Classificazione empirica dei perché dei bambini

Consigli pratici per genitori assediati da milioni di domande infantili

 di Elisa Fiorani
francescana secolare di Faenza

 Nel paese delle meraviglie da capire

«Siccome non era in grado di rispondere a nessuna delle domande, non dava molto peso alla maniera in cui se le poneva» (Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie).


Qualche anno fa un noto marchio britannico fece una ricerca, riportata anche in diverse testate italiane, sulle domande dei bambini: ne calcolò un numero quotidiano impressionante, con punte associate alle bambine di quattro anni, con il record di una domanda ogni due minuti e mezzo. La maggioranza dei bambini risultava poi rivolgere le proprie domande alle mamme, perché la risposta più comune dei babbi è «chiedi a mamma». Le domande dei bambini e delle bambine calano di intensità con l’età, ma crescono per difficoltà. Nove mamme su dieci, già nel 2013, hanno ammesso di aver usato Google per rispondere.
Se dovessi fare una classificazione, rigorosamente non scientifica, di queste innumerevoli domande, le farei rientrare in tre macrocategorie.

 Domande tecnico-scientifiche

Perché l’acqua bagna? dove finisce il cielo? di che cosa è fatta l’ombra? cos’è un arcobaleno? come funziona la tv o il cellulare o altro congegno domestico, dove finisce la cacca quando viene risucchiata dal water? perché quel signore non ha i capelli? (di solito quando si è in fila alla cassa del supermercato), ma anche la super classica come nascono i bambini? Queste domande spesso mettono in imbarazzo noi adulti perché non ne conosciamo la risposta. Viviamo in un mondo supertecnologico, ma non sappiamo spiegare il funzionamento della maggior parte delle cose che utilizziamo. Per non parlare della capacità di riconoscere un albero o un insetto. In questo caso, più che Google, io consiglio l’acquisto o la presa in prestito di bellissimi libri dai titoli illuminanti, come ad esempio: Sai perché? Lo sai che? Come funziona una lavatrice, La tecnologia spiegata ai bambini, che hanno anche il vantaggio di vignette e disegni, e che permettono a noi adulti di ripassare un po’ di cose.
Perché possiamo ogni tanto rispondere «non lo so» (è vero!) oppure inventarci una spiegazione fantascientifica, ma i bambini poi ci aspettano al varco. E anche la nostra coscienza. Evito di promuovere, anche se diffuso e in certi casi molto efficace, lo scaricabarile: «chiedilo alla nonna» (!), «chiedilo a tuo fratello maggiore» (sadismo familiare), «chiedilo alla maestra» (è il loro lavoro, no?). Se poi volete divertirvi veramente, rispondete ad un bambino/a che vi pone queste domande, rilanciando: «Ma secondo te, qual è la risposta?». Dopo esservi goduti il bagno di creatività e immaginazione, ricordatevi però di rispondere. Non si bara.

 I nodi che non vorremmo sciogliere

Certamente, tutte le domande implicano una relazione. In questa categoria, però, io inserisco questa tipologia di interrogativi: perché nessuno gioca con me? perché sei/è triste? come mai litigate sempre? perché devo andare a scuola? se sono miei amici, come mai mi hanno fatto questo? perché hai detto una bugia a quella signora? E via dicendo. Si tratta di quelle domande che riguardano la sfera della persona, dei suoi sentimenti e dei suoi affetti oppure la dimensione relazionale tra persone, comprese le formazioni sociali nelle quali esse vivono. Queste domande sono delicate e diventano imbarazzanti quando svelano convenzioni sociali, atteggiamenti, parole, comportamenti che esprimono una leggera falsità, considerata socialmente opportuna, oppure questioni relazionali più o meno complicate che noi adulti non abbiamo voglia in prima persona di affrontare. Domande che preferiamo non porci, che vorremmo evitare. In alcuni casi, le domande relazionali dei bambini sono anche retoriche. Se sappiamo accoglierle, potrebbero anche avere la capacità di curare le nostre ferite.

 La grande questione “buoni e cattivi”

Cosa vuol dire che il nonno adesso è in cielo? Perché le persone si ammalano e muoiono? Perché esiste la guerra? Chi è Dio? Sono le domande che cercano il senso della vita, che esprimono il bisogno di essere amati, il timore della propria inadeguatezza, l’ansia della separazione, l’angoscia della morte, la dimensione spirituale. Ricordo ancora quando Michele mi chiese: «Che cosa vuol dire ateo?». E io: «Una persona che crede che Dio non esista» e lui «Beh, allora saranno in pochissimi». Sono tante e bellissime le domande esistenziali delle bambine e dei bambini: mi soffermo su quella che personalmente mi mette più in gioco. Ognuno avrà la sua, la mia è questa, ricorrente. Quando a tavola si parla di politica, soprattutto politica estera, passata e presente, e di eventi drammatici, Caterina mi chiede (a me, effettivamente, non al babbo, beato Stefano), riferendosi ad un presidente o ad un altro soggetto le cui azioni stiamo disapprovando: «Ma è cattivo?». La domanda se una persona è cattiva o meno, devo ammettere, a me viene fatta spesso sia da Caterina che da altri bambini. Domanda semplice, risposta complessa. La mia suona pressappoco così: «È una domanda difficile. Non esistono persone in assoluto cattive o in assoluto buone. Dentro di noi ci sono luci e ombre, possibilità di fare il bene o il male. Certe persone, per il ruolo che hanno, fanno scelte che alla fine aumentano le povertà e, nei casi peggiori, provocano dolore e perfino la morte di altre persone. A volte pensano pure di essere nel giusto, o che sia il male minore. Certe persone fanno cose cattive. E noi dobbiamo essere in grado di riconoscerle e, se possiamo, di fermarle».
Io credo nell’importanza degli archetipi: nelle storie che raccontiamo ai bambini è importante che ci siano i mostri o la strega cattiva, è terapeutico ed educativo. Il male nelle favole, nettamente separato dal bene, è seducente, ma non vince mai. I personaggi cattivi sono di solito apparentemente molto potenti, ma vengono sempre sconfitti dall’eroe/eroina protagonisti, con il quale tutti ci identifichiamo, favorendo un processo di superamento delle nostre paure e fantasmi interiori. Ma quando si parla di persone, persone in carne ed ossa, come posso io definirle “cattive”, come posso paragonarle a una Malefica o a un Voldemort?
La Regola dei francescani secolari recita «quali portatori di pace e memori che essa va costruita continuamente, ricerchino le vie dell’unità e delle fraterne intese, attraverso il dialogo, fiduciosi nella presenza del germe divino che è nell’uomo e nella potenza trasformatrice dell’amore e del perdono». Vedere tutti “come il Padre vede ogni uomo”. Caterina continua a farmi spesso quella domanda - la mia risposta probabilmente non è affatto chiara ed esaustiva - e io continuo a provare a dare la mia risposta, con varianti di quanto soprascritto, e tutte le volte questa sua domanda e la mia risposta sono un modo di rimettere in gioco la mia visione del mondo. E anche di come voglio costruirne uno migliore, assieme a lei.