Ricordando fra Roberto Ferrari

Per 65 anni è stato “l’umile ardito” missionario nella sua “cella itinerante” tra Mar Nero e Mar Mediterraneo

 Cerredolo di Toano, 14 febbraio 1926

† Mersin, 18 marzo 2017
 

 

Roberto Ferrari nacque a Cerredolo di Toano (RE) il 14 febbraio 1926, da piccolo entrò in seminario come era comune tra i bambini delle montagne emiliane che volessero avere accesso all’istruzione. La sua vivacità era dirompente e superava di gran lunga l’applicazione negli studi. Pensava già ad una nuova punizione per qualche marachella, quando il direttore lo chiamò nel suo ufficio e invece gli consegnò una lettera firmata niente di meno che dal primo ministro Benito Mussolini: erano gli anni dei “balilla” e Roberto, sulla scia del padre Nello “ardito” durante la Prima guerra mondiale, scrisse al duce chiedendo di essere arruolato come volontario nel Regio Esercito.

 Secondo noviziato sul Mar Nero

Nella lettera c’era un encomio per il coraggio dimostrato, un coraggio che non lo abbandonò mai nella vita, specialmente quando nel 1952 al largo di Samsun fu trasferito da un piroscafo su una barchetta di pescatori che lo avrebbe condotto alla riva della sua prima destinazione turca, senza sapere la lingua e senza un confratello che lo aspettasse sullo sperduto porticciolo sul Mar Nero. Riuscì comunque a raggiungere il convento e iniziò ad arrangiarsi in tutto, dalla cucina alla lingua, in quel periodo che chiamava il suo “secondo noviziato”, attirandosi le simpatie dei cristiani locali.
Furono anni duri perché i cristiani non erano ben visti a causa della questione di Cipro e dell’avversione per la Grecia; fra Roberto (non era ancora sacerdote a quell’epoca) catechizzava le famiglie disperse nella regione attraverso filmati sulla vita di Gesù e un proiettore alimentato dalla batteria della sua Cinquecento. Nonostante l’avversione per gli studi, riuscì ad accedere al sacerdozio e nel ’71 venne ordinato e quindi destinato come parroco a Trabson con il compito di smantellare la stazione prima della chiusura decisa dai superiori.
Fu in quel periodo che avvenne la “prigionia” di fra Umile, si tratta di un episodio avvolto da un’aura di leggenda. Roberto fu accusato del contrabbando della campana rotta dell’ex convento verso l’Italia, una denuncia molto sospetta parlava addirittura di una campana d’oro proveniente dalla Russia venduta agli italiani. Restò in carcere un mese ed anche in quel periodo durissimo riuscì ad attirare la stima dei delinquenti che lo attorniavano; assistendo in una malattia il più temuto dei banditi se ne guadagnò la protezione. Il tempo che passò prima che l’avvocato della nunziatura riuscisse a farlo prosciogliere dalle accuse lo trascorse evangelizzando i compagni di cella. Roberto amava dire che fu scarcerato in quanto la sua presenza rischiava di convertire al cristianesimo tutti i detenuti, compreso l’imam cappellano col quale si intrattenne in dispute dottrinali d’altri tempi riscuotendo un tifo da stadio.

 Dal Mar Nero al Mar Mediterraneo: Mersin, Adana, Iskenderun

Finita la stagione del Mar Nero fu il tempo del sud-est della Turchia con le centinaia di avventure che non mancava di raccontare in ogni occasione ai suoi confratelli più giovani, come ai gruppi di pellegrini che sempre rimanevano edificati da quella fede semplice e rocciosa. Dalla sede di Mersin affacciata sul Mediterraneo si occupava anche della piccola comunità di Antiochia cercando di recuperare i terreni dove sorgeva il vecchio convento di proprietà della Chiesa melchita ma contesi dal Governo. Volle completare la costruzione di una nuova chiesa, già da anni in cantiere, ma la non collaborazione delle gerarchie ecclesiastiche di Aleppo e il mutare del governo cittadino ne decretarono l’abbattimento. Alla fine padre Roberto si rassegnò ad acquistare le case che costituiscono il nucleo dell’attuale chiesa di Antiochia.
Fino al 1987 si occupò specialmente dei ragazzi cristiani della città che andava a raccogliere con il suo pulmino da tutto il territorio limitrofo per fare loro il catechismo. Sono tanti i cristiani cattolici e ortodossi di Antiochia che devono a lui l’aver mantenuto la fede, l’aver avuto una formazione catechistica e l’aver ricevuto i sacramenti. Tante anche le battaglie spesso innescate da gelosie e nemici interni, non sempre vinte ma in cui è stato sempre riconosciuto da tutti al nostro frate l’onore delle armi. Anche i musulmani lo ammiravano e una volta lo salvarono da una seria minaccia di espulsione in qualità di persona pericolosa per lo stato: riuscì infatti a fuggire e rifugiarsi in nunziatura ad Ankara grazie all’avvertimento di un funzionario affascinato dalla sua semplice determinazione di uomo buono ed evangelico. Dopo un mese trascorso nell’attesa che si calmassero le acque, fece ritorno e ricominciò dal punto in cui aveva interrotto.

