Le combinazioni della stepfamily

La diversità delle situazioni familiari richide attenzione al dialogo

di Aimone Gelardi
sacerdote dehoniano, moralista

Parole alate

Image 062Tra le frequentazioni che mi derivano dall’essere stato anche insegnante in una scuola superiore femminile, ci sono quelle con un gruppo di famiglie che ho accompagnato quando si costituivano, quando crescevano e si moltiplicavano, e quando qualche tsunami le ha messe in crisi o scosse dalle fondamenta. Sono parte “importante” del mio piccolo mondo; parte “importante”, non significa solo allegra o consolante. Spesso, sono anche parte dolorosa, come tutte le cose umane.

Tra queste famiglie, alcune sono state provate dalla vita con lutti e malattie, altre vissute contando le lire, prima, poi gli euro senza consentirsi stravaganze, ma assicurando ai figli un’educazione dignitosa. Altre non hanno retto ai venti e alle tempeste. Accade che, se ho voglia di incontrare tutti i membri di queste ultime, devo programmare una serie di puntate da far invidia al “Grande Fratello”.

Anche per questo piccolo mondo il Concilio fu profetico: «le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare» (Gaudium et spes, 47).

Spesso, in confessionale, orecchiando le omelie di qualche parroco alle giovani coppie che dicevano “sì” davanti a Dio e alla Chiesa, mi son detto che è grande la fede dei preti in cura d’anime...

Sentirli parlare di «piccola Chiesa», di testimonianza «dell’unione di Cristo e della Chiesa» mi ha fatto pensare che sono proprio in linea con la parresia di san Paolo, che all’Areopago intratteneva gli Ateniesi “timorati degli dei” a proposito di Dio, che «ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dando a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti» (At 17,30ss), senza immaginare la risposta che ne avrebbe avuto di lì a poco.

Per me, infatti, impegnato a frequentare i giornali e a scriverci sopra, quei discorsi avevano un sapore antico, parole alate, forse solo un po’ lontane dalla realtà quotidiana. Certo, i parroci citavano le premesse del Rito del Matrimonio, Familiaris consortio, commentata da qualche teologo di grido, ovviamente celibe, se no come avrebbe fatto a parlare con cognizione di causa di matrimonio e famiglia... e persino Gaudium et Spes.

Fare e rifare

Orecchiando quelle omelie generose e riflettendo sulle disavventure del seme che non sai in che terreno cadrà e, però, se non lo getti, gli precludi anche quel X % di possibilità di portare frutto, ho pensato che, tra i presenti, qualcuno mormorasse, come gli ateniesi, «Ti sentiremo su questo un’altra volta».

Ci siamo persi una puntata di quel serial che è la vita dei contemporanei! Non affliggerò i lettori con i dati su separazioni e divorzi, nuove tipologie di famiglie e convivenze à la carte, né racconterò dei tempi mutati. Già venticinque anni fa scrissi per un volume a più voci un testo dal titolo Né dal parroco né dal sindaco, che trattava di accompagnamenti e convivevnze, non ancora di famiglie unisex, che pare oggi siano esse pure in diffusione.

Singolare contraddizione: la tanto spesso vituperata famiglia tira ancora, proprio dove non ti aspetteresti. Anche chi disfa quella canonicamente costituita, nonostante avesse giurato e spergiurato che era «per tutta la vita», appena può ne costituisce un’altra, almeno in modo civilmente consentito o si imbarca in situazioni parafamiliari dove un “lui” e una “lei” e diversi “loro” già esistenti o sopraggiunti fanno quelle che si definiscono famiglie allargate, ricostituite, nonfamiglie, convivenze familiari e chissà in quante altre maniere.

Il fenomeno è in crescita anche in Italia, benché con percentuali inferiori a quelle di altri paesi. All’origine, manco dirlo, soprattutto separazioni e divorzi che, verificandosi spesso nei primi anni di matrimonio, predispongono a riprovarci.

Ci si può consolare dicendo che, però, la società italiana è sempre ancorata al concetto tradizionale di famiglia. Ma essa pure risentirà, prima o poi, del nuovo clima sociale e culturale, giuridico e morale, che il sentire ecclesiale, senza omologarsi, deve almeno conoscere, perché famiglie ricostituite si incontrano nella realtà di tutti i giorni, anche in parrocchia. Le classi di catechismo contano spesso cospicue percentuali di bimbi appartenenti a una Reconstitueted Family, cioè una “nuova” famiglia, formata dal genitore affidatario, dal partner sopraggiunto e anche da varie tipologie di “fratelli”.

Questioni di vocabolario

Image 067Non si può ignorare il vocabolario, non sapere cosa sono le famiglie ricomposte, allargate, aperte, nuove, ricombinate, le convivenze, le monogenitoriali, le “famigliastre”. Non sempre la famiglia ricostituita è una coppia in qualche modo “sposata”. Crescono convivenze ruspanti di partners con una o più esperienze matrimoniali alle spalle, che, pur vivendo ciascuno a casa sua, sono legati da affetto duraturo e sostegno reciproco nella vita, anche riguardo ai figli.

Nei paesi anglosassoni si usa il prefisso “Step” per indicare le nuove realtà: “Stepfamily”, “Stepmother” e “Stepfather” (genitori non biologici), “Stepchildren” (figli nati da unioni precedenti), “Stepsister” e “Stepbrother” (“fratelli” nati da unioni precedenti). “Step” significa “privato”, “reso orfano” e in origine denotava rapporti di parentela successivi a vedovanza.

Da noi sono in difficolta anche i dizionari se vogliono inquadrare il nuovo che avanza, evitando accezioni negative: improponibili i vecchi famigliastra, patrigno, matrigna, fratellastro, sorellastra... tutti politicamente scorretti, inadeguati, obsoleti e pregiudizievoli, ma indubbiamente espressivi.

Ecco allora nuove espressioni: famiglie ricomposte, aperte, allargate, estese, nuove o ricostituite. Meno facile definirne i componenti.

Come chiamerà un bambino, inserito in una famiglia allargata, il nuovo arrivato o la nuova arrivata che non sono mamma o papà suoi in senso biologico?

L’altro o l’altra sono destinatari di nomignoli inventati, magari simpatici. Allora vai con “mamma Sofia”, piuttosto che con “papà Lele”, dove il nome determina il nuovo o la nuova, ma anche con “papà finto” o “mamma finta” in voga nei paesi del nord Europa. E che dire di “papà di plastica”, e “altra mamma”, “mamma sostituta” o, ancora, sintomo di latente conflittualità, “quello lì” e “quella lì”?

Ribadisco, non è che ci si debba adeguare. Ma neppure continuare a parlare agli angeli quando si ha a che fare con esseri umani, feriti e frantumati. Sempre per non spegnere lucignoli fumiganti e spezzare definitivamente canne incrinate.