuove, serve andare più a fondo a cercare. Vi dico la verità, a me non piace affatto parlare di “errori”: preferisco dire che ci troviamo contro dei muri, sbattiamo contro degli ostacoli che non riusciamo a superare subito… Capite?».
«Ah, sapete cosa penso?» dice Maurizio regalando a Claudio uno sguardo sorridente, carico di simpatia «Penso che sbagliare, sbagliamo tutti, dal primo all’ultimo, in un modo o nell’altro. Anche nella scena di prima: alla fine vanno via tutti e Gesù manda via anche la donna… Il problema non è mica sbagliare, che è un limite oggettivo, il problema vero è quando lo facciamo notare agli altri… Ma Gesù invece non fa così: Lui minimizza il peccato. È importante questo! Allora io per descrivermi potrei dire: “sono una persona che fa tante cose belle, che ne so: disegno, scrivo, suono, canto… e poi bevo molto”. È un’altra cosa, no? Se mi descrivo così, posso riconoscere il mio ostacolo, ma quello non mi definisce come persona. E invece che succede di solito? Come la gente ti fa credere che sei, ecco: quella definizione diventa più importante di chi sei veramente! Mah! Facciamo sempre un sacco di azioni sbagliate, questa è la verità! Boh, va a finire che il “peccato” è una “costruzione” nostra, per arrivare a condannare gli altri e “salvarci” noi, da soli…».
Maura, di colpo, butta una domanda come fosse un petardo: «Rosaria ci ha raccontato che ha incontrato Gesù in suo marito… ma voi invece: vi siete mai accorti di averLo incontrato?». Una pioggia di risposte altrettanto scoppiettanti, riempie la sala. «Io sì! È lei signora Maura! L’ho vista alle prese con uno che offendeva tutti e si è comportata con incredibile tolleranza» fa uno. «Io ancora non L’ho trovato, nemmeno nello psichiatra!» fa un altro. «Io L’ho visto in un amico che mi ha aiutato» ribatte Raffaele. «Io invece adesso Gesù non lo voglio! Il mio è un percorso in solitaria!» esclama con tono di sfida Gabriele. «Però ci sono dei Gesù in giro! Anch’io cerco di esserLo! Tutti noi possiamo!» prorompe Rosaria, dando alle parole una spinta tutta speciale. Per ultimo sento Maurizio: «Ho l’impressione che Gesù lo idealizziamo un po’ troppo, ma io son convinto che l’incontro con il Signore sia molto più frequente di quello che ci immaginiamo».

Parole sante. A me, addirittura, capita di bere il tè con Lui.