 Il brigante della fede

Poi si trasferì ad Adana per riparare la chiesa costruendovi anche un appartamento per il sacerdote e di lì a Iskenderun in sostituzione dei padri carmelitani che stavano lasciando la sede per anzianità. Agli anni di Iskenderun è legata l’epopea della costruzione del “nuovo Vaticano”, il grande complesso che ora è sede del Vicariato apostolico di Anatolia, venuto su dalla sera alla mattina per scongiurare l’esproprio del terreno da parte delle autorità civili. Infine Mersin dalla fine degli anni Novanta dove fu parroco, superiore e viceparroco, ma soprattutto padre spirituale di molti ragazzi alcuni dei quali hanno intrapreso negli anni il cammino di consacrazione cappuccina.
Assidua la sua presenza in chiesa in attesa dei fedeli e di ogni visitatore, lodevole il suo servizio itinerante svolto in aiuto delle chiese vicine, spostandosi anche per centinaia di chilometri in auto (la sua cella itinerante) e con ogni mezzo fino agli ultimi giorni di vita, indefesso il suo amore per il lavoro manuale con uno stile tutto cappuccino nel riparare ogni genere di cosa, prezioso il suo amore per l’orto e il giardino dove, persino i semplici passanti, lo ricordano sempre pronto a regalare un sorriso insieme ad un fiore o ad un frutto da lui coltivati. Il grande giornalista Paolo Rumiz nel 2006 incontrò fra Roberto e ne rimase affascinato: su la Repubblica pubblicò un articolo intitolato Il brigante della fede e la manutenzione delle greggi cristiane.
Ci hanno portato via il nostro fra Roberto l’età ragguardevole, una polmonite silente e una caduta mentre era indaffarato nell’orto, caduta che ne ha determinato il ricovero all’ospedale di Mersin dove, il 18 marzo, si è spento serenamente. Ai suoi funerali celebrati dal vescovo Bizzeti il 22 marzo c’erano più di cinquecento persone da tutta la Turchia e non solo cristiani. Erano presenti ufficialmente tutte le autorità civili della città e anche due preti ortodossi uno dei quali aveva ricevuto proprio dal padre Umile i primi rudimenti di catechismo. La salma è stata poi trasferita in Italia dove sono stati celebrati altri funerali alla presenza dei famigliari, dei confratelli (tra i quali padre Paolo Pugliese, missionario in Turchia, che ha tenuto il ricordo funebre) e di suor Diba, originaria di Iskenderun, che a Roberto fa risalire la sua vocazione.
Di fra Roberto resterà nei ricordi, oltre al proverbiale ardimento che seppe trasformare in zelo apostolico verso ogni anima, il grande amore per la Turchia e per il suo popolo che lo portarono a chiedere con ostinazione e ogni mezzo la cittadinanza, purtroppo ostacolata dai suoi “precedenti penali”. A tutti noi frati in Turchia è parsa strana la sepoltura nel cimitero di Pratissolo (Scandiano - RE) decisa dalla famiglia; padre Domenico, che con lui ha condiviso tanta parte della vita, ricorda commosso come ad ogni elezione in Turchia, Roberto si recava a votare usando, da vero “frate da combattimento” come lo definisce il nostro confratello, la patente come documento di riconoscimento ed era accettato essendo creduto da tutti ormai cittadino turco. Fu in tutto un vero missionario, sempre rivolto in avanti, senza nostalgie o ripensamenti nella scelta di donarsi al Signore e al servizio dei fratelli. (Sintesi e adattamento della necrologia scritta da padre Domenico Bertogli)

fra Michele Papi